Nel mondo del vino, l’estetica delle bottiglie gioca un ruolo fondamentale nell’impressionare e affascinare non solo gli intenditori di vino, ma anche tutti i wine lover. Funziona un po’ come per le copertine dei libri: l’esterno attira l’occhio, le forme sinuose del vetro invitano ad accogliere tra le mani la bottiglia e l’etichetta non è che il tocco finale di un progetto davvero artistico. Tra le varie opzioni disponibili, le bottiglie di grande formato, come quelle da 1.5, da 3 o da 6 litri, rispettivamente in gergo tecnico chiamati Magnum, Jeroboam e Mathusalem, si distinguono per la loro imponenza e il loro aspetto elegante. Queste bottiglie non solo rappresentano una sfida tecnica nella loro realizzazione e confezionamento, ma richiedono anche una lavorazione completamente artigianale.
Una delle ragioni principali per cui le bottiglie di vino di grande formato sono considerate più eleganti è infatti proprio la loro dimensione imponente. Rispetto alle bottiglie standard da 750 ml infatti queste bottiglie sono significativamente più grandi e spesso presentano forme uniche e slanciate. La loro presenza distintiva sul tavolo o in una cantina attira l’attenzione e trasmette un senso di grandeur. Le bottiglie di grande formato sono spesso associate infatti a occasioni speciali e a celebrazioni, rendendo l’esperienza di degustazione del vino ancora più memorabile. Immagina una festa di laurea dove il brindisi viene fatto versando il vino da una bottiglia che incentiva l’aiuto di almeno due persone: si evoca immediatamente la festa e la condivisione del momento, l’essere insieme nel festeggiare e nel condividere un istante indimenticabile.
Le bottiglie di vino di grande formato sono il risultato di un processo di produzione che richiede alcune competenze artigianali. A differenza delle bottiglie standard, che vengono realizzate in serie con l’ausilio di macchine, come nel nostro caso nella sala dedicata all’imbottigliamento e al confezionamento delle bottiglie e del cartone, le bottiglie di grande formato sono prodotte interamente a mano. Questo processo richiede una maestria artigianale e un’attenzione ai dettagli che conferiscono un valore aggiunto alle bottiglie stesse. Nel caso di Ca’ dei Frati, le bottiglie di grande formato prodotte sono il Magnum per la maggioranza delle referenze e Jeroboam e Mathusalem solo per il vino iconico dell’azienda, il Lugana I Frati.
Dopo la realizzazione in vetro con lo stampo personalizzato con il marchio in rilievo dei frati Carmelitani Scalzi che contraddistingue l’azienda, le bottiglie di grande formato vengono confezionate manualmente in una linea di produzione che viene avviata occasionalmente appositamente per questi formati e occupa circa una quindicina di persone al lavoro. Ogni persona ha una mansione ben precisa: chi imbottiglia il vino, chi lo tappa, fino ai lavori di maggiore precisione come il posizionamento dell’etichetta fronte e retro, la pulizia finale della bottiglia e il controllo dei dettagli prima di riporre il prodotto nelle rispettive scatole dedicate.
Per questa ragione, nel caso di Ca’ dei Frati, i grandi formati vanno prenotati in anticipo e si trovano soltanto su richiesta perchè occorre tempo per la produzione e il loro confezionamento. Occorre inoltre proteggere queste bottiglie durante il trasporto e conservarle al meglio per un eventuale affinamento nella cantina dell’acquirente.
Spesso infatti vengono collocate in speciali custodie o imballaggi progettati per sostenerne il peso e preservarne totalmente l’integrità. L’attenzione e la cura dedicate al confezionamento delle bottiglie riflettono l’impegno a offrire un prodotto di qualità superiore, emblematico e iconico per l’azienda.
Quando si alza un bicchiere di vino versato da una bottiglia di grande formato, si celebra non solo il gusto eccezionale, ma anche l’arte e la maestria che si nascondono dietro ogni singola bottiglia.
Per i più appassionati, è possibile quindi trovare per il solo Lugana I Frati tutta la linea completa a partire dalla bottiglia da 375 ml, passando per la bottiglia da 750 ml, il magnum da 1.5 litri, il Jeroboam da 3 litri e infine il Mathusalem da ben 6 litri.
Alcuni fortunati potrebbero trovare i grandi formati periodicamente in vendita qui:
Nel regno inebriante del vino, dove la qualità è sovrana e la conservazione è maestra, si affaccia una rivoluzione avvolta in un nome: Nomacorc. Come un’eco di innovazione, il tappo Nomacorc si è insinuato tra gli studi sulle chiusure delle bottiglie, portando con sé l’arte di preservare la freschezza e le sfumature del nettare divino, in un abbraccio che supera ogni confine, mantenendo il profilo aromatico di ogni vitigno intatto.
Ca’ dei Frati utilizza questo tappo a partire dal 2017, dopo numerose prove a partire dal 2015 e frequenti viaggi in Belgio, dove si trova la sede principale di Vinventions, la casa tecnologica produttrice dei tappi tecnici, vicino a Liegi.
Siamo stati anche di recente per una visita di aggiornamento sui nuovi prodotti: al momento l’azienda, sempre attiva con una fucina di idee, sta lavorando intensamente per realizzare tappi tecnici anche per gli spumanti, con una tenuta della pressione idonea e una migliore permanenza del vino in bottiglia.
L’essenza mistica del tappo Nomacorc
Si tratta di un polimero espanso (polietilene) di canna da zucchero, una sostanza naturale e totalmente riciclabile, che dà vita oggi al tappo Nomacorc. Curato come un segreto custodito gelosamente, questo materiale pionieristico si erge a difensore dell’integrità vinicola, chiudendo le porte all’ossigeno evitando la polifenoliossidasi, ovvero la classica ossidazione che fornisce al vino sentori più stanchi ed evoluti, perdendone la freschezza. Nelle sue celle serrate, il tappo accoglie il vino, proteggendolo con gelosia, consentendogli un invecchiamento delicato, mentre la sua freschezza incanta i sensi non appena si stappa la bottiglia.
Le danze degli enigmi: i vantaggi nascosti del tappo Nomacorc
1. Armonia eterna: come un maestro inarrivabile, il tappo Nomacorc assicura una chiusura avvolgente, custode della qualità inalterata. L’affidabilità, nel tempo, si traduce in una sinfonia costante che conquista gli animi dei degustatori, donando loro certezza e fedeltà: un vino costante e soprattutto sorprendente anche se aperto dopo anni (anche per i vini bianchi).
2. Cancella l’oblio: le tenebre del TCA, il nemico insidioso che infetta i tappi tradizionali, si dileguano di fronte all’utilizzo del tappo Nomacorc. Senza il rischio di contaminazione o di muffe furtive, l’enologo può danzare con la purezza dei sapori, rivelando l’anima autentica del vino, mantenendo perfetta nel tempo.
3. Versi d’arte: il tappo Nomacorc, poeta di per sé, offre un’armonia di opzioni, ciascuna con la sua danza unica di permeabilità all’ossigeno. Questa flessibilità affida all’enologo il compito sublime di selezionare il tappo che si armonizza perfettamente con il vino, permettendo così un invecchiamento sublime e il raggiungimento di un bouquet aromatico desiderato. Nel nostro caso la scelta è caduta sul Select Green 100% per tutte le nostre referenze, come ad esempio il Lugana I Frati, tra i più noti, e il tappo Riserva per l’Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero. Quale differenza tra questi due tappi selezionati? La porosità: a seconda della tipologia di vino imbottigliato si può scegliere il tappo che regola così una maggiore o una minore quantità di ossigeno che passa all’interno della bottiglia.
