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Tag: Ca dei Frati

Verona e il vino: da dove proviene la famiglia Dal Cero

La città degli innamorati ha la più grande estensione di vigne, tra tutti i comuni della Valpolicella

La produzione vitivinicola nel comune di Verona rappresenta il primo comune per produzione nella Valpolicella. Chi l’avrebbe mai detto? Eppure si tratta di una delle città che ha la maggior quantità di territorio collinare tra quelle che ci sono nel nostro nord Italia.

Verona, se la consideriamo per il su centro storico, è una città che i Romani hanno confinato all’interno dell’ansa del suo grande fiume. Pertanto la sua superficie iniziale e, il suo cuore, anche oggi rimane particolarmente ristretto e contenuto. L’estensione del comune però si allunga verso la collina e si estende oltre le prime colline murate che vengono chiamate Torricelle.

Verona nacque su un promontorio, dove oggi si trova l’arrivo della piccola funicolare e nel tempo si abbassò in pianura oltre il fiume a sud, soprattutto in epoca romana quando il Ponte, ancor oggi ben visibile nella sua parte originale, Ponte Pietra, collegava appunto i due insediamenti: quello primordiale celtico e quello romano appunto.

Il territorio di Verona

Il Comune di Verona conta un numero di abitanti pari a 255 121. La sua estensione va dai territori a sud, industriali e popolosi e, a nord, sulle colline, arrivando fino a circa 600 metri di altitudine. Un luogo ideale per l’allevamento della vite e la produzione dei vini caratteristici locali.

Oltre Borgo Trento e Valdonega, salendo sulle colline delle Torricelle si inizia a scorgere i primi timidi vigneti, mentre rimane molto estesa la coltivazione dell’olivo, forse la pianta più antica della storia di questi territori. I terreni delle prime colline a nord della città sono molto ricchi di calcare e hanno una bella friabilità dovuta alla presenza di scisti e di argille compatte. Sono terreni che un tempo erano dedicati alla produzione di ciliegie e i grandi castagnacci che ancora oggi ornano maestosi i piccoli boschi ancora rimasti.

Sempre più a nord il comunque di Verona si estende nelle frazioni di Avesa, Parona, Quinzano, Quinto, Marzana, Poiano, Santa Maria in Stelle, Mizzole, Montorio.

Tutte queste piccole frazioni, fino a una trentina di anni fa completamente sconosciute alla produzione di vino, si sono riscattate negli ultimi anni e hanno visto un continuo crescere degli impianti, anche se con una corretta inclusione nell’ambiente, senza particolari intensità. La biodiversità di questi luoghi e la presenza importante degli olivi, in modo particolare, ha reso più armonica la variabilità colturale delle coltivazioni.

La dimensione vitivinicola e le cantine

Sono tante le cantine che sono nate in questo ultimo decennio e tutte si sono distinte per la loro capacità di sapere governare il territorio e rispettarlo con impianti di vigneti di medio-piccole dimensioni perfettamente integrati nel territorio.

Le cantine stesse non hanno deturpato le colline ma, anzi, sono sempre state concepite per valorizzare l’ambiente circostante e la sua funzionalità agricola. In alcuni casi sono state riprese antiche cantine già facenti parte delle strutture di palazzi appartenuti ai nobili Scaligeri, come ad esempio Torre di Terzolan. In altri casi si sono studiate strutture architettoniche affascinanti che hanno cercato di usare gli stessi materiali della collina circostante per la loro impostazione. Una di queste è proprio la nostra nuova tenuta sulla collina di Montorio dove la struttura si eleva dolcemente tra le vigne compenetrandosi perfettamente sia da un punto di vista cromatico, sia da un punto di vista architettonico con l’intero ambiente circostante.

La superficie coltivata e i suoli

La superficie coltivata in queste frazioni e nel comune di Verona è pari a 1292 ettari ed è il primo comune della provincia, per quel che riguarda la produzione di vino Valpolicella. Dopo di lei viene Negrar con 1154 ettari vitati. Quindi dobbiamo considerare la città degli Scala come la regina del Valpolicella, non quindi solamente un’entità scoordinata dalla zona classica. Questa forte integrazione e il salto produttivo è stato fatto perchè le colline dietro la città sono un ambiente ancora sano, con una ottima biodiversità, con un sottosuolo calcareo ideale per la produzione dei grandi vini rossi della denominazione.

