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Tag: Pietro dal Cero

Cioccolato & vino: un binomio bizzarro

Uno degli abbinamenti più azzardati che si possono fare con il vino è accompagnarlo con il cioccolato. Bisogna certamente distinguere tipologie di vino e tipologie di cioccolato: sono infatti due mondi incredibilmente vasti e molto interessati da approfondire. Se sei curioso (e goloso!) non ti resta che procedere nella lettura e scoprire come sbalordire i commensali a fine serata.

Partiamo dal vino. Nella gamma di referenze di Ca’ dei Frati sposano l’accompagnamento con il cioccolato l’Amarone della Valpolicella DOCG (blend di Corvina, Corvinone e Rondinella), soprattutto nelle annate più longeve e con qualche anno di maturazione, quando diventa “vino da meditazione”, il Tre Filer, passito di Turbiana, Chardonnay e Sauvignon Blanc che per la sua dolcezza non troppo ostentata rimanda ad alcune note di miele e frutta secca, e le grappe, in particolare quella ricavata da vinaccia di Amarone. Queste tipologie di vino si abbinano al meglio ad alcuni tipi di cioccolato (diversi a seconda del vino selezionato) per le caratteristiche intrinseche e per la composizione e struttura del prodotto stesso, vale a dire: morbidezza, dolcezza e presenza di sentori affini al cioccolato per un abbinamento svolto per analogia di sensazioni.

Il cioccolato invece – quello vero, ricavato dalla cabosside, ovvero la fava di cacao – si divide in tre grandi famiglie: il Criollo che è il più pregiato, il più delicato, ma fornisce solo meno del 1% del cacao mondiale;  il Trinitario che è un ibrido tra il precedente e il Forastero, di cui si parlerà tra poco. Rappresenta circa l’8% del cacao dell’industria cioccolatiera e ha caratteristiche intermedie tra i due. Infine il Forastero, la varietà meno pregiata, da cui si ricava il 90% del cacao mondiale, è quindi la varietà più diffusa e coltivata al mondo.

Per il cioccolato, come per il vino, si può parlare di blend o di monovarietà (perfino di cru, con un termine condiviso con il mondo della vite). Nel primo caso, che è anche quello più comune, si miscelano diverse tipologie di cacao per ottenere una tavoletta con un buon bilanciamento tra qualità e costi della materia prima, con caratteristiche costanti nel tempo. Il cru invece indica che la tavoletta è ottenuta da un solo tipo di cacao, oppure da un cacao proveniente da un’unica zona. In questo caso la qualità quindi sarà maggiore.

Nella degustazione che proponiamo di seguito comparando i vini selezionati ad alcune tipologie di cioccolato si tiene conto anche del sistema di degustazione dei due prodotti. In entrambi i casi, sia per il cioccolato sia per il vino, la degustazione si divide in tre momenti: l’osservazione del colore (nel caso del cioccolato più è chiaro più indica che è di qualità; nel caso del vino le tinte più scure indicano che è un vino pronto o addirittura maturo), l’olfazione diretta e il ritorno retrolfattivo dopo la deglutizione (nel caso del cioccolato lo si lascia sciogliere in bocca; per il vino invece si prende un sorso e si cerca di farlo aderire al meglio su tutte le pareti della bocca) e infine la valutazione gustativa dove, in sintesi, si valuta la dolcezza, l’amarezza, l’acidità, l’astringenza e l’aspetto della piacevolezza complessiva. Si può anche aggiungere un ulteriore modalità di ascolto del prodotto: quella auditiva, dove letteralmente si ascolta il suono del cioccolato che viene spezzato per capirne la consistenza. D’altra parte anche il vino suona e canta quando viene versato nel calice! Ad ogni parametro quindi viene dato un punteggio, la cui somma definirà la categoria qualitativa dei due prodotti.

Vediamo allora gli abbinamenti che abbiamo provato con i loro punti di forza. Attenzione: non adatto ai troppo golosi!

  • Con l’Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero 2016 abbiamo abbinato un cioccolato Chuao dal Venezuela con il 75% di cacao (consigliamo la ditta Maglio): i sentori che emergono rimandano alla frutta secca, con tendenza quasi lattea e verso sensazioni di panna. E’ un abbinamento chiaro ed elegante, da conclusione di serata, quasi meditativo. In questo caso l’acidità ancora presente nell’Amarone 2016 si sposa con quella presente nel cioccolato.
  • Con l’Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero 2008 abbiamo abbinato un cioccolato Carenero el Clavo proveniente dal Venezuela con il 72% di cacao (sempre della ditta Maglio). In tal caso la granella di cacao presente sulla superficie del cioccolato ci rimanda direttamente ai sentori terziari sviluppati nel vino nel corso degli anni in bottiglia. L’aspetto quindi più grezzo del cioccolato rimanda al naso e al palato sensazioni più intense e robuste, con una grande e perfetta fusione tra i due prodotti. E’ in assoluto l’abbinamento che abbiamo apprezzato maggiormente.
  • Con il passito Tre Filer abbiamo scelto un blend delle zone caraibiche, il Caraibe con il 66% di cacao della ditta Valrhona. In questo caso si esaltano l’equilibrio, la grazia e la dolcezza leggermente aromatica tendente al miele e ai fiori bianchi.
  • Con la grappa ottenuta da vinacce di Amarone abbiamo pensato di unire un blend di Criollo con l’80% di cacao della ditta Domori il cui cioccolato non contiene alcuna percentuale di burro di cacao, ma solo cacao in purezza e un 20% di zucchero. I sentori che emergono rimandano alla frutta secca, alla nocciola e alla mandorla. Con un cioccolato importante come questo ci siamo affidati ad una grappa sostenuta e potente per esaltare la dolcezza e l’armonia.