4. Un canto alla terra: Nomacorc, custode delle tradizioni, si erge come un campione di sostenibilità. I tappi si donano al riciclo, riducendo l’impronta ecologica e abbracciando l’impegno per un mondo migliore. L’eco dell’azienda risuona in armonia con l’ambiente, riducendo l’emissione di CO2 e aprendo le porte a un futuro più attento all’ambiente.
Nomacorc, con la sua magia celata nei tappi tecnici, ha cambiato le regole del vino, offrendoci un’alternativa affascinante ai tappi tradizionali di sughero: basti pensare che oggi in Italia 7 aziende su 10 utilizzano questa chiusura, che permette di aprire la bottiglia ancora in modo tradizionale come con un classico tappo di sughero, ma senza gli svantaggi ad esso connessi. Il sughero infatti, oltre ad essere diventato molto caro e impattante sul prezzo finale del prodotto perchè ormai quasi introvabile (ci si rivolge per lo più al Portogallo per questo materiale), non offre garanzie sulla tenuta nel tempo e rilascia dosi di suberina che hanno la capacità di modificare il profilo aromatico del vino, che quindi perde le proprie caratteristiche provenienti dal territorio. Invece nell’abbraccio eterno del Nomacorc, la fragranza e l’anima del vino si preservano, offrendo al palato un’esperienza indimenticabile. È un capolavoro d’amore tra innovazione e tradizione, che rende omaggio alla bellezza che scorre nei calici e all’essenza stessa dei vini che affascinano il mondo.
Spesso ci si chiede quanto possa durare nel tempo un vino bianco. Allora si passa a valutare il modo in cui viene conservato e naturalmente il tappo. Di seguito si considera la tipologia di vino magari raffrontandola ad altre della stessa categoria alla ricerca – spesso vana – di risposte adatte. Ci siamo chiesti quindi anche noi quanto possa durare il Lugana DOC, o forse diremmo meglio quanto possa regalarci emozioni, perchè, se conservato bene e se non ci sono intoppi negli anni, il prodotto consumato dopo qualche tempo non potrà che essere buono. Cambiato, modificato, ovviamente. E’ quindi per lo più una questione di gusto personale.
Igino Dal Cero, produttore di Ca’ dei Frati, crede molto nelle potenzialità strutturali e gustative del Lugana DOC che si ottengono con l’affinamento regalato dal tempo. Il vino non invecchia né migliora, ma muta in modo proteiforme, si adatta agli influssi del tempo, rimanendo nel profondo tuttavia sempre uguale a se stesso. Per questo sono davvero molto importanti le lavorazioni in cantina e ancora prima in vigna, per essere certi di ottenere un grande prodotto proiettato nel futuro.
Il tempo influisce largamente sul vino, è una variabile importante da considerare in fase di produzione, ma anche nei termini di una prossima stappatura. Il colore vira in toni dorati – il tesoro che riemerge dopo anni dalle profondità di una bottiglia dal vetro scuro -, la glicerina lo rende più viscoso – una vera elisir di lunga vita -, infine smussa il suo carattere duro diventando più morbido e riflessivo, nelle rughe del tempo. Ma l’esperienza che ha trascorso nella sua vita come grappolo e poi trasformato in cantina lo segnerà per sempre. Di fatto rimane uguale a se stesso nella sua semplice vocazione virginale. Mantenutosi intaccato e puro nella sua campana di vetro.
Armando Castagno ha definito il Lugana DOC degno di un importante segnalibro nel volume dei grandi vini bianchi italiani da lungo invecchiamento. E a tal proposito Igino Dal Cero è assolutamente d’accordo, basta esserne capaci di prevederne le potenzialità, attività non sempre facile per un viticoltore. Tuttavia ricorda, andando indietro nelle sue quarantatré vendemmie, che questa attitudine all’ascolto dell’uva, della natura e del vino stesso gli è stata insegnata dal padre Pietro Dal Cero, fondatore dell’azienda:
“[…] mio padre veniva in cantina al mattino e poi tornava alla sera a controllare. Mi ha dato le chiavi della cantina che non ero ancora maggiorenne, mi ha lasciato sbagliare, per farmi imparare, dandomi molta responsabilità”.
Di cosa parliamo quando parliamo di Lugana DOC
Il Lugana DOC ha una zona di produzione molto limitata: si tratta di circa 15km tra Brescia e Verona, estendendosi su cinque comuni poiché si tratta di una denominazione interregionale. Il luogo definisce meglio la struttura del vino perché il territorio gioca un ruolo di primaria importanza per la creazione del suo profilo unico e invidiabile. Il lago con la sua massa d’acqua e le correnti ventose che scendono dal Trentino creano uno sbalzo termico notevole tra giorno e notte, ma non solo: creano anche il clima ideale per il vigneto durante tutto l’anno. Ben quattro glaciazioni si possono contare in questa zona; queste hanno fatto sì che la temperatura sia cambiata costantemente e che il ghiaccio si sia sublimato, passando dallo stato solido allo stato gassoso, lasciando sul posto un materiale idrogeologico composto da pietre incongrue tra loro, provenienti dai versanti alpini e che hanno trovato dimora proprio tra Lombardia e Veneto.
La nostra macchina del tempo vinicola: dal 2022 al 2004.
Ecco cosa ci ha regalato il tempo.
Annata 2022
Un giovane Lugana ricco. Profumatissimo, pieno ed estremamente verticale e verde. L’imbottigliamento è avvenuto nella prima settimana di marzo 2023 dopo un affinamento piuttosto lungo sulle fecce fini. Questa tecnica è applicabile se si ha una persistente acidità; in tal modo si esalta la parte aromatica e resta una percezione acida che stupisce alla beva. La 2022 è stata un’annata molto calda, con anche acidità molto spiccata. Irrigazione a goccia in questo contesto ha aiutato molto (siamo stati i primi in Lugana ad apportarla in vigneto): si parla infatti di irrigazione di soccorso. Come nel caso del 2022 con un’annata molto calda, per un vino di grande acidità, dare qualche volta in più l’acqua con un gocciolante preciso che misura i litri per pianta permette di ottenere un importante bouquet di aromi e una poderosa struttura nel vino.
All’assaggio la vegetalità dei sentori non risulta cruda, ma si abbina ad un’ampia florealità che ricorda a tratti il sambuco, vira al succo di pompelmo con una verve perspicace e un ingresso sapido all’assaggio. Senza nessuna frizione.
Si sta valutando una vinificazione che parte da una vendemmia di quasi 40 giorni: anticipata all’inizio dove la nota vegetale è più spiccata, fino alla rotondità data dalla vendemmia tardiva. Ogni mese ha le proprie caratteristiche che vengono donate alle uve raccolte in differenti periodicità.
Annata 2021
Questa ha il doppio delle risorse in questa fase, due anni sulle spalle fanno sì che sia la carta immancabile per i vini di lungo invecchiamento. La nota più incredibile è la sua refrattarietà all’ossidazione che riporta questo Lugana ad un confronto pertinente con i vini più longevi tedeschi e francesi, rispettivamente come i Riesling e alcuni Champagne. Sono quelli che Armando Castagno definisce “vini combattivi nel tempo”.
