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Il brindisi perfetto tra storia e Lugana

Il vino, antica elisir dell’umanità, ha da sempre celebrato la convivialità, intessendo una trama di tradizioni che si snodano nel corso dei secoli, attraverso l’arte del brindisi. Questa pratica, radicata fin dall’antichità, trova ancor oggi una piacevole pratica in alcuni momenti dell’anno, come a Capodanno, condividendo con amici e parenti le eccellenze vinicole come quelle proposte dalla nostra cantina Ca’ dei Frati, custode della tradizione del Lugana DOC.

Il nome “brindisi” pare derivi dal tedesco “bring dir’s”, ovvero “porto a te” (probabilmente si intende “il saluto”). C’è poi la consuetudine di unire al gesto anche alcune parole come “salute”/“viva” nel caso di una celebrazione. Per i più curiosi inoltre indichiamo anche la tradizione di versare un po’ di vino del proprio bicchiere in quello del commensale accanto e via di seguito, poiché si voleva accertarsi che non vi fosse del veleno.

Curioso è anche il riferimento al “Cin Cin” che si pronuncia proprio mentre si fanno tintinnare i calici: deriva dal cinese “ch’ing ch’ing” che significa “prego, prego”, modo usato dai marinai inglesi insidiatisi a Canton per sostenere scambi commerciali con la Cina. Dal latino invece deriva “Prosit”, forse meno conosciuto. E’ la terza persona singolare del congiuntivo presente del verbo “prosum” cioè “io sono favorevole, giovo”. Il Galateo in questo gesto ci indica di brindare sollevando poco il bicchiere e non bisognerebbe in questo momento far toccare i bicchieri tra loro, guardando soltanto i commensali, senza pronunciare parola alcuna. In Corea invece il bicchiere più alto deve essere del membro più anziano del gruppo radunato attorno al tavolo: paese che vai, usanza che trovi!

Nel corso dei secoli, il brindisi ha assunto molteplici forme e significati diversi per geografia e temporalità, intrecciandosi inevitabilmente con le vicende storiche e culturali – ne sono un esempio gli utilizzi che vedevano il vino come protagonista durante la guerra in trincea, o nella storia dei vini fortificati come il Porto o il Marsala, capace anche di unire luoghi lontani, o ancora nei vini apprezzati nelle corti di tutta Europa. Esplorando questo rito millenario, si scoprono storie, rituali e peculiarità particolarmente curiosi, incastonati nel tessuto stesso della nostra umanità.

Il Seicento fu testimone dell’irradiazione del brindisi connesso con la celebrazione poetica, un’arte divenuta manifestazione di bellezza e sentimento espressa tramite il mezzo della poesia. Autori come poeti e scrittori contribuirono a nobilitare questo rituale millenario, come già seppero fare dagli albori della civiltà gli antichi greci per celebrare i loro famosi simposi. Ricordiamo che è proprio tra Seicento e Settecento che abbiamo anche le prime citazioni ufficiali del Lugana come Trebbiano delle nostre zone.

Nell’antica Grecia infatti, mentre la vita si svolgeva tra momenti di cibo e momenti di libagioni, il brindisi dettava il ritmo dei convivi. Un “simposiarca”, figura di grande rilievo nella comunità degli invitati alla cerimonia e alla festa, non solo curava le bevande, ma declamava eloquenti discorsi durante il brindisi, onorando sia gli ospiti sia dichiarando poesie di tipo amoroso.

La storia romana invece celebrava prodezze amorose e anche militari nei brindisi, un’usanza consolidata che trovava spesso la sua occasione di esaltazione nella produzione di vini pregiati, come riportato in diversi testi latini che indicano talora anche i nomi dei vini preferiti dalle persone di alto lignaggio.

E mentre ogni cultura cela la sua specifica ritualità, la cantina Ca’ dei Frati continua a preservare e celebrare la tradizione del brindisi, offrendo vini spumanti e fermi – esaltando nella linea vinicola il Lugana DOC – che portano con sé la nobiltà di un’antica pratica, incastonata nella modernità delle tavole contemporanee.

Il brindisi, antica usanza, continua a fluire tra le generazioni, intessendo legami tra il passato e il presente. In questo rituale intramontabile, si riconosce la perseveranza e l’eleganza delle tradizioni enologiche, come quelle che cerchiamo di custodire con passione attraverso le generazioni della famiglia Dal Cero. Un sorso di vino Lugana DOC, frutto di secolari sapienze, è un omaggio all’umanità e al suo inestimabile patrimonio conviviale e non ce lo faremo mancare neanche per questo Capodanno imminente!

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Le origini del Metodo Classico

Il colore brillante, il gusto fragrante e le bollicine sottili che accarezzano delicatamente il palato: tutto nello spumante metodo Classico evoca la gioia dei sensi in un contesto di eleganza e di festa.

Ma come è nato questo meraviglioso vino? Le sue origini sono legate alla Francia e più nello specifico alla regione della Champagne, sita circa 150 chilometri a nord di Parigi, nella valle della Marna. In questa regione la vite e il vino furono portati dai Romani e per molti secoli il vino prodotto qui era fermo. Pare che la nascita delle prime bollicine sia correlata ad un forte abbassamento delle temperature che il continente europeo ha subito nel XV° secolo e che ha investito con forza la Champagne proprio a ridosso della vendemmia. Accadde così che i lieviti responsabili della fermentazione del vino inibiti dal freddo interruppero la loro attività, lasciando all’interno del vino degli zuccheri non fermentati. Ma con l’arrivo delle miti temperature primaverili i lieviti, risvegliatisi, ripresero la loro attività innescando una seconda fermentazione e producendo, oltre all’alcol, dell’anidride carbonica che non trovando via d’uscita, si sciolse all’interno del vino stesso rendendo il vino frizzante.

