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Tag: Arte

L’arte in Ca’ dei Frati

L’arte è la cantina

Visitando Ca’ dei Frati, non si trovano grandi opere d’arte con cartellini a definirle o a interpretarle. La tendenza degli ultimi anni è stata quella di unire l’arte, soprattutto contemporanea, al contesto paesaggistico vinicolo e alle sue attività produttive. Ecco, a questo trend Ca’ dei Frati ha aderito in un modo tutto suo.

Partendo dal concetto di “arte totale”, ogni cosa che si tocca e si vede in azienda è frutto di un pensiero, di una valutazione interiore e fisica allo stesso tempo. Tutto riflette l’esperienza finale, quella della fruizione del vino in un contesto che rende possibile, in sostanza, l’immersione in quel bicchiere con testa e corpo, come un tuffo da un’alta scogliera del lago che, dopo lo slancio, accoglie immensamente anima e fisicità.

Si tratta di un incontro tra cantina e arte che è certamente più sottile, ma non meno degno di nota. Nel bel mezzo di un territorio noto per la sua DOC, il Lugana, a due passi dalle sponde meridionali del lago di Garda, il rapporto con l’arte è onnipresente ed innovativo, anche se di non facile individuazione per un occhio non abituato a osservare i dettagli.

L’idea alla base della nuova costruzione avvenuta nel 2018 è di abbinare al “tempio dedicato al vino” alcune maestranze locali che lavorano ancora oggi con antiche tecniche di produzione materiale. In particolare ci si riferisce alla lavorazione di legni pregiati, ferro battuto tornito a mano, realizzazione di vetrate a fondo di bottiglia per richiamare il contesto tardo-medioevale, lampadari realizzati a vetro soffiato e affreschi dipinti a mano grazie ad antiche tecniche di asciugatura sulla parete umida.

La cantina ha in ogni caso una lunga storia da vantare: la struttura originaria risalente alla metà del Quattrocento era infatti un distaccamento dei frati Carmelitani Scalzi dell’ordine di Santa Maria de Senioribus, i quali avevano come sede principale un monastero a circa otto chilometri, l’attuale Museo Rambotti di Desenzano del Garda, dal luogo su cui sorgeva l’antica casa vinicola.

I frati a quel tempo abitavano la tenuta per scopi sostanzialmente produttivi poiché la terra rispondeva adeguatamente ai loro bisogni: possedevano qualche ettaro di vigna, dato in mezzadria a contadini della zona per la produzione di vino per la santa messa. Questo dato interessa molto la tenuta attuale perchè testimonia la presenza della vite nel contesto locale già da più di cinquecento anni. Di quel tempo resta oggi nella sala storica soltanto un antico portale marmoreo con lo stemma dei frati, divenuto oggi il marchio ufficiale del brand Ca’ dei Frati.

Il riferimento al tema religioso intercorre in ogni dettaglio della cantina, a partire dalla nuova sala degustazione che emula la navata principale di una chiesa nel cui abside viene proiettato a parete un video a ciclo continuo che racconta la campagna, la produzione di vino in loco e i più di ottanta anni di attività vitivinicola della famiglia sul territorio.

L’idea del “tempio” dedicato al prodotto di punta, il vino, è nata proprio con una ricerca sul passato storico della tenuta, adottando oggi stilemi e usanze dell’epoca che si riflettono sul mobilio (panche e tavoli per la degustazione o il leggio come espositore delle brochure aziendali) e sulla funzione delle strutture stesse. Il consumatore si trova immerso totalmente in un’architettura che emula la storia dell’azienda e questa percezione è avvalorata dai preziosi dettagli artistici che si ritrovano durante tutto il percorso di visita. Gli stessi pavimenti, a titolo d’esempio, ricalcano gli antichi pavimenti cosmateschi delle chiese il cui significato era quello di aiutare l’officiante a ricordare le diverse tappe durante la cerimonia grazie all’uso di forme e colori che trovava a terra, adempiendo nel contempo una funzione decorativa.

In Ca’ dei Frati da segnalare innanzitutto è il coro realizzato a mano totalmente in legno di noce pensato per essere utilizzato come espositore per le referenze aziendali: il cliente si trova immerso in un’atmosfera antica e reverenziale proprio al momento dell’acquisto del vino, con in sottofondo i cori ecclesiastici che cantano rigorosamente in latino. La manifattura che ha realizzato il coro ha portato a compimento per l’azienda anche la bussola d’ingresso, proprio come una chiesa antica, e tutte le vetrate delle grandi porte presenti in cantina, nella zona di produzione, decorate a fondi di bottiglia. Il nome della manifattura è Arte Poli di Verona che vanta un discreto numero di artisti che, ormai tra gli ultimi, lavorano ancora con le tecniche del tempo, rigorosamente a mano. Anche panche, tavoli, banconi per la degustazione, leggii per le brochure e una teca con in esposizione le referenze sono state realizzate da un artista falegname, Fausto Bonini. È stato chiamato un mastro vetraio muranese per i lampadari della sala del coro, Fabio Fornasier, che vanta uno splendido atelier proprio a Murano. Per i ferri battuti che si incontrano in alcuni dettagli lungo la visita in cantina (come per esempio la ringhiera delle scale che scendono in barricaia) è stato interpellato il fabbro artista Dante Bonometti. Infine per tutti i decori a parete realizzati con l’antica tecnica ad affresco è stata chiamata la compagnia di artisti La Fede di Brescia.