Tutto questo è aiutato da un tappo tecnico, scelto dopo svariate prove avvenute prima con microgranine, poi con il polietilene di canna da zucchero su cui si ha puntato: il tappo Nomacorc che garantisce una protezione del vino molto alta, l’utilizzo di una minore quantità di solfiti e una lunghissima (e piacevolissima) persistenza.
Annata 2017 – Privilegio di Famiglia
Al palato questo vino è fallace, non sembra essere un 2017: riporta una freschezza aromatica molto importante, che vira – a causa dei suoi anni – su una percezione maggiormente fruttata.
Si tratta della linea Privilegio di Famiglia: un vino che ha trascorso i suoi ultimi cinque anni in affinamento in bottiglia. La sensazione è meno agrumata rispetto alle annate più fresche, ma virante più verso la pesca “spaccarella”, con piacevoli note di talco mentolato, una ventata balsamica e fresca; a questo punto le note verdi sono quasi sparite, nulla di crudo persiste: anice e finocchio sono i sentori maggiormente percepibili. Si tratta di un vino molto completo, in cui note di fiori d’arancio sono un nostalgico e autoctono ricordo della sua vita iniziale. Chiude con un finale tipico del Lugana: l’olio essenziale di mandorla bianca pelata.
Annata 2011
Qui si entra in una pasticceria in piena produzione: note di frutta secca, note resinose e anche amidacee. Al naso sentori dolci, che invogliano la beva. Alla vista colpisce la sua palette dorata. In bocca l’anacardo, l’olio essenziale di noce, con note anche amaricanti si susseguono mantenendo una potente mineralità che rende questa esperienza solenne e monumentale.
Un vino ricco di ghirigori aromatici e affreschi, come ci racconta Armando Castagno, nonostante sia stata un’annata piuttosto fresca e anche sofferta dal momento che la vendemmia venne allungata di più del previsto, ragion per cui ha anche un’acidità più alta della media generale. Tuttavia questa caratteristica – meravigliosamente nel Lugana – ne esalta incredibilmente il carattere agrumato anche a distanza di anni.
Annata 2007
Cumino, maraschino, cereale tostato, frutto esotico, spezie pestate, canditi bolliti nello zucchero. È stata l’azione dei quindici anni trascorsi a riposo in bottiglia a colorarlo in modo così dolce. Porta con sé una complessità disarmante dovuta anche ad un’annata molto proficua e piuttosto calda. Qui vale ogni considerazione: ogni assaggio muta, si irrobustisce, si palesa diversamente, si mostra sotto punti di vista diversi. Una poesia liquida, tutta da interpretare.
Annata 2004
Ci piace ricordare il tocco di mimosa, percepito dal colto naso di Armando Castagno, insieme a note complesse di evoluzione ed eleganti sentori terziari dovuti al tempo di permanenza in bottiglia. Non mancano all’appello sentori pluviali e di acqua salmastra, il lago grazie alla sua vicinanza dialoga da millenni con le terre del Lugana. In generale porta ancora una dimensione enoica e un carisma davvero incredibili con sicure grandi potenzialità espressive.
L’approccio interessante di questo vino è che permette alla comunità umana del luogo e a quella aziendale di poter ragionare, studiare e sperimentare continuamente nel corso del tempo i suoi incredibili risultati. E tutto questo lavoro serve per dare una logica a questo vino nel tempo.
Trovare una scintilla che lo faccia riconoscere al naso e al palato, che faccia tornare l’assaggiatore al luogo della sua nascita e vinificazione, che permetta di filtrare attraverso il vino il luogo e che lo renda non confondibile con nessun altro: questi sono gli obiettivi che la Storia deve porsi quando prende la forma di una bottiglia.
“Bevi il tuo Lugana giovane, giovanissimo e godrai della sua freschezza. Bevilo di due o tre anni e ne godrai la completezza. Bevilo decenne, sarai stupefatto dalla composta autorevolezza”
Luigi Veronelli, guru dell’enologia, così scriveva del Lugana DOC in una celebre poesia. Credeva che fosse un vino dall’alto potenziale: generalmente bevuto fresco, in annata, ricco di mineralità e sapidità, consigliava tuttavia di berlo persino dopo dieci anni per scoprirne la struttura e la sua autorevolezza.
Perchè l’affinamento
Igino Dal Cero, produttore di Ca’ dei Frati, si trova d’accordo con le parole di Veronelli, che peraltro fu anche caro amico di famiglia, e sostiene che “[…] si deve tentare una nuova strada con il Lugana DOC, quella dell’affinamento per scoprire davvero tutto il potenziale che solo il tempo sa regalarci”. Il Lugana, da sempre considerato un vino fresco, profumato e verticale, deve essere piano piano riscoperto negli anni, provando a tenere da parte qualche annata per riaprire le bottiglie con qualche anno di affinamento in tranquillità, al buio della cantina. Si scopre così un vero tesoro: il colore lievemente dorato ne esalta la sua eleganza, il fascino viene restituito dai suoi profumi, estremamente fruttati anche nel tempo; la frutta matura, quale la pesca, la pera, anche il mandarino, prendono il posto della classica mela verde, della camomilla e del gelsomino. Abbiamo aiutato il lavoro del tempo con un tappo tecnico: un Nomacorc Select Green 100 capace di attenuare lo scambio di ossigeno, evitando quindi ossidazioni precoci.
Privilegio di Famiglia
Con questa dicitura a marchio registrato abbiamo voluto dare i natali ad una nuova linea, inaugurata a Vinitaly 2023: i nostri vini affinati in bottiglia per almeno cinque anni. La scelta che abbiamo svolto è stata realizzata con il Lugana I Frati 2017 e con il Brolettino 2017, lasciando i vini in cantina, a temperatura controllata, nella penombra durante tutto questo tempo, permettendo solo al tempo di intervenire. Assaggiare questi vini è allora un privilegio, dato che per ciascuna referenza sono state prodotte solamente 5.000 bottiglie di questa annata. La famiglia Dal Cero dona così l’opportunità di far cogliere ai degustatori interessati un’ulteriore variabile del vino, quella del tempo, anche su vini freschi e tendenzialmente preferiti in annata.
L’annata 2017: non un caso
Era il 1967 quando Pietro Dal Cero, il fondatore di Ca’ dei Frati, firmava insieme ad altri agricoltori locali il primo disciplinare del Lugana DOC, il primo vino in Lombardia ad essere riconosciuto con un insieme di regole e normative che riconoscessero al prodotto un’ autorità regolamentata. Da quel tempo sono passati esattamente cinquanta anni fino alla vendemmia del 2017 che festeggiò quindi un compleanno di mezzo secolo.
La vendemmia 2017
Si ricorda l’annata 2017 come piuttosto calda con una scarsa escursione termica tra giorno e notte. Tale caratteristica di clima caldo fu in comune anche con le vendemmie 2009, 2011, 2012 e 2015. Il 2017 fu, in particolare, un anno con un’alta siccità, mitigata tuttavia dal terreno argilloso tipico della zona di produzione del Lugana e anche dalla presenza del microclima del lago di Garda, sempre temperato. Stagionalmente nel 2017 ci fu una primavera rigida ed un’estate molto secca, si evitarono, a favore della vigna, gelate primaverili proprio grazie all’influenza del lago. Fu un’annata, inoltre, la cui vendemmia fu anticipata, come anche nel 2007, che ebbe picchi di calore importanti. Si vendemmiò con almeno dieci giorni di anticipo rispetto al solito.