Questa caratteristica, che ora noi amiamo e ricerchiamo, non era apprezzata nella Francia di allora ed era anzi ritenuta la conseguenza di una cattiva fermentazione. Come spesso è accaduto nella lunga storia del vino, furono i monaci, che al tempo avevano grandi possedimenti terrieri, ad adoperarsi per tentare di risolvere la situazione. A questo scopo fu chiamato all’appello Pierre Pérignon, un giovane monaco che si era avvicinato alla viticoltura con piglio curioso e sperimentatore. Dom Pérignon, come era chiamato il giovane religioso, condusse molti esperimenti nell’abbazia di Hautvillers nel tentativo di gestire le seconde fermentazioni in bottiglia senza tuttavia riuscire ad eliminarle. Nel mentre, però, lo strano fenomeno dell’effervescenza iniziò a risultare gradito agli aristocratici inglesi e presto l’Inghilterra divenne un importante mercato di sbocco per i vini spumeggianti, inducendo i produttori francesi a focalizzare la loro attenzione sulla gestione delle cuvée, cioè sull’assemblaggio dei vini base che venivano imbottigliati e fatti rifermentare, e sui sistemi di tappatura più efficaci, capaci di trattenere la frizzantezza all’interno della bottiglia per tantissimo tempo.

Quando Dom Pérignon morì, nel 1715, era ormai riconosciuto come il padre dello Champagne, a tal punto che pochi anni dopo il sovrano Luigi XV assegnò alla città di Reims, capoluogo della regione, il permesso esclusivo di produrre e commercializzare le bottiglie di spumante Champagne. Da quel momento in avanti la tecnica della rifermentazione in bottiglia è stata sperimentata in moltissime regioni vitivinicole del mondo.

Il metodo Classico ha bisogno di alcuni ingredienti fondamentali per essere prodotto. Partiamo dalla base: l’uva. La varietà di uva dedicata allo spumante deve essere dotata di una naturale acidità capace di dare il giusto nerbo e sostegno al sorso e di assicurare al vino una lunga vita. La vendemmia deve essere fatta a mano, per selezionare i grappoli perfettamente sani e non correre il rischio di rompere le bucce. La vinificazione avviene “in bianco” cioè riducendo al minimo il contatto delle bucce con il mosto e utilizzando una pressatura soffice e rapida. Da qui si ottiene un mosto che fermenterà in modo tradizionale producendo un vino base. A questo punto lo “Chef de Cave”, ovvero il cantiniere, procederà all’assemblaggio di vini ottenuti dai diversi appezzamenti e talvolta da varietà diverse di uva, ricercando un equilibrio gustativo secondo lo stile della cantina.

È qui che avviene un passaggio fondamentale perché il nuovo vino ottenuto viene imbottigliato in primavera con l’aggiunta di uno sciroppo, chiamato “liqueur de tirage”, composto da zuccheri e lieviti. Sarà proprio la liqueur ad innescare nel vino una seconda fermentazione che trasformerà il vino, arricchendolo di nuovi composti aromatici, di alcol e di anidride carbonica in un processo che può durare anche molti anni. Alla fine del periodo di maturazione la feccia che si crea nella bottiglia, formata dai lieviti esausti e da altre sostanze di scarto, viene radunata nel collo della bottiglia attraverso un processo di movimentazione detto “remuage” e successivamente viene congelata ed espulsa durante il processo di sboccatura, o dégorgement, nel corso del quale anche una piccola quantità di liquido, per effetto della forte pressione accumulata all’interno della bottiglia, viene espulso. A questo punto il cantiniere può decidere se ricolmare le bottiglie con lo stesso vino, ottenendo quindi un liquido totalmente privo di zuccheri (pas dosé, ovvero non dosato), oppure aggiungere insieme al vino una “liqueur d’expédition” cioè una miscela di zucchero e vino che determinerà il livello di dolcezza dello spumante. Le bottiglie a questo punto vengono chiuse con con il tappo a fungo e con una gabbia metallica di sicurezza.

Nel caso di Ca’ dei Frati, il metodo Classico del Brut Cuvée dei Frati è ottenuto con uva Turbiana, la varietà autoctona della zona di Lugana, unita ad un piccolo saldo di uva Chardonnay. La Turbiana è caratterizzata da una vibrate acidità naturale rinforzata dalla sapidità indotta dal terreno argilloso della Lugana, due caratteristiche che donano a questo spumante carattere e longevità. L’affinamento di almeno 36 mesi sui lieviti rendono il sorso gustoso e le bollicine setose. Il piccolo tocco di dolcezza aggiunto in fase d’expédition rende le sensazioni fruttate e agrumate vivide e succose, e fa di questo spumante un ottimo compagno per un aperitivo raffinato, ma anche per un primo piatto dal sapore dolce, come uno spaghetto allo scoglio o un risotto con le verdure.

Scritto da Corinna Gianesini

Sommelier – Comunicatrice del Vino

Curatrice guida Slow Wine per il Veneto

 

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Le mille vite del Lugana DOC

Il vino è un gioco di emozioni

Spesso ci si chiede quanto possa durare nel tempo un vino bianco. Allora si passa a valutare il modo in cui viene conservato e naturalmente il tappo. Di seguito si considera la tipologia di vino magari raffrontandola ad altre della stessa categoria alla ricerca – spesso vana – di risposte adatte. Ci siamo chiesti quindi anche noi quanto possa durare il Lugana DOC, o forse diremmo meglio quanto possa regalarci emozioni, perchè, se conservato bene e se non ci sono intoppi negli anni, il prodotto consumato dopo qualche tempo non potrà che essere buono. Cambiato, modificato, ovviamente. E’ quindi per lo più una questione di gusto personale.