Il concetto che sta alla base della scelta di unire un luogo di accoglienza per il consumatore di vino e i luoghi destinati alla produzione con l’arte delle manifatture locali vuole esaltare la capacità mentale e manuale dell’uomo di saper trasformare la materia prima in qualcosa d’altro, in qualcosa di più potente, e la sua abilità innata nel tempo. L’uomo ha sempre prodotto vino, ma ha anche sempre realizzato arte, due ambiti che Ca’ dei Frati tenta di far coincidere attraverso la sua struttura architettonica e paesaggistica.

Entrando nel salone adibito alla degustazione, come una navata centrale di una chiesa, si richiede un tono di voce basso: la sensazione è reverenziale come in un luogo religioso. Il silenzio relegato ai luoghi di culto diventa qui una cifra stilistica in rispetto di chi sta degustando per permettere di concentrare tutti i sensi sul vino e sul bicchiere, ovvero sull’esperienza di fruizione.

Si tratta di un modo di esperire il vino avvolgente e totale in grado di far percepire sensazioni dall’interno della propria emotività attraverso i cinque sensi e dall’esterno, evocati attraverso l’ambiente ed il luogo.
Tale approccio viene ricreato già a partire dall’esterno della cantina almeno per due motivi: la facciata richiama le chiese del luogo risalenti ai primi anni del Cinquecento, con un porticato allungato in orizzontale che cura l’estetica esterna con un’alternanza di pieni e di vuoti; inoltre tutt’attorno all’azienda si estendono ettari di vigneti nuovi e antichi dove si coltiva il vitigno autoctono, il Turbiana, utilizzato per la realizzazione del Lugana DOC. Infine sullo sfondo un magnifico paesaggio gardesano dove si staglia il Monte Baldo con il suo cocuzzolo imbiancato.

L’arte è il vino

L’arte e il vino quindi restano due ambiti culturali estremamente interconnessi, non solo in tempi recenti, ma anche approfondendo nelle rispettive radici della loro storia. Spesso intrecciati e rincorsi a vicenda, si fatica a comprendere quale venga prima e da chi dipenda davvero l’altro. Alla fine infatti il vino si definisce come “un’arte pura”, se non altro in quell’aspetto che prevede una grande sensibilità da parte del vignaiolo nella realizzazione del suo prodotto finale, un prodotto che per quanto il processo di produzione sia standardizzato sarà sempre figlio di una sola mano e di una sola mente. L’arte è proprio questo: la capacità di realizzare qualcosa di già noto e conosciuto, ma in un modo che soltanto l’artista sa fare.

 

Per approfondire:

BIBLIOGRAFIA
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L’arte del vino, il vino nell’arte

Un incontro davvero speciale quello avvenuto ormai quasi sei anni fa in cantina a Ca’ dei Frati. Un incontro di quelli fortuiti, dove, grazie al passaparola di un amico in comune, abbiamo avuto il piacere di incontrare Sandro Barbagallo. Già si pregustava qualcosa nell’aria, qualche progetto pianificato tra i denti, a bassa voce. E’ così che è nata la conferenza avvenuta il 18 marzo 2022 in cantina, riproducendo quel primo incontro del 2016 tra arte (nello storico dell’arte Sandro) e vino (nell’enologo Igino Dal Cero).

Il vino è capace di cose inimmaginabili: ad esempio, trovare qualche punto in comune con i più disparati rami della cultura. E facendo cultura fa relazione, fa da ponte. Un bicchiere di vino crea rapporti, a volte, come questo, davvero straordinari.

Sandro Barbagallo non è solo un semplice storico dell’arte, ma molto di più: è curatore del Reparto Collezioni Storiche dei Musei Vaticani e del Museo del Tesoro Lateranense, Perito d’Arte e Antiquariato del Tribunale Civile di Roma. Insomma, di arte se ne intende senza dubbio. Proprio quella sua perizia e capacità di leggere il dettaglio accomuna la visione che Ca’ dei Frati mette nel vino: la capacità di vedere in prospettiva in una storia che è più grande di noi.

La serata comincia da Heinrich Dressel, un nome poco noto ai non addetti ai lavori: fu lo studioso che per primo catalogò le diverse tipologie di anfore romane e tra queste quelle vinarie. Se i Romani non avessero iniziato a trasportare il vino, il mondo probabilmente sarebbe a dir poco differente da quello che conosciamo noi oggi. Ed è proprio dal ricco contenuto di queste anfore che nascono miti e leggende attorno al vino: esso è protagonista diretto o indiretto di tantissime storie con cui ci divertiamo a spiegare cose che sono fuori dalla nostra comprensione, perchè, come dice Sandro, il vino è vita: è erotismo e religione insieme, è salute e malattia allo stesso tempo, è felicità e tristezza.