L’abbinamento
Che cosa abbinare quindi con questi vini così particolari e preziosi? Innanzitutto bisogna ricordare l’iter che viene svolto in cantina per poter trovare il miglior cibo da accompagnare. Il Lugana I Frati, 100% da vitigno Turbiana, resta circa 6-8 mesi in acciaio: ha quindi caratteristiche di freschezza e mineralità, che restano del tutto intatte anche dopo anni di affinamento in bottiglia. Il Brolettino, anch’esso 100% Turbiana, dopo un primo passaggio in acciaio, resta per circa 8-10 mesi in barrique di rovere francese nuova di media tostatura: ha quindi una texture più vellutata e nel tempo sviluppa sentori di spezie e di zenzero, percepibile anche dopo la deglutizione.
Gli abbinamenti consigliati sono quindi i seguenti, evitando per la loro struttura l’abbinamento al classico aperitivo, per il quale il Lugana I Frati e il Brolettino dell’annata corrente si prestano meglio:
– I Frati 2017 consigliato con una vellutata di zucca mantovana stagionata circa un anno oppure risotti importanti, morbidi e mantecati.
– Brolettino 2017 consigliato con un risotto allo zafferano (il classico alla Milanese), con una cucina indiana o fusione perchè tendente verso la spezia dolce oppure, più particolare, con l’anatra all’arancia.
Per ulteriori informazioni tecniche si consiglia di consultare le schede tecniche a questi indirizzi: Lugana I Frati e Brolettino.
In occasione della Verticale Storica di Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero DOCG avvenuta presso la nostra sede il 25 marzo 2023, abbiamo confrontato tutte le annate di questa prestigiosa referenza e ne abbiamo tratto alcune conclusioni in questa sede, riportando le considerazioni principali emerse per ogni annata dalla 2016 alla 2008 grazie alla discussione avvenuta tra quattro prestigiosi relatori di fronte ad un pubblico numeroso presente in sala: Igino Dal Cero, enologo e produttore di Ca’ dei Frati, Carlo Callari, enologo presso la nostra sede con un’esperienza quindicinale di produzione nella Valpolicella, Bernardo Pasquali, gastronomo e Gianpaolo Giacobbo, giornalista ed esperto di vino. Una bella squadra di veneti per analizzare una referenza così legata al territorio e che parla attraverso la struttura e i sapori della tua terra.
Luxinum: il nostro vigneto a Marcellise
Il vigneto con cui produciamo il nostro Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero ha una caratteristica molto importante per la produzione dell’uva: si trova a 350 m sul livello del mare ed è rivolto verso sud, con un clima ed un orientamento pregevole. L’investimento fu fatto nel 2002 in onore del papà dei tre attuali proprietari, Pietro Dal Cero, a cui poi è stata dedicata questa referenza. Pietro infatti, figlio di Felice Dal Cero, fondatore dell’azienda, è stato l’unico dei figli a continuare l’attività agricola dando una svolta decisiva con la specializzazione nell’ambito enologico. La produzione di Amarone sembrava un sogno dietro l’angolo, un tributo fortemente voluto dalla famiglia per celebrare l’origine veneta dei Dal Cero, provenienti da Montecchia di Crosara, spostatisi sul lago nel 1939, dopo la prima guerra mondiale. Da momento dell’acquisto di alcuni ettari in Valpolicella ad oggi sono ormai passati più di 20 anni e il sogno è diventato realtà, reso ancora più reale oggi dall’ascolto di questo vino potente e narrativo nella sua evoluzione di annata in annata.
Il territorio è quindi molto importante: essendo un appezzamento unico in collina a 350 metri sul mare, è stato realizzato con dei terrazzamenti che vengono raggiunti da un sole mai caldissimo – il nome Luxinum deriva proprio dal latino lux, luce, raccolta dodici ore al giorno – donando un forte sbalzo termico tra il giorno e la notte, ideale per le uve. Nella parte più alta del suolo affiora la roccia, la calce. Per realizzare l’impianto c’è stato uno spostamento di circa 60.000 metri cubi di terra per creare il vigneto senza recidere alberi già presenti in loco e il bosco che circonda tutt’ora il vigneto. L’altro elemento importante è l’acqua: infatti se la vigna non ha il giusto equilibrio e la perfetta idratazione essa fornisce un frutto squilibrato e ciò ripercuote nel vino. In questo luogo graziato da madre natura l’uva matura molto bene, mantenendo un’acidità molto alta che ci garantisce una certa longevità in bottiglia.
La nostra Corvina, il nostro Amarone
Per l’Amarone di Ca’ dei Frati si utilizzano uve tutte provenienti da un solo ed unico vigneto. Le uniche differenze presenti quindi sono piccole variazioni del periodo di raccolta di anno in anno, mantenendo però lo stesso stile di vinificazione, in annate diverse. Con la verticale, si ha la possibilità di assaggiare quindi un unico cru, lo stesso frutto dato dalle stesse piante anno per anno, valutando così cosa la natura ci ha regalato nel corso dei suoi cicli stagionali nel corso degli anni. Un assaggio svolto in questo modo serve per capire l’evoluzione della vigna, ma anche la maturazione delle vinificazioni svolte in cantina, nonché l’evoluzione del frutto ovvero la giovinezza del vino. E’ un vero e proprio archivio per la memoria gustativa nostra, di oggi, ma anche per i degustatori del futuro che si troveranno a mettere il naso (si spera deliziati) su questo nettare potente e sanguigno.
Marcellise: un salto all’indietro nel tempo
Si tratta di un luogo davvero particolare dove dimora il nostro vigneto: solo circa 500 abitanti ancora oggi ci vivono, di cui 274 donne, più della metà, a testimoniare come la campagna parli ancora al femminile.
Si trova nel Comune di San Martino Buonalbergo – per intendersi, l’uscita autostradale di Verona est – da lì si incontra questo luogo guardando in alto: le colline che compaiono sono quelle di Marcellise. È una delle vallate più piccole della Valpolicella orientale che si estende da Verona verso est, a Vicenza.
La sua caratteristica principale è quella di essere un vero e proprio biotopo: si tratta di una localizzazione geografica molto circoscritta dove c’è vigna, olivo, ciliegi e una grande biodiversità. Si possono ancora vedere piccoli casali, spesso antichi anche valorizzati e ben ristrutturati, e tanta crescita dei vigneti in lungo e in largo. Macellise infatti è molto vocata alla produzione di vino rosso. Trova i natali su due placche di marna profondissime, dette dorsali, nate da fusioni calcaree. Queste presenze fanno sì che si tratti della situazione migliore per un’uva rossa come la Corvina per poter crescere, tra marne profonde e poi affioranti. La valle infatti sarebbe alla vista completamente bianca, se non fosse ricoperta dalle vigne perchè la roccia emerge dalle profondità spesso e in vari punti del suolo. È impegnativo inoltre impiantare qui un vigneto perchè le vigne poggiano direttamente sulla roccia, ma tutto questo dona complessità, finezza ed eleganza ai vini.