I vini di Verona

Lo stile dei vini che emerge in quasi tutte le produzione di questo territorio è di quelli un pò più moderni e contemporanei. Innanzitutto si tratta di vini con un buon tasso alcolico e una importante struttura. Sono vini che vanno domati un pò ma che regalano forti emozioni. Abbastanza estrattivi si avvicinano di più alle produzioni delle colline orientali veronesi che alla zona classica occidentale.

Hanno profili sensoriali ben marcati con una complessità olfattiva sempre particolarmente evidente e un palato ampio con un tannino morbido e una acidità sostanziale che permette di ottenere dalle bottiglie buona longevità e propensione ai lunghi affinamenti in bottiglia.

Ciliegia, pout pourri di fiori rossi passiti e spezie sono il profilo aromatico più comune. La tendenza, soprattutto per quanto riguarda Ca’ dei Frati presente in Valpolicella orientale nella zona di Marcellise per la produzione dell’Amarone della Valpolicella DOCG con circa 20 ettari di proprietà, è quella di mantenere potenza e sostenere sempre l’eleganza di cui questi vini sono dotati, trovando l’equilibrio tra le componenti offrendo possibilità di ottenere armonie gustative negli anni.

Non ti resta che provare l’Amarone della Valpolicella DOCG Pietro Dal Cero (lo trovi qui anche online) per assaporare il territorio veronese in tutte le sue sfaccettature.

 

 

Bernardo Pasquali

Wine & Food Journalist & Specialist

Premio Brand Ambassador Agroalimentare Italia 2019

Maestro Assaggiatore di Formaggi ONAF Delegazione di Bergamo

I Classificato, Premio Internazionale Poggi Venezia 2009, Giornalismo e Letteratura Enogastronomica

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I nostri vini & la cucina vegetale dello chef Edo – edizione invernale

Eccoci al secondo appuntamento con gli abbinamenti ricercati tra cibi vegetali e i nostri vini. Il focus questa volta riguarda i vini rosati e rossi: Rosa dei Frati, Ronchedone e Amarone della Valpolicella DOCG Pietro Dal Cero sono i protagonisti degli abbinamenti studiati dallo chef Edoardo Nizzola, alla ricerca di sapori e sposalizi enogastronomici eleganti e sopraffini.

Chi desidera sperimentare un’esperienza multisensoriale non ha altro da fare che mettersi ai fornelli e provare le ricette e i consigli dello chef studiati appositamente in abbinamento ai vini prescelti. Non si tratta di semplici abbinamenti dove il vino viene scelto come secondo partner in questa unione gustosa, ma bilanciamenti esatti realizzati per realizzare gli ingredienti di stagione con le tonalità sensoriali e olfattive dei rispettivi vini.

Un lavoro fine e sensibile, riuscito grazie ai tanti anni di esperienza dello chef bresciano che da anni si cimenta specializzandosi maggiormente nella cucina vegetale e, come la definisce lo stesso, “dal Colore buono”.

Ecco qui le proposte studiate in versione invernale.

Risotto Carnaroli, cotto nel latte di mandorla, dadolata di mela verde e polvere di rosa mosqueta

Abbinamento con la Rosa dei Frati – Marzemino, Sangiovese, Groppello e Barbera

Ingredienti per 4 persone:

  • Riso Carnaroli 220 gr
  • Olio EVO di Ca’ dei Frati 4 gr
  • Latte di mandorla 200 gr
  • Mela verde n1 30 gr
  • Polvere di rosa mosqueta 4 gr
  • Brodo vegetale 300 gr
  • Carota, Sedano, Cipolla 80 gr
  • Vino Rosa dei Frati 20 gr
  • Sale 6 gr
  • Grana padano 10 gr
  • Burro 5 gr

Mettete l’acqua in una pentola, aggiungete le verdure e fatele bollire per qualche minuto in modo che le verdure rilascino i propri sapori e poi spegnete per farle riposare.

Prendete una casseruola piccola e metteteci il riso con l’olio EVO e fate tostare finché i chicchi non diventano leggermente trasparenti. Sfumate con il vino Rosa dei Frati e una volta evaporato cominciate ad aggiungere il latte di mandorla e il brodo vegetale filtrato finché non verrà assorbito completamente. A questo punto saranno passati circa 15 minuti. Togliete dal fuoco e cominciate a mantecare con il burro, il formaggio e il sale: incorporate bene tutti gli ingredienti così da ottenere come risultato un risotto molto cremoso.

Prendete la mela, tagliatela a cubetti e conditela leggermente con l’olio EVO. A questo punto potete impiattare: mettete il risotto in un piatto piano, accomodate la vostra mela in modo uniforme sul risotto e cospargete il tutto con la polvere di rosa mosqueta per creare infine un sentore profumato intrigante.