Igino Dal Cero, produttore di Ca’ dei Frati, crede molto nelle potenzialità strutturali e gustative del Lugana DOC che si ottengono con l’affinamento regalato dal tempo. Il vino non invecchia né migliora, ma muta in modo proteiforme, si adatta agli influssi del tempo, rimanendo nel profondo tuttavia sempre uguale a se stesso. Per questo sono davvero molto importanti le lavorazioni in cantina e ancora prima in vigna, per essere certi di ottenere un grande prodotto proiettato nel futuro.

Il tempo influisce largamente sul vino, è una variabile importante da considerare in fase di produzione, ma anche nei termini di una prossima stappatura. Il colore vira in toni dorati – il tesoro che riemerge dopo anni dalle profondità di una bottiglia dal vetro scuro -, la glicerina lo rende più viscoso – una vera elisir di lunga vita -, infine smussa il suo carattere duro diventando più morbido e riflessivo, nelle rughe del tempo. Ma l’esperienza che ha trascorso nella sua vita come grappolo e poi trasformato in cantina lo segnerà per sempre. Di fatto rimane uguale a se stesso nella sua semplice vocazione virginale. Mantenutosi intaccato e puro nella sua campana di vetro.

Armando Castagno ha definito il Lugana DOC degno di un importante segnalibro nel volume dei grandi vini bianchi italiani da lungo invecchiamento. E a tal proposito Igino Dal Cero è assolutamente d’accordo, basta esserne capaci di prevederne le potenzialità, attività non sempre facile per un viticoltore. Tuttavia ricorda, andando indietro nelle sue quarantatré vendemmie, che questa attitudine all’ascolto dell’uva, della natura e del vino stesso gli è stata insegnata dal padre Pietro Dal Cero, fondatore dell’azienda:

“[…] mio padre veniva in cantina al mattino e poi tornava alla sera a controllare. Mi ha dato le chiavi della cantina che non ero ancora maggiorenne, mi ha lasciato sbagliare, per farmi imparare, dandomi molta responsabilità”.

 

Di cosa parliamo quando parliamo di Lugana DOC

Il Lugana DOC ha una zona di produzione molto limitata: si tratta di circa 15km tra Brescia e Verona, estendendosi su cinque comuni poiché si tratta di una denominazione interregionale. Il luogo definisce meglio la struttura del vino perché il territorio gioca un ruolo di primaria importanza per la creazione del suo profilo unico e invidiabile. Il lago con la sua massa d’acqua e le correnti ventose che scendono dal Trentino creano uno sbalzo termico notevole tra giorno e notte, ma non solo: creano anche il clima ideale per il vigneto durante tutto l’anno. Ben quattro glaciazioni si possono contare in questa zona; queste hanno fatto sì che la temperatura sia cambiata costantemente e che il ghiaccio si sia sublimato, passando dallo stato solido allo stato gassoso, lasciando sul posto un materiale idrogeologico composto da pietre incongrue tra loro, provenienti dai versanti alpini e che hanno trovato dimora proprio tra Lombardia e Veneto.

 

La nostra macchina del tempo vinicola: dal 2022 al 2004.

Ecco cosa ci ha regalato il tempo. 

verticale di lugana i frati in degustazione

Annata 2022

Un giovane Lugana ricco. Profumatissimo, pieno ed estremamente verticale e verde. L’imbottigliamento è avvenuto nella prima settimana di marzo 2023 dopo un affinamento piuttosto lungo sulle fecce fini. Questa tecnica è applicabile se si ha una persistente acidità; in tal modo si esalta la parte aromatica e resta una percezione acida che stupisce alla beva. La 2022 è stata un’annata molto calda, con anche acidità molto spiccata. Irrigazione a goccia in questo contesto ha aiutato molto (siamo stati i primi in Lugana ad apportarla in vigneto): si parla infatti di irrigazione di soccorso. Come nel caso del 2022 con un’annata molto calda, per un vino di grande acidità, dare qualche volta in più l’acqua con un gocciolante preciso che misura i litri per pianta permette di ottenere un importante bouquet di aromi e una poderosa struttura nel vino.

All’assaggio la vegetalità dei sentori non risulta cruda, ma si abbina ad un’ampia florealità che ricorda a tratti il sambuco, vira al succo di pompelmo con una verve perspicace e un ingresso sapido all’assaggio. Senza nessuna frizione.

Si sta valutando una vinificazione che parte da una vendemmia di quasi 40 giorni: anticipata all’inizio dove la nota vegetale è più spiccata, fino alla rotondità data dalla vendemmia tardiva. Ogni mese ha le proprie caratteristiche che vengono donate alle uve raccolte in differenti periodicità.

Annata 2021

Questa ha il doppio delle risorse in questa fase, due anni sulle spalle fanno sì che sia la carta immancabile per i vini di lungo invecchiamento. La nota più incredibile è la sua refrattarietà all’ossidazione che riporta questo Lugana ad un confronto pertinente con i vini  più longevi tedeschi e francesi, rispettivamente come i Riesling e alcuni Champagne. Sono quelli che Armando Castagno definisce “vini combattivi nel tempo”.

Tutto questo è aiutato da un tappo tecnico, scelto dopo svariate prove avvenute prima con microgranine, poi con il polietilene di canna da zucchero su cui si ha puntato: il tappo Nomacorc che garantisce una protezione del vino molto alta, l’utilizzo di una minore quantità di solfiti e una lunghissima (e piacevolissima) persistenza.