Infine un ulteriore consiglio per qualche dolce per una chiusura con eleganza. Nella serata che abbiamo tenuto in cantina dove abbiamo provato in prima persona questi bizzarri abbinamenti, abbiamo pensato di concludere la degustazione con due mignon artigianali della nostra Pasticceria La Fenice abbinati al Tre Filer, ideale con pasticceria cremosa e anche secca. La prima è una creazione dal titolo “Oro giallo” dove una bavarese allo zafferano si unisce ad un cremoso di cioccolato al latte; la seconda invece è per i veri amanti del cioccolato fondente: uno yo-yo di cioccolato realizzato con spuma di cioccolato araguani al 72% e frollino al cacao.

Si ringrazia Roberto Caraceni

vice-presidente dell’Associazione Compagnia del Cioccolato

per i preziosi consigli di abbinamento.

 

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La DOC Lugana: il vino del Garda meridionale

Un tuffo nel passato con un po’ di immaginazione

Siamo nel 1967 a Lugana, una zona di campagna contadina, con molte meno case di quelle che si possono vedere oggi. Pochissime automobili, piuttosto carriole per trasportare alimenti, viveri, acqua e qualche damigiana di vino.
Ad un chilometro in linea d’aria dalle coste del lago di Garda si trova una piccola azienda con non più di 5 ettari di campagna attorno, animali da cortile e un grande fienile accanto ad una vecchia casa colonica. Si produce anche vino, un vino bianco contadino, agreste e forse poco raffinato, ma già allora aveva del potenziale.
Era la colazione, l’aperitivo, il pranzo e la cena delle famiglie del luogo che abitavano in Lugana.

Una lunga strada sterrata connetteva la famiglia Dal Cero che qui abitava, lavorava e viveva, con il centro del paese. Un via vai di amici, conoscenti e parenti solcava a piedi quella stradina chiedendo vino sfuso in damigiana per rispettare la tradizione del luogo. Dal lunedì al sabato. Gli orari di apertura erano solo un modo di dire. Rosa e Pietro accoglievano con ancor più gioia i passanti della domenica, quando, lontani dal lavoro in vigna solo per qualche ora, mostravano con voglia di condivisione e qualche bicchiere di vino la loro tenuta.

Qualcosa cambia

È forse proprio da questo interesse verso il vino sempre più profondo da parte della gente a far emergere in Pietro la volontà di dare un riconoscimento a quel prodotto, cercare di raffinarlo, migliorarlo, rendendolo più appetibile con i piatti locali contadini.
Vedeva che il territorio del Lugana poteva avere del potenziale se ci si metteva in ascolto della Natura del luogo.
Una zona paludosa (anticamente silva lucana) e ricca di acquitrini fino al medioevo, bonificata dai frati, resa coltivabile e da allora sempre sfruttata. Il lago non poteva che essere d’aiuto: la sua origine glaciale ha da sempre fornito ricchi minerali e grande freschezza. Il clima del Lugana è un altro punto a suo favore: una baia a cavallo tra due regioni sempre riparata e ventilata al punto giusto.
La vite non poteva che risorgere qui dopo gli attacchi di peronospora e oidio. La composizione del suolo sabbiosa in collina e argillosa verso il lago ha giocato un ruolo notevole.

Il disciplinare: un documento nato dal niente

Pietro Dal Cero, insieme ad altri contadini lungimiranti della Lugana, è stato tra i firmatari del primo disciplinare per la DOC del Lugana nel 1967. Nasce così la prima Denominazione di Origine Controllata della Lombardia.

Solo due anni dopo Ca’ dei Frati rivoluziona il suo mercato vinicolo trasformando la produzione: da vino sfuso si passa alla bottiglia di Lugana I Frati. Una bottiglia renana verde scura, allungata, come era in uso all’epoca. L’etichetta rappresentava il marchio lasciato dai Frati Carmelitani che abitavano la tenuta nella metà del XV secolo. Già si notava la volontà di riconnettersi con le antiche radici del territorio e con la sua storia strettamente locale e artigianale.

La DOC oggi

Nella DOC oggi rientrano cinque comuni del lago e dell’entroterra: Sirmione (sotto cui rientra la frazione di Lugana), Peschiera del Garda, Pozzolengo, Lonato e Desenzano del Garda. Si tratta di un areale di 2500 ettari vitati con una produzione di circa 25 milioni di bottiglie all’anno in totale. Sono otto le cantine che si impegnano nella produzione di questa DOC nel comune di Sirmione: la posizione strategica vicina al lago, pur restando in campagna, attira turisti e curiosi, soprattutto in anni più recenti.

Il vitigno principe per questa produzione è la Turbiana, facente parte della grande famiglia dei Trebbiani italiani, con un DNA studiato a lungo dal professor Attilio Scienza e dall’Università di Milano. Ne è emersa una vicinanza a vitigni bianchi tipici di zone poco distanti come il trebbiano di Soave e il Verdicchio, suoi fratelli.

La sua freschezza e tipicità nel bicchiere al naso e al palato sono state esaltate da scrittori e poeti non solo in anni recenti, come nella celebre poesia di Luigi Veronelli, che elogiava il Lugana con qualche anno sulle spalle, ma anche in passato. Tra le più antiche citazioni, insieme a quella di Agostino Gallo del XVI secolo nelle “Venti giornate dell’agricoltura”, ricordiamo quella della fine del Cinquecento di Andrea Bacci che esaltava proprio “i trebulani” prodotti nelle nostre zone, dove “trebula” indicherebbe anticamente un vino casereccio e di paese.

Per scoprire ulteriori curiosità sulla storia della famiglia Dal Cero, presente in Lugana dal 1939, e sulla produzione di questa DOC così speciale e delimitata territorialmente ti invitiamo a partecipare a uno dei tour gratuiti della tenuta prenotabile online da qui.