 

Indivia belga brasata al vino Ronchedone di Ca’ Dei Frati, crema di carruba e bacche di mirtillo nero

Abbinamento con il Ronchedone – Marzemino, Sangiovese e 10% Cabernet

Ingredienti per 4 persone:

  • Indivia belga n4 pezzi
  • Olio EVO di Ca’ dei Frati 40 gr
  • Vino Ronchedone 100 gr
  • Timo, salvia, alloro 5 gr
  • Polvere di carruba 10 gr
  • Latte di soia 50 gr
  • Olio di girasole 130 gr
  • Succo di limone 6 gr
  • Sale 3 gr
  • Bacche di ribes 40 gr

Prendete l’indivia belga, togliete le prime foglie e mettetela in una teglia con sale e olio EVO, fatela cuocere in forno per circa 40 minuti a una temperatura di 140 gradi.
A parte fate bollire il vino Ronchedone con timo, alloro e salvia e lasciatelo ridurre. Prendete poi il latte di soia e, con l’aiuto di un minipimer, andate a montare la crema aggiungendo il succo di limone, la polvere di carruba e il sale e versate a filo l’olio di girasole. Una volta ottenuta la crema, mettetela in un biberon da cucina che vi servirà per impiattare. A questo punto finite la cottura della vostra indivia mettendola nella pentola con la riduzione di vino fino a una completa glassatura, così da ottenere come risultato una salsa avvolgente e l’indivia morbida.

Impiattate creando un cerchio sul fondo del piatto con la crema di carrube, in modo da formare il perimetro che possa contenere la salsa che andrete a versare sulla vostra invidia belga. Ultimate il piatto con le bacche di ribes che andrete a lucidare leggermente con olio EVO.

 

Cavolfiore giallo dei Ronchi laccato con riduzione di Amarone della Valpolicella DOCG Pietro Dal Cero, cioccolato e tabacco, semi di anice e menta essiccata

In abbinamento con l’Amarone della Valpolicella DOCG Pietro Dal Cero – Corvina, Corvinone e Rondinella

Ingredienti per 4 persone:

  • Cavolfiore violetto 300 gr
  • Vino Amarone della Valpolicella DOCG Pietro Dal Cero 100 gr
  • Cioccolato fondente 80% 40 gr
  • Tabacco da sigaro 6 gr
  • Latte mandorla 50 gr
  • Semi di anice 3 gr
  • Menta essiccata 1 gr
  • Sale 2 gr
  • Olio EVO di Ca’ dei Frati 20 gr

Prendete il cavolfiore e tagliatelo in parti uguali in modo da ottenere 4 spicchi. Conditelo con sale e olio EVO e cuocete in forno per 50 minuti a una temperatura di 130 gradi.
Per la salsa: mettete il tabacco nel latte così da aromatizzarlo, mettetelo poi sul fuoco e portatelo a ebollizione. Spegnete il tutto e filtrate con un colino dalla maglia fine. Una volta filtrato tutto, versate sul cioccolato in modo da farlo sciogliere con il calore.

Prendete l’Amarone e mettetelo a bollire così da ridurlo; a questo punto incorporate la cioccolata nel vino, fatela cuocere ancora fino a ottenere una salsa lucida e poi mettetela da parte. Prendete il vostro cavolfiore cotto, adagiatelo in mezzo al piatto e andate a laccarlo con la salsa. Ultimate il piatto con semi di anice e foglie di menta essiccata per dare una parte balsamica e fresca al vostro piatto.

 

Se volete rifornirvi dei nostri vini in tempo per organizzare il vostro pranzo o la vostra cena con le nostre ricette, li trovate qui.

Vi auguriamo buon appetito!

 

Lo Chef Edoardo Nizzola
“La mia esperienza lavorativa inizia al Gambero di Calvisano con una cucina tradizionale ma innovativa; sono stato per 8 anni proprietario e socio del ristorante Fiamma Cremisi a Viadana di Calvisano con cucina tradizionale rivisitata, poi bancheting e ristorazione al Monastero a Soiano del Lago cucina di carne e di pesce, infine ritorno a Brescia al Castello Malvezzi con cucina mediterranea innovativa. Decido di ritornare sul lago prima su una sponda a Rivoltella presso la trattoria Dall’abate con cucina di pesce e poi sull’altra sponda a Padenghe per aprire il ristorante Miralago con cucina di carne e di pesce dal taglio innovativo, infine a Castiglione da Mutty con una proposta solo vegetale dopo un percorso dallo chef Pietro Leeman, cucina che a me piace chiamare cucina dal Colore Buono”.