Annata 2017 – Privilegio di Famiglia

Al palato questo vino è fallace, non sembra essere un 2017: riporta una freschezza aromatica molto importante, che vira – a causa dei suoi anni – su una percezione maggiormente fruttata.

Si tratta della linea Privilegio di Famiglia: un vino che ha trascorso i suoi ultimi cinque anni in affinamento in bottiglia. La sensazione è meno agrumata rispetto alle annate più fresche, ma virante più verso la pesca “spaccarella”, con piacevoli note di talco mentolato, una ventata balsamica e fresca; a questo punto le note verdi sono quasi sparite, nulla di crudo persiste: anice e finocchio sono i sentori maggiormente percepibili. Si tratta di un vino molto completo, in cui note di fiori d’arancio sono un nostalgico e autoctono ricordo della sua vita iniziale. Chiude con un finale tipico del Lugana: l’olio essenziale di mandorla bianca pelata.

Annata 2011

Qui si entra in una pasticceria in piena produzione: note di frutta secca, note resinose e anche amidacee. Al naso sentori dolci, che invogliano la beva. Alla vista colpisce la sua palette dorata. In bocca l’anacardo, l’olio essenziale di noce, con note anche amaricanti si susseguono mantenendo una potente mineralità che rende questa esperienza solenne e monumentale.

Un vino ricco di ghirigori aromatici e affreschi, come ci racconta Armando Castagno, nonostante sia stata un’annata piuttosto fresca e anche sofferta dal momento che la vendemmia venne allungata di più del previsto, ragion per cui ha anche un’acidità più alta della media generale. Tuttavia questa caratteristica – meravigliosamente nel Lugana – ne esalta incredibilmente il carattere agrumato anche a distanza di anni.

Annata 2007

Cumino, maraschino, cereale tostato, frutto esotico, spezie pestate, canditi bolliti nello zucchero. È stata l’azione dei quindici anni trascorsi a riposo in bottiglia a colorarlo in modo così dolce. Porta con sé una complessità disarmante dovuta anche ad un’annata molto proficua e piuttosto calda. Qui vale ogni considerazione: ogni assaggio muta, si irrobustisce, si palesa diversamente, si mostra sotto punti di vista diversi. Una poesia liquida, tutta da interpretare.

Annata 2004

Ci piace ricordare il tocco di mimosa, percepito dal colto naso di Armando Castagno, insieme a note complesse di evoluzione ed eleganti sentori terziari dovuti al tempo di permanenza in bottiglia. Non mancano all’appello sentori pluviali e di acqua salmastra, il lago grazie alla sua vicinanza dialoga da millenni con le terre del Lugana. In generale porta ancora una dimensione enoica e un carisma davvero incredibili con sicure grandi potenzialità espressive.

L’approccio interessante di questo vino è che permette alla comunità umana del luogo e a quella aziendale di poter ragionare, studiare e sperimentare continuamente nel corso del tempo i suoi incredibili risultati. E tutto questo lavoro serve per dare una logica a questo vino nel tempo.

Trovare una scintilla che lo faccia riconoscere al naso e al palato, che faccia tornare l’assaggiatore al luogo della sua nascita e vinificazione, che permetta di filtrare attraverso il vino il luogo e che lo renda non confondibile con nessun altro: questi sono gli obiettivi che la Storia deve porsi quando prende la forma di una bottiglia.

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Maria Chiara Dal Cero

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Verticale Storica di Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero DOCG: descrizione annata per annata

In occasione della Verticale Storica di Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero DOCG avvenuta presso la nostra sede il 25 marzo 2023, abbiamo confrontato tutte le annate di questa prestigiosa referenza e ne abbiamo tratto alcune conclusioni in questa sede, riportando le considerazioni principali emerse per ogni annata dalla 2016 alla 2008 grazie alla discussione avvenuta tra quattro prestigiosi relatori di fronte ad un pubblico numeroso presente in sala: Igino Dal Cero, enologo e produttore di Ca’ dei Frati, Carlo Callari, enologo presso la nostra sede con un’esperienza quindicinale di produzione nella Valpolicella, Bernardo Pasquali, gastronomo e Gianpaolo Giacobbo, giornalista ed esperto di vino. Una bella squadra di veneti per analizzare una referenza così legata al territorio e che parla attraverso la struttura e i sapori della tua terra.

Luxinum: il nostro vigneto a Marcellise

Il vigneto con cui produciamo il nostro Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero ha una caratteristica molto importante per la produzione dell’uva: si trova a 350 m sul livello del mare ed è rivolto verso sud, con un clima ed un orientamento pregevole. L’investimento fu fatto nel 2002 in onore del papà dei tre attuali proprietari, Pietro Dal Cero, a cui poi è stata dedicata questa referenza. Pietro infatti, figlio di Felice Dal Cero, fondatore dell’azienda, è stato l’unico dei figli a continuare l’attività agricola dando una svolta decisiva con la specializzazione nell’ambito enologico. La produzione di Amarone sembrava un sogno dietro l’angolo, un tributo fortemente voluto dalla famiglia per celebrare l’origine veneta dei Dal Cero, provenienti da Montecchia di Crosara, spostatisi sul lago nel 1939, dopo la prima guerra mondiale. Da momento dell’acquisto di alcuni ettari in Valpolicella ad oggi sono ormai passati più di 20 anni e il sogno è diventato realtà, reso ancora più reale oggi dall’ascolto di questo vino potente e narrativo nella sua evoluzione di annata in annata.