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Formaggi dal mondo e vini: note per un pairing perfetto

Formaggi e vini: quale abbinamento più goloso ed enogastronomicamente perfetto? Dopo la serata avvenuta a settembre in cui ci siamo focalizzati sull’abbinamento tra formaggi e vini in cantina con una serie di numerosi assaggi, traiamo qui le somme e vi proponiamo alcuni abbinamenti gustosi e geniali con i nostri vini.

Innanzitutto c’è da distinguere due tipologie di abbinamenti: quelli per assonanza, in cui il grasso del formaggio si sposa alla dolcezza e alle morbidezze del vino, e quelli per dissonanza, dove un formaggio più amaro, ad esempio, viene smussato dall’alcolicità del vino. Nel primo caso le due referenze abbinate vanno “d’amore e d’accordo”, nel secondo caso invece si bilanciano, sono tra loro complementari. In linea di massima infatti è necessario che i due protagonisti dell’abbinamento non si sovrastino a vicenda: nessuno deve uscire totalmente vincitore al palato. Quando il pairing risulta perfetto lo si percepisce perchè tocca e fa esplodere le emozioni giuste, facendo emergere entrambe le espressioni alimentari.

Durante la degustazione del formaggio inoltre si usano le mani: il formaggio va spezzato e osservato: come sono le sue occhiature? Come è il suo colore? Ma soprattutto si analizza il sottocrosta, il cui colore è forse ancora più importante della crosta stessa. Per questa ragione quando si abbina il formaggio al vino si forniscono pezzi di formaggio sempre muniti di crosta. Il formaggio poi si annusa per qualche istante, poi lo si porta alla bocca (tralasciando la crosta, ma non sempre! Dipende dalla tipologia di formaggio) e solo a questo punto, si beve un sorso di vino per provarne l’abbinamento. Si consiglia inoltre di fare una breve analisi sensoriale del vino in precedenza, osservando colore, persistenza e bouquet al naso e infine caratteristiche al palato e resto-olfattive dopo aver deglutito.

Di seguito quindi potrai prendere spunto per le prossime tue cene famigliari e in compagnia di amici per esaltare al meglio il prodotto morbido e gustoso del latte abbinato al nostro nettare bacchico.

COMTE’ AOP

Consigliato con l’Amarone della Valpolicella DOCG Pietro Dal Cero. Si tratta di un formaggio proveniente dalla Francia, con oltre 24 mesi di stagionatura. Sebbene con l’Amarone il tipico abbinamento sia con il Monteveronese stravecchio di malga, in questo caso ci lanciamo in un abbinamento davvero originale e saporito. 

Di questo formaggio se ne producono forme piuttosto grosse e lo si può trovare in tante e diverse stagionature perchè va abbinato a cibi diversi di solito appartenenti alla tradizione francese. Proprio per questa ragione il sottococrosta ha tante e diverse sfumature, al tatto pare perfino seta: questo è proprio il suo valore, la sua caratteristica. In bocca ha un finale molto vegetale, quasi ricorda il minestrone o la vellutata di verdure, ma anche il porcino e il caramello. Ed è proprio con queste particolari note che si può avvicinare senza troppa timidezza ad un Amarone anche un po’ maturo, come il nostro 2011. Il loro abbraccio infatti fa percepire sensazioni fumè, in seguito speziate, anche che guardano all’oriente, e anche una leggera percezione di zenzero. 

OTTO PETALI

Consigliato con il nostro Brolettino per la pienezza e la rotondità, la persistenza e il bouquet intenso che presenta il formaggio. Il suo tipico sentore è quello della mela che risalta in questo abbinamento: il Brolettino infatti, trattandosi di un 100% Turbiana, ha tra i suoi sentori più caratteristici quello della mela appena tagliata, fragrante. La forte intensità aromatica tra i due elementi permette loro di equilibrarsi alla perfezione.

L’Otto Petali che abbiamo scelto viene dal caseificio Koch da Gonten, Appenzeller, in Svizzera, che è una zona tipica di formaggi amari e dalle grosse dimensioni. Ha alle spalle almeno 40-50 giorni di stagionatura poi la forma viene immersa in ben otto tipi diversi di fiori e corolle: il formaggio e i petali restano così sigillati insieme per almeno 2 o 3 mesi. Sulla crosta del nostro formaggio alla fine si trovano proprio i medesimi petali di fiori perchè durante la sua realizzazione viene posto in contenitori con adatti a contenere poco ossigeno, il formaggio quindi si allarga e assorbe l’olio essenziale rilasciato dai fiori durante questo lungo periodo. La forma viene poi asciugata e messa in vendita. I petali depositatisi sulla crosta donano al naso sentori di fiori, spezie, anche di sesamo, inoltre tipiche sensazioni vegetali e di glutammato (più noto come umami).

CRABEI 

Consigliato con La Rosa dei Frati per la sua grande sapidità, salinità e tanta frutta rossa. In questo caso si tratta di un abbinamento complementare di aromi che stanno bene insieme, arricchendosi vicendevolmente. 

Il Crabei che abbiamo scelto proviene dal caseificio Picciau, in Sardegna, nella zona di Cagliari dove usano il latte di pecore e capre per fonderne poi insieme il latte. È stato nel 2012 perfino il miglior formaggio al mondo: se ti capita di trovarlo quindi vale assolutamente una degustazione! Per realizzare questo formaggio si utilizza il latte delle tipiche pecore sarde, caratterizzate da un pelo molto lungo. Tuttavia la regola vuole che durante l’inverno il Crabei sia realizzato con il solo latte di pecora, durante l’estate invece vada aggiunto un 15% di latte di capra, il cui tipico sentore è quello di yogurt. Il latte di pecora, in particolare, ha tanti grassi concentrati, ed è sotto solo alla bufala, regalando così un colore particolare al latte e al formaggio.