Vino di territorio e vino di stile
La tradizione dei veronesi è nel fare vino è quella dell’appassimento. Inoltre nel Veneto non ci sono vini realizzati con un’uva sola: tante uve rosse e bianche sono chiamate alla realizzazione delle referenze di questa regione e per questo motivo i veronesi in particolare sono grandi esperti di blend, veri esperti di mixology nel vino. Questa è la vera storia del Veneto e non cambia per la Valpolicella. Qui infatti si trovano – permesse da disciplinare – la Corvina, il Corvinone, la Rondinella che concorrono alla realizzazione dello stesso vino. Per questa ragione quindi l’Amarone è un grande vino di territorio, dove esso è in grado di emergere fortemente; ma è un vino anche di stile, poiché l’idea del vino finale sta tutta nelle mani di chi lo produce. Da questo punto di vista infatti il pregio della denominazione è di non avere Amaroni tutti uguali, la tradizione enologica veronese valorizza la diversità come virtù. Il vino di ogni cantina viene segnato in modo definitivo dalla storia di chi lo ha fatto nascere e questa è la sola chiave per entrare nel mondo di quella specifica famiglia.
“Dal 2008 in Ca’ dei Frati è partita una storia bellissima di interpretazione del territorio rigorosa e svolta con grande umiltà e rispetto del territorio stesso, tirando fuori qualcosa di molto interpretativo ed eccezionale” afferma Bernardo Pasquali.
Un vino di necessità
In passato bisognava concentrare il vino realizzato con la Corvina e con altre uve tipiche della zona. Queste infatti davano un prodotto di circa 11 gradi alcool, così a partire dagli anni Trenta si è voluto concentrare il prodotto, renderlo più strutturato; al tempo l’unica possibilità di fare questo era di prendere l’uva, tagliarla con diverse tipologie e metterla sui graticci per appassimento. Significava in sostanza disidratare l’uva per aumentare la concentrazione zuccherina e ottenere infine un vino dall’alto grado alcolico.
Prima è nato il Recioto (la versione dolce dell’Amarone) e poi l’Amarone, si dice come errore, essendo diventato amaro durante il processo di produzione del classico Recioto. Oggi però predomina la versione secca.
Carlo Callari sostiene che l’Amarone sia “un vino giovane rispetto per esempio al Barolo che ha una storia alle spalle di più di 200 anni. Le prime bottiglie di Amarone sono degli anni Trenta o Quaranta. Solo dalla metà degli anni Novanta la produzione diventa importante e il successo è stato rapido. Difficoltà è portare nel bicchiere il territorio perchè il processo di appassimento tende a uniformare la tipologia. La disidratazione è infatti un fenomeno molto invasivo e la perdita di peso delle uve è notevole e con questa si perdono anche i caratteri specifici dell’uva. Diventa più un vino di processo così. La difficoltà principale quindi è valorizzare il territorio, facendo parlare il prodotto mantenendo un processo produttivo del tutto tradizionale”.
Per il nostro Amarone si utilizzano botti di rovere francese nuove che cedono tannino, ma è pulito, ovvero non cede i caratteri del vino che c’è stato a contatto precedentemente: è importante questo dettaglio se si vuole evidenziare l’annata e soprattutto se si vuole far parlare il territorio. Le barrique nuove infatti vengono scelte proprio per non incidere sul vitigno con il vino dell’anno precedente: ogni annata parla per sé, il territorio cambia e con esso il clima. L’uva è la stessa ma cambia nelle sue vibrazioni naturali profonde di anno in anno. Inoltre un legno riutilizzato molte volte può avere delle problematiche e durante l’utilizzo potrebbero danneggiare il vino contenuto. Soprattutto se l’annata nuova è migliore della precedente preferiamo come scelta filosofica aziendale utilizzare solo legni nuovi per la permanenza dell’Amarone.
Inoltre su tutto questo processo intervengono anche le tecniche d’avanguardia relative alla cantina come l’ossidazione evitata in fase di pigiatura e di vinificazione già nel suo momento iniziale, la saturazione delle vasche con l’anidride carbonica e il controllo costante della temperatura. La pigiatura delle uve per l’Amarone inoltre è generalmente svolta tra dicembre e febbraio in periodo generalmente sempre freddo e per tradizione vengono fatte macerazioni lunghe a freddo. In Ca’ dei Frati la macerazione viene invece svolta a caldo per estrarre più colore e più tannino dalle uve: questo passaggio però si rende necessario perchè si tratta di un vigneto con un’alta acidità naturale. Per la stessa ragione cerchiamo di prolungare la maturazione in pianta e poi lasciamo maturare il vino a lungo con 2 anni di barrique, 1 anno di acciaio e poi ancora altri anni di affinamento in bottiglia.
Macchina del tempo dal 2016 al 2008: torniamo alle origini con il nostro naso
Annata 2016
Si presenta croccante, fine e di grande eleganza. Ha una grande tensione olfattiva e gustativa che mostra tutto il suo potenziale di affinamento ancora per lungo tempo. Non mancano infatti freschezza e una leggera sapidità caratteristica della marna su cui nascono i vigneti. Il 2016 fu un’annata particolarmente fresca per cui la grande sfida fu quella di preservare questa freschezza donataci dalla natura. In queste situazioni infatti il vino tende ad ossidare facilmente. La sfida è stata felicemente vinta e oggi si presenta come un vino dal grande potenziale, forse una delle annate migliori di sempre.
Annata 2015
Valutata molto bene in generale dai produttori della Valpolicella, ma solo il tempo definisce il valore del vino e delle sue annate. La vigna qui ha più anni e non è poco nel risultato finale, infatti acquisisce nel tempo un materiale linfatico di maggiore pregio. Cosa aspettarsi nel 2015 da Marcellise? Abbiamo già detto che l’appassimento tende a uniformare i vini, ma il territorio ha una sua piacevolezza intrinseca: L’Amarone di Marcellise è diverso da quello di Negrar o Fumane, ad esempio. Il clima e i caratteri sono molto diversi tra loro. Marcellise ha di intrigante sempre la sua acidità strutturale, che aumenta e migliora in termini di equilibrio negli anni. Si avvicina sempre di più ad un equilibrio tra parti forti e molli che è fondamentale nel vino: le parti dure del vino si avvicinano in modo virtuoso alle parti morbide. Questo è il potenziale di Marcellise e di questa annata in particolare.
Vale la pena soffermarsi sul frutto in questa annata, perchè esso è tipico della Valpolicella: la ciliegia in varie sfumature, in varie tipologie ed è curioso percepire da diverse vallate di produzione il cambiamento delle ciliegie nell’Amarone. È la marasca o l’amarena tipica delle vallate: richiama la confettura, quasi dolce, nelle vallate che si trovano più in basso; sulle parti dorsali invece diventa marasca, con un finale quasi amandorlato, quasi acerbo. Nel nostro caso la ciliegia è più dolce, ma il carattere di fondo resta rivolto alla freschezza e all’acidità. Inoltre anche la sapidità salina è molto forte e davvero tipica di Marcellise: i cristalli di sale percepiti nella cavità orale emergono spesso, soprattutto in annate come la 2008.