Il territorio è quindi molto importante: essendo un appezzamento unico in collina a 350 metri sul mare, è stato realizzato con dei terrazzamenti che vengono raggiunti da un sole mai caldissimo – il nome Luxinum deriva proprio dal latino lux, luce, raccolta dodici ore al giorno – donando un forte sbalzo termico tra il giorno e la notte, ideale per le uve. Nella parte più alta del suolo affiora la roccia, la calce. Per realizzare l’impianto c’è stato uno spostamento di circa 60.000 metri cubi di terra per creare il vigneto senza recidere alberi già presenti in loco e il bosco che circonda tutt’ora il vigneto. L’altro elemento importante è l’acqua: infatti se la vigna non ha il giusto equilibrio e la perfetta idratazione essa fornisce un frutto squilibrato e ciò ripercuote nel vino. In questo luogo graziato da madre natura l’uva matura molto bene, mantenendo un’acidità molto alta che ci garantisce una certa longevità in bottiglia.

La nostra Corvina, il nostro Amarone

Per l’Amarone di Ca’ dei Frati si utilizzano uve tutte provenienti da un solo ed unico vigneto. Le uniche differenze presenti quindi sono piccole variazioni del periodo di raccolta di anno in anno, mantenendo però lo stesso stile di vinificazione, in annate diverse. Con la verticale, si ha la possibilità di assaggiare quindi un unico cru, lo stesso frutto dato dalle stesse piante anno per anno, valutando così cosa la natura ci ha regalato nel corso dei suoi cicli stagionali nel corso degli anni. Un assaggio svolto in questo modo serve per capire l’evoluzione della vigna, ma anche la maturazione delle vinificazioni svolte in cantina, nonché l’evoluzione del frutto ovvero la giovinezza del vino. E’ un vero e proprio archivio per la memoria gustativa nostra, di oggi, ma anche per i degustatori del futuro che si troveranno a mettere il naso (si spera deliziati) su questo nettare potente e sanguigno.

Marcellise: un salto all’indietro nel tempo

Si tratta di un luogo davvero particolare dove dimora il nostro vigneto: solo circa 500 abitanti ancora oggi ci vivono, di cui 274 donne, più della metà, a testimoniare come la campagna parli ancora al femminile.

Si trova nel Comune di San Martino Buonalbergo – per intendersi, l’uscita autostradale di Verona est – da lì si incontra questo luogo guardando in alto: le colline che compaiono sono quelle di Marcellise. È una delle vallate più piccole della Valpolicella orientale che si estende da Verona verso est, a Vicenza.

La sua caratteristica principale è quella di essere un vero e proprio biotopo: si tratta di una localizzazione geografica molto circoscritta dove c’è vigna, olivo, ciliegi e una grande biodiversità. Si possono ancora vedere piccoli casali, spesso antichi anche valorizzati e ben ristrutturati, e tanta crescita dei vigneti in lungo e in largo. Macellise infatti è molto vocata alla produzione di vino rosso. Trova i natali su due placche di marna profondissime, dette dorsali, nate da fusioni calcaree. Queste presenze fanno sì che si tratti della situazione migliore per un’uva rossa come la Corvina per poter crescere, tra marne profonde e poi affioranti. La valle infatti sarebbe alla vista completamente bianca, se non fosse ricoperta dalle vigne perchè la roccia emerge dalle profondità spesso e in vari punti del suolo. È impegnativo inoltre impiantare qui un vigneto perchè le vigne poggiano direttamente sulla roccia, ma tutto questo dona complessità, finezza ed eleganza ai vini.

Vino di territorio e vino di stile

La tradizione dei veronesi è nel fare vino è quella dell’appassimento. Inoltre nel Veneto non ci sono vini realizzati con un’uva sola: tante uve rosse e bianche sono chiamate alla realizzazione delle referenze di questa regione e per questo motivo i veronesi in particolare sono grandi esperti di blend, veri esperti di mixology nel vino. Questa è la vera storia del  Veneto e non cambia per la Valpolicella. Qui infatti si trovano – permesse da disciplinare – la Corvina, il Corvinone, la Rondinella che concorrono alla realizzazione dello stesso vino. Per questa ragione quindi l’Amarone è un grande vino di territorio, dove esso è in grado di emergere fortemente; ma è un vino anche di stile, poiché l’idea del vino finale sta tutta nelle mani di chi lo produce. Da questo punto di vista infatti il pregio della denominazione è di non avere Amaroni tutti uguali, la tradizione enologica veronese valorizza la diversità come virtù. Il vino di ogni cantina viene segnato in modo definitivo dalla storia di chi lo ha fatto nascere e questa è la sola chiave per entrare nel mondo di quella specifica famiglia.

“Dal 2008 in Ca’ dei Frati è partita una storia bellissima di interpretazione del territorio rigorosa e svolta con grande umiltà e rispetto del territorio stesso, tirando fuori qualcosa di molto interpretativo ed eccezionale” afferma Bernardo Pasquali.

Un vino di necessità

In passato bisognava concentrare il vino realizzato con la Corvina e con altre uve tipiche della zona. Queste infatti davano un prodotto di circa 11 gradi alcool, così a partire dagli anni Trenta si è voluto concentrare il prodotto, renderlo più strutturato; al tempo l’unica possibilità di fare questo era di prendere l’uva, tagliarla con diverse tipologie e metterla sui graticci per appassimento. Significava in sostanza disidratare l’uva per aumentare la concentrazione zuccherina e ottenere infine un vino dall’alto grado alcolico.

Prima è nato il Recioto (la versione dolce dell’Amarone) e poi l’Amarone, si dice come errore, essendo diventato amaro durante il processo di produzione del classico Recioto. Oggi però predomina la versione secca.