Il Crabei è considerato un formaggio speziato: si sente molto bene all’assaggio il pepe nero e il mirto. Con un calice di Rosa dei Frati andiamo ad infittire queste percezioni di frutti di bosco e sottobosco in un’unione perfetta.

PECORINO FRESCO

Consigliato con il Lugana I Frati perchè si abbinano e si mettono a confronto due prodotti iconici di due territori autentici. Inoltre si tratta di un abbinamento “rispettoso” nel nostro caso, perchè esalta di più il vino Lugana che è tipico delle nostre zone, sostenendolo in struttura e limando la perfezione dell’alcool.

Il pecorino fresco che abbiamo scelto arriva dalla società agricola Cau & Spada da Sassocorvaro Auditore (PU) nelle Marche, un luogo che dal 1970 ha pascoli davvero molto importanti e riconosciuti. Dal formaggio, grazie a questa specifica territoriale, emergono sia dolcezza sia una percezione molto floreale perchè il territorio dei pascoli è ricco di fiori e piccoli frutti. E’ incredibile come già al naso si possa percepire il profumo del campo e delle campagne da dove proviene. Entra timido e si fa largo piano in bocca: questa caratteristica si sposta in modo eccellente con le note sapide e fresche del Turbiana. Tipica del formaggio è inoltre la dolcezza, cui segue una marcata sapidità, che poi esplode in una percezione di miele millefiori e miele di ailanto, banana e agrumi esotici, cui fanno da controparte le note fruttate e floreale di mela verde, pera e gelsomino del Lugana I Frati.

BARON BIGOD

Con questo formaggio consigliamo il Pratto perchè ha un equilibrio perfetto grazie alla sua frutta esotica e matura derivata da una vendemmia tardiva di Turbiana, unitamente al blend di Chardonnay e Sauvignon Blanc.

Più che un di formaggio in questo caso dobbiamo parlare di crema. Il nome è fuorviante: ha un nome francese, ma la sua provenienza è inglese. Quello che abbiamo scelto è di Wales & Central Scotland dalla Fen Farm Dairy, a Bungay, Suffolk nel Regno Unito. Le vacche con cui è prodotto sono francesi e producono davvero poco latte, ma ricco di grassi che quasi può essere paragonato a una crema Chantilly di pasticceria, non solo per la sua cremosi, ma anche per il colore giallo molto intenso.

È proprio una carezza per il palato, pur con una leggerissima nota amaricante. I sentori tipici sono quelli che riguardano la sfera dell’erbaceo e dell’agrumato (soprattutto si sente la scorza di arancia) che vengono bilanciati dalla percezione di frutta esotica matura del Pratto.

CLACBITOU 

Consigliato con il Cuvèe Rosè dei Frati perchè la spezia del Groppello si sposa perfettamente alle note dolci di questo formaggio.

In questo abbinamento andiamo a avvalorare il contrasto tra l’acidità tipica del Metodo Classico e delle sottili bollicine del vino e la dolcezza proveniente da questo formaggio. Il Clacbitou La Racotière viene da Genelard, in Borgogna. E’ un formaggio talmente locale che perfino il suo nome è una parola dialettale del luogo, quasi a farsi marca distintiva. Di norma ha circa 30 giorni di stagionatura nei quali sviluppa un aroma tipico: il ribes rosso e piccoli frutti rossi sono caratteristici del suo bouquet al naso.

In questo caso in fase di produzione viene aggiunta della panna all’impasto del formaggio per dare più cremosità. Sono formaggi di forma piccola con una muffa bianca molto burrosa sulla crosta, anche questa caratteristica del luogo. Si aggiunga anche un’altro parametro tipico di questo formaggio: è la proteolisi del sottocrosta, ovvero molecole più piccole che compongono il formaggio, si uniscono tra loro dando forma a consistenze incredibilmente cremose.

In questo abbinamento la bollicina fine e sottile dello Spumante è in grado di ripulire il palato dopo l’esperienza della cremosità e morbidezza del formaggio, in un connubio perfetto e funzionale.

CACIOTTA CAMMARATA

La Caciotta di Luca Cammarata trova perfette condizioni in abbinamento al nostro Cuvèe dei Frati Spumante Metodo Classico.

Si tratta di un formaggio che proviene da San Cataldo, dal centro della Sicilia dove si incontrano zone aride e povere, in cui la pastorizia è ancora molto attiva e è rimasta integra da tempi immemori. Le capre, che vengono fatte pascolare e da cui si ricava il latte per questa eccellenza, sono di razza maltese, con le tipiche orecchie nere lunghe e basse. Il latte che regalano è dolcissimo, molto grasso e risente moltissimo dell’alimentazione dell’animale. Il formaggio quindi avrà note acidule, lattiche, vegetali (come il sentore di fieno) e anche di brodo leggero. Il Cuvèe dei Frati è in grado di ripulire il palato dal grasso di questo formaggio apportando però sentori molto affini quali quello del fieno, del lievitato, di biscotto e di pane.

ROBIOLA DI CAPRA

L’abbinamento che consigliamo è con il Cuvèe dei Frati Dosaggio Zero, perchè con la sua bollicina setosa crea una percezione cremosa al palato molto piacevole durante la degustazione. La Robiola che abbiamo selezionato è prodotta dal latte delle capre girgentane la cui caratteristica è quella di produrre pochissimo latte. L’azienda di cui abbiamo apprezzato l’eccellenza è l’Azienda Agricola Montalbo, situata ad Agrigento.