Si traduce quindi in un’annata che ha grande profondità, con la capacità di un percorso davanti ancora molto importante.
Annata 2014 (non prodotto)
Fu un’annata molto piovosa e fredda, scura, con tante nuvole e la luce è un elemento fondamentale per la crescita della Corvina; quindi l’azienda ha rinunciato all’annata. È unica annata finora non prodotta.
Annata 2013
Annata buona ed equilibrata. Succulenta, piena e gustosa. I tannini sono allineati e dolciastri. Siamo già a qualche anno di distanza dalla vendemmia e per questa ragione emerge di più una nota evolutiva. Il colore tende verso un’evoluzioni positiva, mai tendente al color mattone perchè l’estrazione viene svolta ad alta temperatura invece che a bassa temperatura: questo dettaglio fa sì che i tannini non tendano mai al giallo aranciato, ma alla componente più rivolta al rosso e al viola, anche con un affinamento in bottiglia di più anni.
Annata 2012
Il clima ha alternato momenti siccitosi a momenti più piovosi. E’ stata quindi un’annata piuttosto difficile.
Fu complesso trovare l’equilibrio per la sua acidità naturale sempre molto spiccata: per questo motivo serve conoscere e prevedere il periodo giusto di raccolta per non degradare troppo l’uva matura in previsione dell’appassimento successivo. Al contempo il punto fondamentale però è di lasciare in pianta a maturare il frutto il più possibile per limitare la sua naturale acidità. Infatti se il vitigno ha un’acidità molto alta bisogna cercare di riequilibrarlo con la sua struttura. L’annata 2012 ha donato così longevità al vino, grazie al contrasto tra acidità alta con la sua maturazione più possibile prolungata in vigna.
Stiamo parlando ormai di un’annata che fa parte dei vini da decennio. Come si traduce quindi dal punto di vista organolettico? Si inizia a percepire la ciliegia mora, succosa e nera, la prugna, il rabarbaro che peraltro si trova nella valle di Marcellise in modo particolare, spezie dolci, anche un po’ orientaleggianti. È la bellezza dell’evoluzione che fa emergere tutti questi sentori, spontanei e riconoscibili. Il tannino dell’uva perde qui forza rispetto al tannino donato dal legno che diventa nel tempo più significativo, tanto che si arrivano a percepire diverse nuance anche viranti al cioccolato. Si sente molto infine la bacca di ginepro, intrigante nel vino e anch’essa tipica della valle di Marcellise.
Una nota importante: si tratta dell’ultimo imbottigliamento con il tappo di sughero (da qui in poi si utilizza il tappo Nomacorc in polietilene di canna da zucchero, 100% green). La ricaduta di questo è diretta su una maturazione diversa, per un passaggio di ossigeno regolamentato diversamente all’interno della bottiglia.
Annata 2011
Si tratta di un Amarone vecchio stile, si sente tutta la sua finezza. Anche questa fu un’annata piovosa e più fresca delle precedenti che ha espresso nel vino tutto il suo andamento climatico. Qui quindi torna una buona freschezza, nonostante l’annata sia più vecchia delle precedenti assaggiate finora. Si sente più freschezza e mineralità nonostante il frutto sia più maturo. Sembra una situazione un po’ strana, ma si trova lo stesso riscontro anche dal punto di vista del colore: è più fresco, più chiaro rispetto al 2012, ad esempio. Per fare questi confronti è fondamentale considerare che si tratti di uva che proviene dallo stesso vigneto. Infine da non dimenticare un accenno di balsamicità dovuta alla maturazione dei sentori terziari negli anni e da questo punto di vista il vitigno Corvinone conta molto nello sviluppo di queste note.
Annata 2010
Si colloca tra gli Amaroni di Ca’ dei Frati più evoluti: si percepisce una ciliegia appassita sotto spirito, ricoperta da un velo di cioccolato, la spezia si mostra di più, in particolare il pepe nero tipico della Valpolicella. Si avverte una presenza elegante del legno; i tannini sono più terziari rispetto a tannini evidenti della pianta che è abbastanza giovane nel momento della raccolta nel 2010. In generale però riemergono equilibrio e freschezza: Marcellise fornisce l’impalcatura naturale per aggrappare le caratteristiche del vino – ph, sapidità e freschezza – e lascia al produttore la possibilità di gestire in parte la sua maturazione. A Marcellise in passato si pascolavano gli animali, era la Lessinia destinata a pecore e a vacche, oggi è diventato tutto vigneto su una terra vergine, una terra non consumata, rocciosa e affiorante. L’unica cosa che si faceva era il pascolo con conseguente naturale concimazione. L’eleganza qui diventa suadenza con un tannino sinuoso e vellutato. Perde totalmente la sua parte più rude.
Annata 2009
Paragonato al 2003 e al 2022 per le temperature medie, con picchi importanti di quasi 40 gradi Centigradi.
Il vigneto essendo in altitudine non soffre grandi problematiche relative al caldo. C’è sempre un’aria fresca che scorre tra le foglie delle viti. Questa tuttavia è stata un’annata molto calda e corrisponde esattamente a quel calore: ne emerge un frutto molto maturo con un effetto cioccolato, suadente e un po’ goloso. È il momento di coglierlo.
Ha forse una vita più corta rispetto agli altri Amaroni di Ca’ dei Frati. Ha tuttavia note ancora un po’ verdi nonostante tutti questi anni in bottiglia: è proprio così, un’annata fresca che porta tannini non molto maturi, lascia che restino crudi anche dopo tanti anni trascorsi in bottiglia. Alla fine del sorso però diventa quasi una marmellata, una crema, risultando un vino molto concentrato.
Igino Dal Cero dice: “È stata un’annata molto particolare. È stata la seconda annata che verificavo, con delle analisi totalmente opposte rispetto al 2008 che era la prima annata da noi prodotta, molto acida, la 2009 invece era molto morbida. Il produttore di fatto può cercare di correggere, ma l’annata e la sua portata climatica emerge sempre. Io sono innamorato del 2008 che è stata la prima annata, il 2009 mi sembrava meno longevo; ora invece la 2008 ha una morbidezza quasi da cioccolato fuso. Il 2009 sembrava più molle con un’acidità più bassa. Invece è ancora qui che vive e lo fa bene: ha una sua sensazione più tipica forse come Amarone, più simile alla media degli Amaroni delle parti più basse della Valpolicella in termini di acidità”.
Il territorio forse qui – inteso come microarea – potrebbe un po’ sentirsi lontano: l’acidità e l’impalcatura che sostiene le morbidezze risultano un po’ molli e meno caratteriali, ma dal punto di vista strutturale queste sensazioni sono mitigate, da una bellissima acidità tipica.
Annata 2008
Tanta esuberanza, è stata la nostra prima indimenticabile esperienza. E’ stata segnata molto dal territorio di Marcellise, cosa a cui abbiamo da sempre teso l’occhio e la nostra attenzione per far emergere lo stesso nelle annate successive.
L’annata 2008 oggi ha ovviamente perso l’esuberanza giovanile tipica della Corvina, ma ha ancora scosse e vibrazioni da ascoltare, quasi in meditazione, che scorrono tra le morbidezze del vino. Sono passati ormai parecchi anni dalla sua vendemmia, ma nonostante ciò, sembra avere una prospettiva di vita ancora lunga.