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Il brindisi perfetto tra storia e Lugana

Il vino, antica elisir dell’umanità, ha da sempre celebrato la convivialità, intessendo una trama di tradizioni che si snodano nel corso dei secoli, attraverso l’arte del brindisi. Questa pratica, radicata fin dall’antichità, trova ancor oggi una piacevole pratica in alcuni momenti dell’anno, come a Capodanno, condividendo con amici e parenti le eccellenze vinicole come quelle proposte dalla nostra cantina Ca’ dei Frati, custode della tradizione del Lugana DOC.

Il nome “brindisi” pare derivi dal tedesco “bring dir’s”, ovvero “porto a te” (probabilmente si intende “il saluto”). C’è poi la consuetudine di unire al gesto anche alcune parole come “salute”/“viva” nel caso di una celebrazione. Per i più curiosi inoltre indichiamo anche la tradizione di versare un po’ di vino del proprio bicchiere in quello del commensale accanto e via di seguito, poiché si voleva accertarsi che non vi fosse del veleno.

Curioso è anche il riferimento al “Cin Cin” che si pronuncia proprio mentre si fanno tintinnare i calici: deriva dal cinese “ch’ing ch’ing” che significa “prego, prego”, modo usato dai marinai inglesi insidiatisi a Canton per sostenere scambi commerciali con la Cina. Dal latino invece deriva “Prosit”, forse meno conosciuto. E’ la terza persona singolare del congiuntivo presente del verbo “prosum” cioè “io sono favorevole, giovo”. Il Galateo in questo gesto ci indica di brindare sollevando poco il bicchiere e non bisognerebbe in questo momento far toccare i bicchieri tra loro, guardando soltanto i commensali, senza pronunciare parola alcuna. In Corea invece il bicchiere più alto deve essere del membro più anziano del gruppo radunato attorno al tavolo: paese che vai, usanza che trovi!

Nel corso dei secoli, il brindisi ha assunto molteplici forme e significati diversi per geografia e temporalità, intrecciandosi inevitabilmente con le vicende storiche e culturali – ne sono un esempio gli utilizzi che vedevano il vino come protagonista durante la guerra in trincea, o nella storia dei vini fortificati come il Porto o il Marsala, capace anche di unire luoghi lontani, o ancora nei vini apprezzati nelle corti di tutta Europa. Esplorando questo rito millenario, si scoprono storie, rituali e peculiarità particolarmente curiosi, incastonati nel tessuto stesso della nostra umanità.

Il Seicento fu testimone dell’irradiazione del brindisi connesso con la celebrazione poetica, un’arte divenuta manifestazione di bellezza e sentimento espressa tramite il mezzo della poesia. Autori come poeti e scrittori contribuirono a nobilitare questo rituale millenario, come già seppero fare dagli albori della civiltà gli antichi greci per celebrare i loro famosi simposi. Ricordiamo che è proprio tra Seicento e Settecento che abbiamo anche le prime citazioni ufficiali del Lugana come Trebbiano delle nostre zone.

Nell’antica Grecia infatti, mentre la vita si svolgeva tra momenti di cibo e momenti di libagioni, il brindisi dettava il ritmo dei convivi. Un “simposiarca”, figura di grande rilievo nella comunità degli invitati alla cerimonia e alla festa, non solo curava le bevande, ma declamava eloquenti discorsi durante il brindisi, onorando sia gli ospiti sia dichiarando poesie di tipo amoroso.

La storia romana invece celebrava prodezze amorose e anche militari nei brindisi, un’usanza consolidata che trovava spesso la sua occasione di esaltazione nella produzione di vini pregiati, come riportato in diversi testi latini che indicano talora anche i nomi dei vini preferiti dalle persone di alto lignaggio.

E mentre ogni cultura cela la sua specifica ritualità, la cantina Ca’ dei Frati continua a preservare e celebrare la tradizione del brindisi, offrendo vini spumanti e fermi – esaltando nella linea vinicola il Lugana DOC – che portano con sé la nobiltà di un’antica pratica, incastonata nella modernità delle tavole contemporanee.