Carlo Callari sostiene che l’Amarone sia “un vino giovane rispetto per esempio al Barolo che ha una storia alle spalle di più di 200 anni. Le prime bottiglie di Amarone sono degli anni Trenta o Quaranta. Solo dalla metà degli anni Novanta la produzione diventa importante e il successo è stato rapido. Difficoltà è portare nel bicchiere il territorio perchè il processo di appassimento tende a uniformare la tipologia. La disidratazione è infatti un fenomeno molto invasivo e la perdita di peso delle uve è notevole e con questa si perdono anche i caratteri specifici dell’uva. Diventa più un vino di processo così. La difficoltà principale quindi è valorizzare il territorio, facendo parlare il prodotto mantenendo un processo produttivo del tutto tradizionale”.

Per il nostro Amarone si utilizzano botti di rovere francese nuove che cedono tannino, ma è pulito, ovvero non cede i caratteri del vino che c’è stato a contatto precedentemente: è importante questo dettaglio se si vuole evidenziare l’annata e soprattutto se si vuole far parlare il territorio. Le barrique nuove infatti vengono scelte proprio per non incidere sul vitigno con il vino dell’anno precedente: ogni annata parla per sé, il territorio cambia e con esso il clima. L’uva è la stessa ma cambia nelle sue vibrazioni naturali profonde di anno in anno. Inoltre un legno riutilizzato molte volte può avere delle problematiche e durante l’utilizzo potrebbero danneggiare il vino contenuto. Soprattutto se l’annata nuova è migliore della precedente preferiamo come scelta filosofica aziendale utilizzare solo legni nuovi per la permanenza dell’Amarone.

Inoltre su tutto questo processo intervengono anche le tecniche d’avanguardia relative alla cantina come l’ossidazione evitata in fase di pigiatura e di vinificazione già nel suo momento iniziale, la saturazione delle vasche con l’anidride carbonica e il controllo costante della temperatura. La pigiatura delle uve per l’Amarone inoltre è generalmente svolta tra dicembre e febbraio in periodo generalmente sempre freddo e per tradizione vengono fatte macerazioni lunghe a freddo. In Ca’ dei Frati la macerazione viene invece svolta a caldo per estrarre più colore e più tannino dalle uve: questo passaggio però si rende necessario perchè si tratta di un vigneto con un’alta acidità naturale. Per la stessa ragione cerchiamo di prolungare la maturazione in pianta e poi lasciamo maturare il vino a lungo con 2 anni di barrique, 1 anno di acciaio e poi ancora altri anni di affinamento in bottiglia.

Macchina del tempo dal 2016 al 2008: torniamo alle origini con il nostro naso

Annata 2016

Si presenta croccante, fine e di grande eleganza. Ha una grande tensione olfattiva e gustativa che mostra tutto il suo potenziale di affinamento ancora per lungo tempo. Non mancano infatti freschezza e una leggera sapidità caratteristica della marna su cui nascono i vigneti. Il 2016 fu un’annata particolarmente fresca per cui la grande sfida fu quella di preservare questa freschezza donataci dalla natura. In queste situazioni infatti il vino tende ad ossidare facilmente. La sfida è stata felicemente vinta e oggi si presenta come un vino dal grande potenziale, forse una delle annate migliori di sempre.

Annata 2015

Valutata molto bene in generale dai produttori della Valpolicella, ma solo il tempo definisce il valore del vino e delle sue annate. La vigna qui ha più anni e non è poco nel risultato finale, infatti acquisisce nel tempo un materiale linfatico di maggiore pregio. Cosa aspettarsi nel 2015 da Marcellise? Abbiamo già detto che l’appassimento tende a uniformare i vini, ma il territorio ha una sua piacevolezza intrinseca: L’Amarone di Marcellise è diverso da quello di Negrar o Fumane, ad esempio. Il clima e i caratteri sono molto diversi tra loro. Marcellise ha di intrigante sempre la sua acidità strutturale, che aumenta e migliora in termini di equilibrio negli anni. Si avvicina sempre di più ad un equilibrio tra parti forti e molli che è fondamentale nel vino: le parti dure del vino si avvicinano in modo virtuoso alle parti morbide. Questo è il potenziale di Marcellise e di questa annata in particolare.

Vale la pena soffermarsi sul frutto in questa annata, perchè esso è tipico della Valpolicella: la ciliegia in varie sfumature, in varie tipologie ed è curioso percepire da diverse vallate di produzione il cambiamento delle ciliegie nell’Amarone. È la marasca o l’amarena tipica delle vallate: richiama la confettura, quasi dolce, nelle vallate che si trovano più in basso; sulle parti dorsali invece diventa marasca, con un finale quasi amandorlato, quasi acerbo. Nel nostro caso la ciliegia è più dolce, ma il carattere di fondo resta rivolto alla freschezza e all’acidità. Inoltre anche la sapidità salina è molto forte e davvero tipica di Marcellise: i cristalli di sale percepiti nella cavità orale emergono spesso, soprattutto in annate come la 2008.

Si traduce quindi in un’annata che ha grande profondità, con la capacità di un percorso davanti ancora molto importante.

Annata 2014 (non prodotto)

Fu un’annata molto piovosa e fredda, scura, con tante nuvole e la luce è un elemento fondamentale per la crescita della Corvina; quindi l’azienda ha rinunciato all’annata. È unica annata finora non prodotta.

Annata 2013

Annata buona ed equilibrata. Succulenta, piena e gustosa. I tannini sono allineati e dolciastri. Siamo già a qualche anno di distanza dalla vendemmia e per questa ragione emerge di più una nota evolutiva. Il colore tende verso un’evoluzioni positiva, mai tendente al color mattone perchè l’estrazione viene svolta ad alta temperatura invece che a bassa temperatura: questo dettaglio fa sì che i tannini non tendano mai al giallo aranciato, ma alla componente più rivolta al rosso e al viola, anche con un affinamento in bottiglia di più anni.