I sentori che emergono prepotentemente da questo abbinamento in perfetto equilibrio sono: agrumi (tipici di Sicilia), le noci e la frutta secca in generale, con note anche di frutta tostata.

GRANA PADANO

Non poteva mancare nella nostra selezione, abbinato divinamente al nostro Ronchedone.

Per provare questo semplice ma incredibile abbinamento consigliamo di fare delle scaglie di formaggio piuttosto sottili così da lasciare che si sciolga facilmente sulla lingua mentre beviamo un sorso di Ronchedone e ne testiamo la finezza. Il formaggio che abbiamo scelto ha trentasei mesi di stagionatura, Grana Padano Biologico solo fieno da San Pietro, a Brescia. Alla vista è marmoreo a causa degli amminoacidi che creano dei piccoli pois, segno che il latte è di altissima qualità. Le vacche da cui si ricava sono soprattutto le classiche pezzate rosse e anche qualche bruna alpina (la cosiddetta “regina del latte”) con le frisone.

E’ un formaggio molto secco, già nella percezione che se ne ha nelle mani. Il vino però ha una grande morbidezza, un corpo ben strutturato e un intensità elevata ed è quindi capace di apportare quando manca al formaggio. Dal punto di vista aromatico il Marzemino ci porta alla memoria note di piccoli frutti rossi, con una parte minerale caratteristica delle zone del basso lago. Il Sangiovese invece porta tannino e il Cabernet un’elegante sensazione erbacea. Tutti e tre questi vitigni sanno legarsi perfettamente al Grana Padano che, proprio grazie alla sua avanzata stagionatura, richiede vini strutturati cui essere abbinato.

GRUYERE ALPAGE VOUNETZ RESERVE 2019

L’abbinamento che questo formaggio richiede è con il nostro passito Tre Filer, dove la sapidità del Turbiana e la dolcezza dell’uva surmatura si trovano in un perfetto connubio con questo formaggio svizzero.

Il Tre Filer infatti è un vino passito intenso, ma con una dolcezza molto delicata e assolutamente non stucchevole che rimanda sensazioni di frutta esotica, anche ben matura, in particolare albicocca, mango e banana. Il formaggio, dal canto suo, ha le note caratteristiche al naso di rosa, ananas, agrumi ed erbe aromatiche, contribuendo a quanto già percepito nel vino.

Si tratta di un formaggio compatto e gessoso, molto grasso. E’ da qui che emergono sentori di frutta esotica, soprattutto dopo qualche anno di stagionatura.

Speriamo di averti fatto incuriosire con questi abbinamenti speciali e di averti fatto scoprire nuove eccellenze italiane e non che ben si sposano con le nostre referenze.

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Fresco, ghiacciato o temperatura ambiente?

E’ estate e tanto si discute sulle temperature di servizio più corrette per servire il vino ad amici e parenti in occasioni speciali, spesso temendo la lamentela del “sommelier” tra gli invitati che commenta il vino sul tavolo lamentando il grado di servizio.

Alla fine, si pensa, è proprio quel grado in più o in meno che fa la differenza? In parte sì, perché è proprio la temperatura di servizio che incide sulla degustazione, sulla percezione delle morbidezze e delle durezze del vino, in particolare di quelli molto alcolici. Senza esagerare con l’ossessione della temperatura perfetta, si può tuttavia con qualche pratico consiglio trovare un equilibrio utile per servire il vino in occasioni di svago e divertimento senza rovinare la percezione del prodotto e coronare così un bell’incontro. Perchè si sa, quando c’è un vino buono e gradito sulla tavola, servito come si deve, tutta la compagnia apprezza, anche i non intenditori.

Innanzitutto un buon metodo per servire il vino alla giusta temperatura in estate è metterlo in frigo a qualche grado in meno rispetto alla temperatura di servizio consigliata, cosicché, una volta portato in tavola, il caldo estivo dell’ambiente vada velocemente ad alzarne la temperatura, portandola quindi al grado corretto per la bevuta.

Vediamo quindi le temperature consigliate per ogni tipologia di vino.

Tratto da: www.quattrocalici.it

Partiamo dall’aperitivo che si associa generalmente alle bollicine, un modo scoppiettante per iniziare la festa. Per le loro caratteristiche intrinseche, questi vini richiedono le più basse temperature a cui si serve il vino: circa 6-8 gradi centigradi. In questo modo si esalta la freschezza e l’acidità di questa tipologia di vini, in particolare per il metodo classico in cui viene esaltata la bollicina, così fine da far percepire sulla lingua punture di piccoli aghi. Nel caso di Ca’ dei Frati a questa temperatura di servizio vanno serviti lo spumante Cuvée dei Frati Dosaggio Zero, il Cuvèe dei Frati bianco e il Cuvèe Rosè. Si aggiungano anche la freschezza, la mineralità e la sapidità intrinseche al Turbiana, il vitigno autoctono con cui vengono realizzati i vini dell’azienda, esaltate ancora di più da una temperatura di servizio piuttosto bassa.

A 10-12 gradi centigradi vanno serviti vini bianchi leggeri: è il caso del nostro Lugana I Frati, che, pur avendo poco di “leggero” con un grado alcolico che tocca i 13 gradi, tuttavia per una bevuta rinfrescante al palato può essere servito proprio intorno ai 12 gradi centigradi. Anche il vino rosato La Rosa dei Frati, realizzato in acciaio con uve Marzemino, Sangiovese, Groppello e Barbera può rientrare in questa categoria, che fa esaltare i suoi profumi di rosa e fragolina di bosco e la sua facile beva.