Fare enoturismo oggi significa davvero tante cose insieme: un’occhio di riguardo per il cliente che si reca in cantina, calorosa accoglienza, conoscenza profonda del prodotto, competenze sempre aggiornate, attività e creatività per promuovere un territorio e i suoi vini. Fare esperienza di un luogo e dei prodotti che provengono dalla sua terra è uno dei modi più genuini e intimi per entrare in contatto e connettersi profondamente con un terroir.
Vivere in modo esclusivo e particolare le zone di produzione del vino, passeggiare tra i legni delle barriques, respirare l’aria che si trova in un preciso luogo di un vigneto, sentirne sulla pelle il microclima e guardarsi attorno con gli occhi di un vignaiolo è quanto si cerca di trasmettere in un’esperienza a tema enologico. Non dimentichiamo poi il piacere della scoperta: gli eno-amatori infatti provano entusiasmo e passione per le storie che si trovano dentro una bottiglia di vino. Il nettare bacchico suona nella sua discesa dalla bottiglia al bicchiere, canta dolci parole e si racconta con il suo profumo varietale che sa profondamente del luogo da cui proviene. E’ il suo passaporto per i mondo.
Cosa è l’enoturismo per Ca’ dei Frati?
Essere il proprio vino e viverlo, dalla sua nascita fino alla sua morte, gloriosamente bevuto da chi lo sa apprezzare, è l’orgoglio più recondito di ogni produttore. La condivisione di questo sentimento è la base della filosofia dell’accoglienza in Ca’ dei Frati. Nasce così l’Amarone Wine Experience.
L’Amarone Wine Experience è pensata per essere l’esperienza per eccellenza del vino in Ca’ dei Frati. Un tour della durata di circa un’ora svolto a cantina chiusa al pubblico con guida un sommelier della famiglia in cui si segue tutto il processo di produzione vitivinicola dalla raccolta dell’uva fino alla barricaia e agli spumanti metodo classico, segue una degustazione di vini tipici del territorio di Lugana, incluse le DOC, accompagnati da un ricco aperitivo artigianale salato in abbinamento, realizzato dalla pasticceria di famiglia La Fenice: sono queste le due attività svolte nella tenuta. Infine per concludere la ruota dei vini assaggiati, un pranzo o una cena con il grande ospite d’onore: l’Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero DOCG. Al ristorante La Lugana Trattoria di proprietà della famiglia Dal Cero, a solo un chilometro dalla cantina, direttamente sulle dolci rive del lago di Garda, si offre un menù tipico della tradizione veronese, proprio come le origini della famiglia produttrice di vino: risotto all’Amarone e Monte Veronese e un secondo di carne di manzo cotta a bassa temperatura con ristretto all’Amarone. Un assaggio di Amarone Pietro Dal Cero DOCG è incluso e conclude l’esperienza enogastronomica al palato. Immancabile in chiusura una mini-cake artigianale realizzata dai tre Maestri pasticceri della struttura.
Se ti intriga l’enoturismo e anche questa esperienza in Ca’ dei Frati, puoi prenotare il tuo posto o regalare un voucher scrivendo a mariachiara@cadeifrati.it. Realizziamo questa esperienza enogastronomica almeno una volta al mese, nel fine settimana.
Visitando Ca’ dei Frati, non si trovano grandi opere d’arte con cartellini a definirle o a interpretarle. La tendenza degli ultimi anni è stata quella di unire l’arte, soprattutto contemporanea, al contesto paesaggistico vinicolo e alle sue attività produttive. Ecco, a questo trend Ca’ dei Frati ha aderito in un modo tutto suo.
Partendo dal concetto di “arte totale”, ogni cosa che si tocca e si vede in azienda è frutto di un pensiero, di una valutazione interiore e fisica allo stesso tempo. Tutto riflette l’esperienza finale, quella della fruizione del vino in un contesto che rende possibile, in sostanza, l’immersione in quel bicchiere con testa e corpo, come un tuffo da un’alta scogliera del lago che, dopo lo slancio, accoglie immensamente anima e fisicità.
Si tratta di un incontro tra cantina e arte che è certamente più sottile, ma non meno degno di nota. Nel bel mezzo di un territorio noto per la sua DOC, il Lugana, a due passi dalle sponde meridionali del lago di Garda, il rapporto con l’arte è onnipresente ed innovativo, anche se di non facile individuazione per un occhio non abituato a osservare i dettagli.
L’idea alla base della nuova costruzione avvenuta nel 2018 è di abbinare al “tempio dedicato al vino” alcune maestranze locali che lavorano ancora oggi con antiche tecniche di produzione materiale. In particolare ci si riferisce alla lavorazione di legni pregiati, ferro battuto tornito a mano, realizzazione di vetrate a fondo di bottiglia per richiamare il contesto tardo-medioevale, lampadari realizzati a vetro soffiato e affreschi dipinti a mano grazie ad antiche tecniche di asciugatura sulla parete umida.
La cantina ha in ogni caso una lunga storia da vantare: la struttura originaria risalente alla metà del Quattrocento era infatti un distaccamento dei frati Carmelitani Scalzi dell’ordine di Santa Maria de Senioribus, i quali avevano come sede principale un monastero a circa otto chilometri, l’attuale Museo Rambotti di Desenzano del Garda, dal luogo su cui sorgeva l’antica casa vinicola.
I frati a quel tempo abitavano la tenuta per scopi sostanzialmente produttivi poiché la terra rispondeva adeguatamente ai loro bisogni: possedevano qualche ettaro di vigna, dato in mezzadria a contadini della zona per la produzione di vino per la santa messa. Questo dato interessa molto la tenuta attuale perchè testimonia la presenza della vite nel contesto locale già da più di cinquecento anni. Di quel tempo resta oggi nella sala storica soltanto un antico portale marmoreo con lo stemma dei frati, divenuto oggi il marchio ufficiale del brand Ca’ dei Frati.
Il riferimento al tema religioso intercorre in ogni dettaglio della cantina, a partire dalla nuova sala degustazione che emula la navata principale di una chiesa nel cui abside viene proiettato a parete un video a ciclo continuo che racconta la campagna, la produzione di vino in loco e i più di ottanta anni di attività vitivinicola della famiglia sul territorio.
L’idea del “tempio” dedicato al prodotto di punta, il vino, è nata proprio con una ricerca sul passato storico della tenuta, adottando oggi stilemi e usanze dell’epoca che si riflettono sul mobilio (panche e tavoli per la degustazione o il leggio come espositore delle brochure aziendali) e sulla funzione delle strutture stesse. Il consumatore si trova immerso totalmente in un’architettura che emula la storia dell’azienda e questa percezione è avvalorata dai preziosi dettagli artistici che si ritrovano durante tutto il percorso di visita. Gli stessi pavimenti, a titolo d’esempio, ricalcano gli antichi pavimenti cosmateschi delle chiese il cui significato era quello di aiutare l’officiante a ricordare le diverse tappe durante la cerimonia grazie all’uso di forme e colori che trovava a terra, adempiendo nel contempo una funzione decorativa.