I primi quadri che vengono selezionati arrivano dal Seicento e sono opere di grandi nomi: Mengs e Vermeer dove un calice di vino, nel primo caso, diventa l’espediente per sedurre, per rilassare la mente della donzella non abituata alle prime avance. Il vino come sostanza inibitrice dei freni è spesso presente nella mitologia greca dove un Giove seduttore escogita mille piani per attirare delle belle fanciulle umane, nonostante l’ira furibonda di Era che fa finire spesso in modo tragico queste storie.

La divinità è da sempre in qualche modo collegata al vino: prima di Giove, il dio Fufluns, senza dimenticare Bacco e Sileno rappresentati sempre con la mente rapita dall’alcool, con guanciotte rosse e spesso nudi, senza pudore e vergogna. “Dove c’è libertà potoria, c’è libertà nella vita e non sconvolge la nudità” afferma Sandro Barbagallo, mentre mostra una serie di Bacchi, partendo dal classico Bacco adolescente di Caravaggio, via via sempre più vecchi e sempre più discinti.

 

 

Infine un salto all’antico Testamento, dove nudità e vino sono presenti nella scena cardine di Noè ubriaco dopo il diluvio universale, dopo che comprese la potenza del frutto dai tanti chicchi. Nemmeno il testo sacro si sottrae alla centralità di questa bevanda nella cultura umana.

La portata dirompente di questo prodotto era ben chiara ai Romani che al vino e a Bacco avevano perfino dedicato due giornate all’anno, 16 e 17 marzo, chiamate Baccanalia. Solo in seguito, osservando comportamenti sempre più discinti e libertini, decisero con il Senatus consultum de Bacchanalibus di reprimere questi inni e lodi al vino, riportando la celebrazione in contesti meno smodati e più civili.

Il vino diventa allora un prodotto addomesticato, non solo perchè si comincia a coltivare la vite con metodi selezionati in base alla tipologia di suolo, ma anche perchè nasce un modello di comportamento da seguire che include il vino in diversi contesti sociali: dal medioevo si ha un vino per la gente, il vino delle taverne, ma si ha anche un vino per la religione, il vino della Chiesa.

Il vino allora diventa metafora del sangue di Cristo che, premuto nel torchio mistico, fa sgorgare dalle ferite della crocifissione un vino-sangue, simbolo della redenzione del peccati del mondo. Il prodotto della vite entra così a pieno titolo anche sulle mense dei monaci attraverso una fitta regolamentazione che non prevedeva eccedenze quasi per nessuno: solo i monaci implicati in qualche attività manuale potevano accedere ad un calice di vino in più. Il vino è a tutti gli effetti un cibo, nutriente e genuino.

Il frate quindi diventa il soggetto curioso da raffigurare in pittura creando attorno a sé il topos del frate-cantiniere che, avendo licenza di portare le chiavi della cantina, cede alla fine umanamente al desiderio e viene trovato ubriaco ai piedi di una botte di legno. O ancora il frate-sommelier che spina del vino nuovo e lo esamina con fare acuto ed esperto.

La storia di Ca’ dei Frati ci riconnette al Quattrocento, quando la tenuta era gestita dai frati Carmelitani Scalzi dell’ordine di Santa Maria de Senioribus. I pochi ettari che possedevano attorno alla tenuta erano coltivati a vite e dati a mezzadri perchè mettessero a produzione il vigneto. Il vino così ottenuto veniva utilizzato per la santa messa.

E’ difficile allora distinguere cosa sia arte e cosa sia vino: a volte arte è vino, come nei numerosi esempi scovati nella storia dell’arte dal professor Barbagallo; altre ancora il vino è arte, come nella grande passione, nel retaggio culturale e nella tecnologia di cui Ca’ dei Frati si fa portavoce.

 

L’ arte e il vino quindi restano due ambiti culturali estremamente interconnessi, non solo in tempi recenti, ma anche approfondendo nelle rispettive radici della loro storia. Spesso intrecciati e rincorsi a vicenda, si fatica a comprendere quale venga prima e da chi dipenda davvero l’altro. Alla fine infatti il vino si definisce come un’arte pura, se non altro in quell’aspetto che prevede una grande sensibilità da parte del vignaiolo nella realizzazione del suo prodotto finale, un prodotto che per quanto il processo di produzione sia standardizzato sarà sempre figlio di una sola mano e di una sola mente. L’arte è proprio questo: la capacità di realizzare qualcosa di già noto e conosciuto, ma in un modo che soltanto l’artista sa fare.

Tratto dalla tesi di laurea (2022) di Maria Chiara Dal Cero “Arte ed estetica del vino e dei suoi luoghi”.

Si ringrazia il Comune di Sirmione, nella figura del sindaco Luisa Lavelli, per aver gentilmente concesso il patrocinio per questa serata, Sandro Barbagallo per aver condotto magistralmente una lezione con un tema a noi davvero molto caro e la piccola e dolce Elisabetta, sua figlia, incredibilmente incantata e attenta per quasi due ore ad ascoltare il padre.

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