La temperatura di 12-14 gradi centigradi è consigliata invece per bianchi più corposi e strutturati, che prevedono magari anche un passaggio in botte. E’ il caso del nostro Brolettino, realizzato con il vitigno Turbiana e affinato in barriques di rovere francese nuove per circa 8 mesi. La texture più vellutata e i profumi viranti su note di frutta matura, anche esotica, si prestano ad una temperatura un poi più alta rispetto ai classici vini bianchi. In questa categoria rientra anche il Pratto, un blend di vitigni internazionali, Chardonnay e Sauvignon, uniti al vitigno autoctono del Lugana, il Turbiana, di cui vi si trova la percentuale maggiore. In questo caso l’aromaticità che emerge dai vitigni internazionali unitamente alla struttura sapida e minerale del Turbiana rendono questo vino adatto ad una temperatura di servizio che si aggira attorno ai 13 gradi centigradi.

Per vini rossi non da lungo affinamento la temperatura di servizio più adatta è tra i 16-18 gradi centigradi, dove l’alcolicità viene un po’ smorzata dal mantenimento di una temperatura ancora piuttosto fresca. E’ il caso del Ronchedone, il vino rosso che produciamo con uve locali, in una zona tuttavia più votata ai vini bianchi. Il Marzemino, il Sangiovese e il Cabernet che compongono questo vino esprimono il meglio attorno ai 15 gradi centigradi, che permettono di esaltare le note di frutti rossi e la texture arrotondata dovuta ad un passaggio in barriques di rovere francese per circa 14 mesi.

Per i vini rossi corposi come l’Amarone Pietro Dal Cero la temperatura ideale si aggira attorno ai 18-20 gradi centigradi che sono necessari per smorzare la percezione della forte alcolicità tipica dei vini da lungo affinamento. Questa temperatura esalta al naso il profumo della marasca, caratteristico dell’Amarone, ma anche di frutti rossi in composta, facendo percepire in questo modo la firma dell’enologo Igino Dal Cero nel valorizzare in tutti i vini i sentori primari, proprio quelli che derivano dal frutto.

Per i vini dolci e i passiti si consiglia invece la temperatura che varia tra i 12 e i 14 gradi centigradi. Il nostro Tre Filer, passito a base di Turbiana, dolce ma non stucchevole, viene valorizzato da una temperatura che si aggira attorno ai 13 gradi centigradi, anche nelle stagioni più fresche, magari abbinato ad una torta morbida e delicata ricca di burro o ai classici Cantucci.

Immagine di copertina: thewinesouls_

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Amarone Summer Time

Se dobbiamo osare facciamolo fino in fondo! Si potrà mai bere Amarone con 35°C all’ombra? Sembra quasi una provocazione eppure non possiamo pensare che un grande vino come il re della Valpolicella possa essere lasciato nello scaffale della cantina per tre mesi e poi ripreso solo quando la temperatura inizia ad essere più piacevole.
Non si spiegherebbe perché migliaia e migliaia di persone che visitano la Valpolicella si fermano in cantina a degustare questa prelibatezza delle colline veronesi.
La cucina, come il vino, possono essere estremamente versatili e questo è il bello dell’enogastronomia. Fissare dei paletti e imprigionare nei pregiudizi o nelle teorie assolute cibo e vino fa male al desiderio di scoperta che è insito nell’uomo.
Proveremo dunque a suggerire alcune tipologie di abbinamenti per questa estate che quest’anno è partita molto in anticipo e che si sta prospettando veramente molto tosta.

Prima di tutto!

Parliamo di tipologia di Amaroni. Fondamentalmente ce ne sono di due categorie: Amaroni stilisticamente di grande corposità ed estrattivi con valori sempre importanti di alcool, tannino e comunque eccellente acidità (la nostra annata 2008); Amaroni più “sottili” con una minor concentrazione e una alcolicità meno pronunciata. Si tratta di due espressioni da annate diverse che accolgono l’interesse di pubblici differenti e comunque molto ampi. Meglio i primi o i secondi per l’estate? Tutto ciò non dipende dai gradi di temperatura esterna ma, semplicemente, dai gusti delle persone che scelgono i vini. Questa è una variabile insindacabile.

Il fattore S

Parliamo ora di una cosa molto importante. Il servizio del vino. A quale temperatura di servizio è meglio presentare in tavola un Amarone durante il periodo estivo? Si sa che normalmente il vino dovrebbe essere sempre servito ad una temperatura più bassa di quella indicata nei libri dei Sommelliers. Per un motivo molto semplice: dal momento che il vino esce della bottiglia inizia subito a risalire di temperatura, avvicinandosi a quella dell’ambiente. Nei periodi estivi, quindi, soprattutto per vini rossi di grande struttura, sarebbe meglio uscire a temperature ancor più basse del solito. Il consiglio quindi è di uscire ad un valore di 10 – 12°C. Il tempo di permanenza a questa temperatura da parte del vino, soprattutto quello con un grado alcolico più elevato, è di pochi minuti. Già dopo tre o quattro minuti il vino riconquista due gradi di temperatura nel bicchiere. Per questo se si è all’esterno e si apre una bottiglia sarebbe sempre meglio usare delle eleganti glacette prerefrigerate.

Partiamo dai salumi

Tutto si gioca sul filo delle temperature. Anche i salumi hanno le loro regole di servizio, ma in estate dobbiamo capire che servire in esterno un salume con troppo caldo potrebbe creare grosse problematiche di tenuta della fetta e, soprattutto, passare inesorabilmente da uno stato solido aduno liquido in brevissimo tempo. Consigliamo quindi anche per i salumi una temperatura più bassa di quella normale e una temperatura del piatto molto fredda. 