In Ca’ dei Frati da segnalare innanzitutto è il coro realizzato a mano totalmente in legno di noce pensato per essere utilizzato come espositore per le referenze aziendali: il cliente si trova immerso in un’atmosfera antica e reverenziale proprio al momento dell’acquisto del vino, con in sottofondo i cori ecclesiastici che cantano rigorosamente in latino. La manifattura che ha realizzato il coro ha portato a compimento per l’azienda anche la bussola d’ingresso, proprio come una chiesa antica, e tutte le vetrate delle grandi porte presenti in cantina, nella zona di produzione, decorate a fondi di bottiglia. Il nome della manifattura è Arte Poli di Verona che vanta un discreto numero di artisti che, ormai tra gli ultimi, lavorano ancora con le tecniche del tempo, rigorosamente a mano. Anche panche, tavoli, banconi per la degustazione, leggii per le brochure e una teca con in esposizione le referenze sono state realizzate da un artista falegname, Fausto Bonini. È stato chiamato un mastro vetraio muranese per i lampadari della sala del coro, Fabio Fornasier, che vanta uno splendido atelier proprio a Murano. Per i ferri battuti che si incontrano in alcuni dettagli lungo la visita in cantina (come per esempio la ringhiera delle scale che scendono in barricaia) è stato interpellato il fabbro artista Dante Bonometti. Infine per tutti i decori a parete realizzati con l’antica tecnica ad affresco è stata chiamata la compagnia di artisti La Fede di Brescia.
Il concetto che sta alla base della scelta di unire un luogo di accoglienza per il consumatore di vino e i luoghi destinati alla produzione con l’arte delle manifatture locali vuole esaltare la capacità mentale e manuale dell’uomo di saper trasformare la materia prima in qualcosa d’altro, in qualcosa di più potente, e la sua abilità innata nel tempo. L’uomo ha sempre prodotto vino, ma ha anche sempre realizzato arte, due ambiti che Ca’ dei Frati tenta di far coincidere attraverso la sua struttura architettonica e paesaggistica.
Entrando nel salone adibito alla degustazione, come una navata centrale di una chiesa, si richiede un tono di voce basso: la sensazione è reverenziale come in un luogo religioso. Il silenzio relegato ai luoghi di culto diventa qui una cifra stilistica in rispetto di chi sta degustando per permettere di concentrare tutti i sensi sul vino e sul bicchiere, ovvero sull’esperienza di fruizione.
Si tratta di un modo di esperire il vino avvolgente e totale in grado di far percepire sensazioni dall’interno della propria emotività attraverso i cinque sensi e dall’esterno, evocati attraverso l’ambiente ed il luogo.
Tale approccio viene ricreato già a partire dall’esterno della cantina almeno per due motivi: la facciata richiama le chiese del luogo risalenti ai primi anni del Cinquecento, con un porticato allungato in orizzontale che cura l’estetica esterna con un’alternanza di pieni e di vuoti; inoltre tutt’attorno all’azienda si estendono ettari di vigneti nuovi e antichi dove si coltiva il vitigno autoctono, il Turbiana, utilizzato per la realizzazione del Lugana DOC. Infine sullo sfondo un magnifico paesaggio gardesano dove si staglia il Monte Baldo con il suo cocuzzolo imbiancato.
L’arte è il vino
L’arte e il vino quindi restano due ambiti culturali estremamente interconnessi, non solo in tempi recenti, ma anche approfondendo nelle rispettive radici della loro storia. Spesso intrecciati e rincorsi a vicenda, si fatica a comprendere quale venga prima e da chi dipenda davvero l’altro. Alla fine infatti il vino si definisce come “un’arte pura”, se non altro in quell’aspetto che prevede una grande sensibilità da parte del vignaiolo nella realizzazione del suo prodotto finale, un prodotto che per quanto il processo di produzione sia standardizzato sarà sempre figlio di una sola mano e di una sola mente. L’arte è proprio questo: la capacità di realizzare qualcosa di già noto e conosciuto, ma in un modo che soltanto l’artista sa fare.
Per approfondire:
BIBLIOGRAFIA
R. ASSUNTO, Il paesaggio e l’estetica, Giannini, Napoli 1973.
L. ANDREINI, Cantina Antinori. Cronistoria della costruzione di un nuovo paesaggio, Forma Edizioni, Firenze 2019.
ARChALP (Foglio semestrale dell’Istituto di Architettura Montana), Vini, paesaggi, architetture, n. 6, dicembre 2013.
A. BAJANI, La Cappella del Barolo, Corraini Edizioni, Mantova 2019. R. BARTHES, Miti d’oggi, Einaudi, Torino 1974.
G. BIETTI – L. MOLINARI, Cantine da collezione. Itinerari di architettura contemporanea nel paesaggio italiano, Forma Edizioni, Novara 2017.
A. CARLSON, Nature, Aesthetic Judgment, and Objectivity, in “Journal of Aesthetic and Art Criticism”, Oxford University Press, 40, 1.
F. CHIORINO, Cantine secolo XXI. Architetture e paesaggi del vino, Mondadori Electa, Milano 2011.A.
CLEMENTI, Interpretazioni di paesaggio, Meltemi, Roma 2002.
G. CONFORTI, Il simbolismo della villa tra sacro e mondano, in Villa Della Torre a Fumane di Valpolicella, Antiga Edizioni, Verona 2014.
G. CONFORTI, Villa Della Torre, in Centootto Ville della Valpolicella, Damolgraf, Verona 2016.
P. D’ANGELO a cura di, Estetica e paesaggio, Il Mulino, Bologna 2009.
L. DE SUTTER, L’arte dell’ebbrezza, Giometti & Antonello, Macerata 2021.
M. DONA’, La filosofia del vino, Bompiani, Milano 2009.
M. DONA’, Pensieri Bacchici. Vino tra filosofia, letteratura, arte e politica, Edizioni Saletta dell’Uva, Caserta 2016.
M. DONA’, Sapere il sapore. Filosofia del cibo e del vino, Edizioni ETS, Pisa 2021.
S. FERRI, Mimesis, in Enciclopedia dell’Arte Antica, Roma 1997, ad vocem.
M. T. FRANCO, Per villa Della Torre a Fumane: la committenza, una data certa e altre questioni, in Magna Verona Vale. Studi in onore di Pierpaolo Brugnoli, a cura di A. Brugnoli e G. M. Varanini, La Grafica Editrice, Verona 2008.
J. GHILARDOTTI, La casa degli Atellani e la vigna di Leonardo, Rai Libri, Torino 2015.
E. HEMINGWAY, Morte nel pomeriggio, Einaudi, Torino 1947. K. KERENY, Dioniso, Adelphi, Milano 1998.
A. MANIGLIO CALCAGNO, Architettura del Paesaggio. Evoluzione storica, FrancoAngeli, Milano 2006.
F. LOLLINI, Lo sguardo sul cibo. Natura e artificio nel rapporto tra arti e alimentazione, Edizioni Engramma, Venezia 2016.
N. PERULLO, Il gusto non è un senso ma un compito. Epistenologia II, Mimesis, Milano 2018.
E. ROCCA, Prolegomeni per una filosofia del paesaggio, Reggio Calabria, Iiriti 2007. V. RUSSO, Neuroscienze a tavola. I segreti del cervello per avere successo nella ristorazione, GueriniNext, Milano 2020.
A. SANDRINI, Villa della Torre a Fumane, Banca Agricola Popolare Cerea, Verona 1993.
S. SANGIORGI, L’invenzione della gioia. Educarsi al vino. Sogno civiltà linguaggio, Roma 2014.