Il brindisi, antica usanza, continua a fluire tra le generazioni, intessendo legami tra il passato e il presente. In questo rituale intramontabile, si riconosce la perseveranza e l’eleganza delle tradizioni enologiche, come quelle che cerchiamo di custodire con passione attraverso le generazioni della famiglia Dal Cero. Un sorso di vino Lugana DOC, frutto di secolari sapienze, è un omaggio all’umanità e al suo inestimabile patrimonio conviviale e non ce lo faremo mancare neanche per questo Capodanno imminente!

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Il Brolettino con il dono della longevità

Sapevi che uno dei nostri vini bianchi più conosciuti, il Brolettino, 100% Turbiana di Lugana, è uno dei nostri vini più longevi? Lo abbiamo scoperto anche noi venerdì 15 settembre quando Ca’ dei Frati è stata ospite della delegazione di AIS a Brescia per presentare una verticale (fino al 1995!) di uno dei suoi vini più rappresentativi e famosi: proprio il Brolettino.

Dopo i saluti da parte del delegato Alessandro Caccia, Maria Chiara Dal Cero, responsabile della comunicazione e degli eventi della cantina, ha presentato ai partecipanti Ca’ dei Frati, la sua nascita e la sua storia e, in particolare, il suo radicamento nel territorio del basso Garda Bresciano. Particolare interesse ha suscitato l’origine del nome della cantina che, del resto, può essere plasticamente compreso visitando la parte antica della sede aziendale che tradisce la sua origine di monastero maschile.

Alcune note produttive del Brolettino hanno anticipato la successiva fase di degustazione. Si è delineata la cifra stilistica dello storico prodotto, fortemente voluta dalla famiglia Dal Cero: privilegiare, innanzitutto, l’apporto aromatico della Turbiana, lavorando in fase di cantina sui sentori primari, punto di arrivo di qualsiasi produttore che voglia fare vino come espressione del terroir, sostenere, grazie alla acidità varietale, una delle caratteristiche più famose ovvero il grande potenziale evolutivo, preservare la nota sapida e, non da ultimo, calibrare il fondamentale apporto della barrique nella maturazione in modo da migliorare quanto di buono fatto in vigneto.

La discussione sui tappi Nomacorc, in particolare la linea Green utilizzata per il Brolettino, che si è di seguito sviluppata, ha mostrato non solo la scontata curiosità che proviene da persone preparate quali gli associati di AIS Brescia, ma anche la vincente scelta aziendale che si traduce in altissima prestazione della chiusura nel tempo e, di conseguenza, in effettivo piacere sensoriale nel degustare le vecchie annate.

Finalmente poi i bicchieri sono stati riempiti e la degustazione della verticale è cominciata. Artur Vaso, relatore AIS e campione in vari concorsi, ha quindi presentato, dalla più giovane alla più vecchia, le 7 annate di Brolettino. Eccole di seguito una per una, con alcune note:

2021. Paglierino con luminosa nuance verdolina. Fiore di sambuco, cedro, menta fresca disegnano l’impronta di fragrante gioventù. In bocca l’ingresso è di spessore mentre il finale è affilato, conducendo ad una beva lunga e rinfrescante, supportata da ritorni di mela verde. Il classico Brolettino così come lo conosciamo oggi.

2019. Paglierino con saturazione maggiore del precedente, ma sempre cristallino. Autentico biscotto al limone, quasi piccante per la sferzata acido-sapida che lo rendono dissetante nonostante la struttura importante. Durante la degustazione si collega l’esattezza gustativa di questa annata con la produzione totalmente svolta in atmosfera inerte.

2017. Nonostante due anni in più del precedente, appare maggiormente contornato di riflessi verdolini, indice di sorprendente gioventù visiva. Cambia invece l’impianto gusto olfattivo orientato al fruttato maturo (pesca e melone giallo) reso raffinato grazie agli sbuffi di camomilla e soprattutto (non sorprendente, per chi conosce il Lugana di media maturità) lo zafferano. Bocca calda, vellutata e nervosa allo stesso tempo ad eseguire un quadro di perfetto equilibrio. L’annata 2017 fa parte della nuova linea “Privilegio di Famiglia” in cui Lugana I Frati e Lugana Brolettino vengono messi nuovamente sul mercato, ma con cinque anni sulle spalle.

2009. Si comincia a intravedere la tonalità più decisa di giallo, qui oro antico. Odori golosi di biscotto, ale belga (malto d’orzo), nocciola tostata, caramello mou. Denso e morbido, chiude con chiari aromi di zabaione. Da qui in poi il tappo era ancora di sughero.