Annata 2012

Il clima ha alternato momenti siccitosi a momenti più piovosi. E’ stata quindi un’annata piuttosto difficile.

Fu complesso trovare l’equilibrio per la sua acidità naturale sempre molto spiccata: per questo motivo serve conoscere e prevedere il periodo giusto di raccolta per non degradare troppo l’uva matura in previsione dell’appassimento successivo. Al contempo il punto fondamentale però è di lasciare in pianta a maturare il frutto il più possibile per limitare la sua naturale acidità. Infatti se il vitigno ha un’acidità molto alta bisogna cercare di riequilibrarlo con la sua struttura. L’annata 2012 ha donato così longevità al vino, grazie al contrasto tra acidità alta con la sua maturazione più possibile prolungata in vigna.

Stiamo parlando ormai di un’annata che fa parte dei vini da decennio. Come si traduce quindi dal punto di vista organolettico? Si inizia a percepire la ciliegia mora, succosa e nera, la prugna, il rabarbaro che peraltro si trova nella valle di Marcellise in modo particolare, spezie dolci, anche un po’ orientaleggianti. È la bellezza dell’evoluzione che fa emergere tutti questi sentori, spontanei e riconoscibili. Il tannino dell’uva perde qui forza rispetto al tannino donato dal legno che diventa nel tempo più significativo, tanto che si arrivano a percepire diverse nuance anche viranti al cioccolato. Si sente molto infine la bacca di ginepro, intrigante nel vino e anch’essa tipica della valle di Marcellise.

Una nota importante: si tratta dell’ultimo imbottigliamento con il tappo di sughero (da qui in poi si utilizza il tappo Nomacorc in polietilene di canna da zucchero, 100% green). La ricaduta di questo è diretta su una maturazione diversa, per un passaggio di ossigeno regolamentato diversamente all’interno della bottiglia.

Annata 2011

Si tratta di un Amarone vecchio stile, si sente tutta la sua finezza. Anche questa fu un’annata piovosa e più fresca delle precedenti che ha espresso nel vino tutto il suo andamento climatico. Qui quindi torna una buona freschezza, nonostante l’annata sia più vecchia delle precedenti assaggiate finora. Si sente più freschezza e mineralità nonostante il frutto sia più maturo. Sembra una situazione un po’ strana, ma si trova lo stesso riscontro anche dal punto di vista del colore: è più fresco, più chiaro rispetto al 2012, ad esempio. Per fare questi confronti è fondamentale considerare che si tratti di uva che proviene dallo stesso vigneto. Infine da non dimenticare un accenno di balsamicità dovuta alla maturazione dei sentori terziari negli anni e da questo punto di vista il vitigno Corvinone conta molto nello sviluppo di queste note.

Annata 2010

Si colloca tra gli Amaroni di Ca’ dei Frati più evoluti: si percepisce una ciliegia appassita sotto spirito, ricoperta da un velo di cioccolato, la spezia si mostra di più, in particolare il pepe nero tipico della Valpolicella. Si avverte una presenza elegante del legno; i tannini sono più terziari rispetto a tannini evidenti della pianta che è abbastanza giovane nel momento della raccolta nel 2010. In generale però riemergono equilibrio e freschezza: Marcellise fornisce l’impalcatura naturale per aggrappare le caratteristiche del vino – ph, sapidità e freschezza – e lascia al produttore la possibilità di gestire in parte la sua maturazione. A Marcellise in passato si pascolavano gli animali, era la Lessinia destinata a pecore e a vacche, oggi è diventato tutto vigneto su una terra vergine, una terra non consumata, rocciosa e affiorante. L’unica cosa che si faceva era il pascolo con conseguente naturale concimazione. L’eleganza qui diventa suadenza con un tannino sinuoso e vellutato. Perde totalmente la sua parte più rude.

Annata 2009

Paragonato al 2003 e al 2022 per le temperature medie, con picchi importanti di quasi 40 gradi Centigradi.

Il vigneto essendo in altitudine non soffre grandi problematiche relative al caldo. C’è sempre un’aria fresca che scorre tra le foglie delle viti. Questa tuttavia è stata un’annata molto calda e corrisponde esattamente a quel calore: ne emerge un frutto molto maturo con un effetto cioccolato, suadente e un po’ goloso. È il momento di coglierlo.

Ha forse una vita più corta rispetto agli altri Amaroni di Ca’ dei Frati. Ha tuttavia note ancora un po’ verdi nonostante tutti questi anni in bottiglia: è proprio così, un’annata fresca che porta tannini non molto maturi, lascia che restino crudi anche dopo tanti anni trascorsi in bottiglia. Alla fine del sorso però diventa quasi una marmellata, una crema, risultando un vino molto concentrato.

Igino Dal Cero dice: “È stata un’annata molto particolare. È stata la seconda annata che verificavo, con delle analisi totalmente opposte rispetto al 2008 che era la prima annata da noi prodotta, molto acida, la 2009 invece era molto morbida. Il produttore di fatto può cercare di correggere, ma l’annata e la sua portata climatica emerge sempre. Io sono innamorato del 2008 che è stata la prima annata, il 2009 mi sembrava meno longevo; ora invece la 2008 ha una morbidezza quasi da cioccolato fuso. Il 2009 sembrava più molle con un’acidità più bassa. Invece è ancora qui che vive e lo fa bene: ha una sua sensazione più tipica forse come Amarone, più simile alla media degli Amaroni delle parti più basse della Valpolicella in termini di acidità”.

Il territorio forse qui – inteso come microarea – potrebbe un po’ sentirsi lontano: l’acidità e l’impalcatura che sostiene le morbidezze risultano un po’ molli e meno caratteriali, ma dal punto di vista strutturale queste sensazioni sono mitigate, da una bellissima acidità tipica.