  1. Culatello, Coppa e Amarone. Se dovessimo scegliere un salume di grande profilo organolettico con intensità, persistenza e rara piacevolezza adatto ad un vino con una grande personalità il Culatello di Zibello DOP sarebbe ottimale. Se avesse una stagionatura oltre i 24 mesi, meglio ancora. Un altro salume ideale da abbinare al grande vino della Valpolicella in estate è la Coppa Piacentina DOP, anche qui molto stagionata che sprigiona tutta la sa potenza aromatica e intensità organolettica.
  2. Metti un Pietro Dal Cero con un Maiale Tranquillo. Quando in salumeria si utilizzano maiali pesanti che vanno oltre i 300 kg e che hanno vissuto una vita da nababbi in spazi molto ampi, bradi, con una alimentazione “stellata” o da grande trattoria tipica di territorio, vale la pena pensare a un Amarone opulento con una bella acidità. Quando si parla di salumi di questa tipologia non si può non pensare al Salumificio Bettella unico nel suo genere in Italia con le sue Coppe XXL, il Crudo di Spalla e il Lombo Stagionato XXL. 

Che Cacio Bevi?

Il formaggio risente moltissimo delle alte temperature. Soprattutto se è a latte crudo e di stagionatura importante. Per questo motivo se, in inverno è sempre meglio tirarlo fuori dal frigo qualche minuto prima, d’estate è sempre meglio servirlo in contenitori raffreddati in frigorifero che mantengano il più possibile la temperatura del prodotto. Per evitare che si surriscaldino in fretta anche in questo caso è meglio presentarli sempre più freddi del solito. Vedere un formaggio che si squaglia e rilascia il suo olio è semplicemente rivoltante.

  1. Amarone giovane? Monte Stravecchio! C’è un formaggio che proviene dai Monti Lessini e si produce solo nei mesi estivi quando le vacche bruno alpine sono al pascolo. E’ un presidio Slow Food e sono ormai pochi i produttori che lo stagionano per almeno due anni. Ha una piacevolissima cremosità al palato data dalla sua componente grassa che si fonde piacevolmente con un Pietro Dal Cero un po’ più giovane e fruttato. 
  2. Amarone in Riserva. Per un amarone Pietro Dal Cero in versione particolarmente affinata e la sua ottima speziatura, si consiglia uno dei più grandi formaggi pecorini al mondo he viene prodotto in Toscana: La Riserva del  Fondatore di Angela e Simone del Caseificio Il Fiorino. Un’esperienza sensoriale unica, emozionante, d’assaggiare a bordo piscina. 

Amarone in Primis

  1. Cacio & Pepe per un Amarone dinner. Il contrasto a caldo tra la forza del pepe nel pecorino stagionato e un Pietro Dal Cero a temperatura più fresca dove fusione delle spezie crea una particolare suggestione  aromatica. Una soluzione per una degustazione più finger food è l’utilizzo della crema cacio & pepe fredda su un crostone di pane nero e un sorso dello stesso Amarone a bassa temperatura.
  2. Tagliolino al Tartufo bianco con della stracciatella fredda in uscita. Tutta la suadenza della crema di latte che avvolge l’aromaticità del tartufo e la rende ancora più morbida per l’abbinamento morbido con l’Amarone.

Fuori i secondi

  1. Tartare di Angus femmina allevata allo stato brado con tartufo nero estivo e Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Reggio Emilia. Estasi assoluta da sostenere con un sorso di Amarone Pietro Dal Cero.
  2. Guancia di Maiale croccante con una salsa ottenuta dalla riduzione di Amarone della Valpolicella e spezie tra cui Pepe di Lampong, chiodi di garofano e cannella, quest’ultima servita fredda.

Dolce, Amaro, Amarone

Se c’è un prodotto dolce che funziona benissimo con l’Amarone Pietro Dal Cero è il Cioccolato! Perché?
Sono entrambe afrodisiaci e contengono quantità simili di tannini e flavonoidi.
Per questa tipologia di prodotto si consiglia di abbinarlo semplicemente a delle barrette di un cioccolato fondente almeno al 55% fino ad un 80%, oltre non è consigliato perché potrebbe diventare troppo amaro.
Si consiglia del Criollo del sud America oppure del Chuao Venezuelano. Per gli amanti delle spezie delle tavolette di Cioccolato di Modica alla Cannella oppure per chi ama un tasting vintage, l’intramontabile boero alla ciliegia sotto spirito.
Per una mousse, scegliete una polvere di cacao Criollo Porcelana morbido, rotondo e molto intenso.

 

Bernardo Pasquali

Premio Brand Ambassador Agroalimentare Italia 2019

Alumno Corso Alta Formazione in Legislazione Alimentare Università del Piemonte Orientale

Maestro Assaggiatore di Formaggi ONAF Delegazione di Bergamo
Wine & Food Brand & Trade Manager
Chevalier de la Confrerie Embrasseur du Fin Goulot de Montagny, Bourgogne

Giornalista
Euposia –  la Rivista del Vino

www.acinoparlante.it

www.foodyes.it

www.italianwinejournal.it
Scrittore
Donne in vigna, 2010 – Biblioteca Vinibuoni
I Vini d’Europa, 2010 – Gambero Rosso e Gazzetta dello Sport
Con la terra tra le mani, 2011 – Cierre

Scintille, 2013 – Zeni. Bernardo Pasquali & Giò Martorana Photographer
Sparkling Italy, 2013 – Electa Mondadori. Introduzione al libro di Giò Martorana Photographer

Storia Moderna del Vino Italiano, 2016 – Skyra. Walter Filputti, Attilio Scienza, Carlo Petrini e AA.VV.
I Classificato, Premio Internazionale Poggi Venezia 2009, Giornalismo e Letteratura Enogastronomica

abbinamenti, Amarone, estate, Pietro dal Cero, valpolicella

L’Amarone della Valpolicella: un vino che nasce a gennaio

Il periodo della vendemmia è ormai molto lontano: settembre, con le sue tinte verdi quasi gialle ci regala l’emozione della raccolta, delle api attratte dal dolce mosto nato dalla pigiatura, dei canti popolari sotto il sole e delle mani grinzose che regalano le ultime carezze ai grappoli. In gennaio pare un lontano ricordo ormai, ma l’Amarone è in grado di rievocare ancora le medesime emozioni con la sua pigiatura “in ritardo”.