Annata 2008

Tanta esuberanza, è stata la nostra prima indimenticabile esperienza. E’ stata segnata molto dal territorio di Marcellise, cosa a cui abbiamo da sempre teso l’occhio e la nostra attenzione per far emergere lo stesso nelle annate successive.

L’annata 2008 oggi ha ovviamente perso l’esuberanza giovanile tipica della Corvina, ma ha ancora scosse e vibrazioni da ascoltare, quasi in meditazione, che scorrono tra le morbidezze del vino. Sono passati ormai parecchi anni dalla sua vendemmia, ma nonostante ciò, sembra avere una prospettiva di vita ancora lunga.

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La DOC Lugana: il vino del Garda meridionale

Un tuffo nel passato con un po’ di immaginazione

Siamo nel 1967 a Lugana, una zona di campagna contadina, con molte meno case di quelle che si possono vedere oggi. Pochissime automobili, piuttosto carriole per trasportare alimenti, viveri, acqua e qualche damigiana di vino.
Ad un chilometro in linea d’aria dalle coste del lago di Garda si trova una piccola azienda con non più di 5 ettari di campagna attorno, animali da cortile e un grande fienile accanto ad una vecchia casa colonica. Si produce anche vino, un vino bianco contadino, agreste e forse poco raffinato, ma già allora aveva del potenziale.
Era la colazione, l’aperitivo, il pranzo e la cena delle famiglie del luogo che abitavano in Lugana.

Una lunga strada sterrata connetteva la famiglia Dal Cero che qui abitava, lavorava e viveva, con il centro del paese. Un via vai di amici, conoscenti e parenti solcava a piedi quella stradina chiedendo vino sfuso in damigiana per rispettare la tradizione del luogo. Dal lunedì al sabato. Gli orari di apertura erano solo un modo di dire. Rosa e Pietro accoglievano con ancor più gioia i passanti della domenica, quando, lontani dal lavoro in vigna solo per qualche ora, mostravano con voglia di condivisione e qualche bicchiere di vino la loro tenuta.

Qualcosa cambia

È forse proprio da questo interesse verso il vino sempre più profondo da parte della gente a far emergere in Pietro la volontà di dare un riconoscimento a quel prodotto, cercare di raffinarlo, migliorarlo, rendendolo più appetibile con i piatti locali contadini.
Vedeva che il territorio del Lugana poteva avere del potenziale se ci si metteva in ascolto della Natura del luogo.
Una zona paludosa (anticamente silva lucana) e ricca di acquitrini fino al medioevo, bonificata dai frati, resa coltivabile e da allora sempre sfruttata. Il lago non poteva che essere d’aiuto: la sua origine glaciale ha da sempre fornito ricchi minerali e grande freschezza. Il clima del Lugana è un altro punto a suo favore: una baia a cavallo tra due regioni sempre riparata e ventilata al punto giusto.
La vite non poteva che risorgere qui dopo gli attacchi di peronospora e oidio. La composizione del suolo sabbiosa in collina e argillosa verso il lago ha giocato un ruolo notevole.

Il disciplinare: un documento nato dal niente

Pietro Dal Cero, insieme ad altri contadini lungimiranti della Lugana, è stato tra i firmatari del primo disciplinare per la DOC del Lugana nel 1967. Nasce così la prima Denominazione di Origine Controllata della Lombardia.

Solo due anni dopo Ca’ dei Frati rivoluziona il suo mercato vinicolo trasformando la produzione: da vino sfuso si passa alla bottiglia di Lugana I Frati. Una bottiglia renana verde scura, allungata, come era in uso all’epoca. L’etichetta rappresentava il marchio lasciato dai Frati Carmelitani che abitavano la tenuta nella metà del XV secolo. Già si notava la volontà di riconnettersi con le antiche radici del territorio e con la sua storia strettamente locale e artigianale.

La DOC oggi

Nella DOC oggi rientrano cinque comuni del lago e dell’entroterra: Sirmione (sotto cui rientra la frazione di Lugana), Peschiera del Garda, Pozzolengo, Lonato e Desenzano del Garda. Si tratta di un areale di 2500 ettari vitati con una produzione di circa 25 milioni di bottiglie all’anno in totale. Sono otto le cantine che si impegnano nella produzione di questa DOC nel comune di Sirmione: la posizione strategica vicina al lago, pur restando in campagna, attira turisti e curiosi, soprattutto in anni più recenti.

Il vitigno principe per questa produzione è la Turbiana, facente parte della grande famiglia dei Trebbiani italiani, con un DNA studiato a lungo dal professor Attilio Scienza e dall’Università di Milano. Ne è emersa una vicinanza a vitigni bianchi tipici di zone poco distanti come il trebbiano di Soave e il Verdicchio, suoi fratelli.

La sua freschezza e tipicità nel bicchiere al naso e al palato sono state esaltate da scrittori e poeti non solo in anni recenti, come nella celebre poesia di Luigi Veronelli, che elogiava il Lugana con qualche anno sulle spalle, ma anche in passato. Tra le più antiche citazioni, insieme a quella di Agostino Gallo del XVI secolo nelle “Venti giornate dell’agricoltura”, ricordiamo quella della fine del Cinquecento di Andrea Bacci che esaltava proprio “i trebulani” prodotti nelle nostre zone, dove “trebula” indicherebbe anticamente un vino casereccio e di paese.

Per scoprire ulteriori curiosità sulla storia della famiglia Dal Cero, presente in Lugana dal 1939, e sulla produzione di questa DOC così speciale e delimitata territorialmente ti invitiamo a partecipare a uno dei tour gratuiti della tenuta prenotabile online da qui.

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