A metà gennaio infatti la nostra attenzione è rivolta alla Valpolicella quando le uve tenute in fruttaio sono pronte per essere pigiate e otteniamo così un mosto dolcissimo e scuro, derivato dalla nota e celebre Corvina.

Ma andiamo con ordine e scopriamo un viaggio lungo e ricco di passione tra uomo e natura.

Le uve per la produzione dell’Amarone vengono raccolte verso la metà di ottobre, quando la maturazione è già avanzata. Si tratta infatti di uve rosse che necessitano di molto calore e di molta luce per maturare al meglio e la Valpolicella è una terra in grado di fornire tutto questo nel migliore dei modi. I vitigni che vengono coltivati per l’Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero sono la Corvina, uva principe dell’Amarone, il Corvinone, la Rondinella e la Croatina, tutte uve permesse dal disciplinare di produzione. Già con una spensierata passeggiata in vigna verso fine settembre si può gustare un’uva ricca di dolcezza, dal grappolo ricco, forte e compatto che allude alla forza che sarà in grado di donare dopo parecchi anni nel bicchiere. Queste uve inoltre nascono su un terreno molto particolare: la marna, una roccia sedimentaria che contiene una parte di argilla in grado di rinfrescare il calice e portare grande struttura al vino.

La vendemmia avviene verso la fine del periodo ad essa normalmente dedicato, quando le uve sono ormai ben mature dopo essere state baciate svariati giorni dai raggi del sole. E’ questo che le trasforma: da verdi maturano e crescono a vista d’occhio, sempre più timide, arrossiscono a tal punto da diventare di un rosso scuro, quasi nero. E’ solo allora che il vignaiolo inizia la sua raccolta svolta rigorosamente a mano.

Nel caso di Ca’ dei Frati, le uve vengono colte dalla pianta dalle amorevoli “balie dell’Amarone”: le mani calde e maestre di un gruppo di donne venete regalano gli ultimi abbracci a questi grappoli pronti a dare il meglio in cantina. Lo sguardo vigile femminile sceglie in vigna quali grappoli raccogliere: i più belli, i più formosi, i più maturi. Le uve poi non subiscono immediatamente il processo di pigiatura per estrarre il dolce nettare, ma vengono lasciate riposare per qualche mese in un grande ed accogliente fruttaio, da ottobre fino alla metà di gennaio.

In questo lungo sonno i grappoli si rilassano, perdono acqua e concentrano la loro parte zuccherina, si raggrinziscono, maturano col tempo e forse diventano un po’ più saggi, motivo per cui l’Amarone è un vino da meditazione. I venti della zona, provenienti dal parco boschivo della Lessinia, favoriscono questo processo di naturale disidratazione con il loro flusso, entrando ed uscendo dal fruttaio, dando il buongiorno e augurando buona notte alle nostre uve. Lo sguardo costante e attento dell’agronomo permette loro di abbassare le difese e di darsi totalmente a madre natura.

E poi arriva ogni anno sempre puntuale gennaio. Un mese freddo, il mese della ripresa delle attività dopo le feste, il mese in cui il produttore si ricorda di quei dolci grappoli scuri raccolti a ottobre, lasciati in Valpolicella a svolgere il loro corso. Il fruttaio è allora una gioielleria di piccoli zirconi scuri incastonati attorno ad un raspo magro che ha terminato da tempo la sua funzione. Inizia così la pigiatura di questa uva fragile e rara: durante il suo lungo sonno la parte zuccherina si è concentrata sempre di più, perdendo una grande percentuale di acqua contenuta originariamente nei turgidi acini. Una vera e propria disidratazione. Una volta ottenuto così il mosto questo viene trasformato in vino grazie all’azione dei lieviti che con il loro chiacchiericcio portano a fermentazione il nettare bacchico. La vera magia sta proprio in questa trasformazione: il mosto diventa vino e lo zucchero concentratosi nell’uva lasciata appassire viene svolto in alcool, donando struttura e consistenza al vino.

Ma non è finita qui la storia del nostro Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero DOCG. Per parlare al meglio di sé l’Amarone richiede ancora qualche anno di permanenza in cantina per imparare l’abc e diventare un vero adult0. Quindi si accinge ad intraprendere un viaggio formativo di almeno due anni, diciamo un bel Grand Tour, in legno francese, in ruvide barrique di rovere nuovo che restano in Valpolicella durante tutto il periodo. Infine il suo percorso termina in una nuova culla: la bottiglia, in vetro, resistente, scura e robusta per contenere amorevolmente negli anni il vino. E’ qui che sviluppa il suo vero carattere. Nel caso di Ca’ dei Frati, il vino viene lasciato in bottiglia per almeno tre anni o anche più: questo periodo di riposo smusserà i tannini astringenti della Corvina, regalerà ricche note al naso e al palato e una maggiore struttura: sarà una vera sorpresa stappare una di queste bottiglie!

I frutti del viaggio che l’Amarone compie dal grappolo al vino fino alla bottiglia è lungo ed impegnativo, a tratti tortuoso e spesso molto delicato. Sono bottiglie che chiedono un grande rispetto e che sanno donare e raccontarsi molto nel bicchiere: hanno una storia da narrare, un luogo, una terra, una passione, tutto nell’avvolgente e setosa carezza di un sorso di vino.

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