2006. L’annata che ha conquistato la maggior parte dei partecipanti. Sicuramente un Brolettino di eccezionale levatura. Splende di oro intenso. Miele di acacia, castagna dolce, zafferano. Sontuosa la parte tattile e saporifera. Persistenza lunga e raffinata con note che si contrastano piacevolmente tra frutta macerata e torrone.

2001. Veste dorata integra. Frutta stramatura, vaniglia, burro e spezia dolce. Spiccata acidità all’inizio bocca ma ha un ottimo finale grazie alla lunghezza con leggera, ma intrigante nota di polvere da sparo.

1995. Nonostante i 28 anni è preservata la brillantezza dorata della vista. L’impronta di evoluzione è netta: frutta stramatura, caramella al whisky, croccante di mandorla, noce moscata. Chiude sapido e con aromi mielati. Incredibile la nota ancora sapida e acida che lo caratterizza: il Lugana non si smentisce nel tempo!

La bella serata si è conclusa infine con una chicca: una fetta di pane accompagnato, in anteprima, dall’olio extravergine di oliva di Ca’ dei Frati, un multi-cultivar denocciolato nato sul Garda con una linea di produzione totalmente inertizzata, proprio come per il vino. La nota di carciofo, la piccantezza ben percepibile e la sua tipica acidità lo rendono un olio degno di coronare i migliori piatti della cucina bresciana.

 

Riccardo Contessa

Sommelier AIS e maestro assaggiatore ONAF

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I nostri vini & la cucina vegetale dello chef Edo

Siamo stati in compagnia dello chef Edoardo Nizzola, bresciano e specializzato in cucina vegetale, allievo della scuola di alta cucina dello chef stellato Leemann. La sua cucina è definita “dal Colore Buono”: in effetti non mancano tonalità, palette, fiori e frutti nei suoi piatti. Così tra una degustazione e l’altra abbiamo cominciato a parlare di pairing e di cucina vegetale, un trend molto di moda in questo momento, che sa offrire ai sommelier e ai wine lover diverse possibilità di creare abbinamenti speciali e curiosi.

Ci siamo allora concentrati su tre referenze fresche ed estive quali il Lugana I Frati, il nostro gioiello vinicolo figlio della Doc Lugana, il Cuvèe dei Frati Brut Metodo Classico, con la sua bollicina sveglia ed elegante, e il Pratto, la tipologia più amata in Oriente. A questi nostri vini lo chef Edoardo ha studiato abbinamenti vegetali da provare per una cena leggera, ma gustosa, dai tocchi orientali, senza scalzare la tradizione mediterranea.

Ecco qui le sue curiose proposte.

Piccola farinata di lenticchie rosse e cipolla di Tropea, cagliata di mandorle, contrasto di pesca gialla su carpaccio di cetriolo carosello e mele Fuji

Abbinamento con Cuvèe dei Frati Brut Metodo Classico – 90% Turbiana e 10% Chardonnay

Ingredienti per 4 persone:

  • Lenticchie rosse decorticate 160gr
  • Acqua gasata 250gr
  • Cipolle rosse di Tropea 40gr
  • Mandorle 100gr
  • Acqua 250gr
  • Succo limone 20gr
  • Sale 3gr
  • Pesche 200gr
  • Aceto di mele 5gr
  • Mele n1 grossa
  • Cetriolo Carosello n1

Prendete le lenticchie rosse decorticate e frullatele in un blender in modo da renderle più impalpabili possibili, poi con l’aggiunta dell’acqua gasata create una pastella, aggiungete un po’ di sale e lasciate riposare. A questo punto fate la cagliata di mandorla: frullate le mandorle con l’acqua per ottenere un latte di mandorla, prendete una pentola e versate il latte, dopo averlo fatto bollire aggiungete il succo di limone e cuocete per circa 15 minuti. Fate raffreddare e poi passatele al minipimer. Prendete le pesche, tagliatele e fatele cuocere per circa 10 minuti con l’aceto di mele e un pizzico di sale. Ora recuperate la pastella di lenticchie e con l’aiuto di un ring d’acciaio date una forma alle vostre cecine e fatele cuocere da entrambi i lati in una pentola antiaderente. Tagliate la mela e il cetriolo il più fine possibile e, alternandoli, fate una raggiera dove posizionerete al centro la vostra cecina e condite con la cagliata di mandorla e il contrasto di pesca.

 

Risotto di Carnaroli Veronese, mantecato con cacio Romano e wasabi, dadolata di avocado e grano saraceno scoppiato

Abbinamento con il Pratto – Turbiana, Chardonnay e Sauvignon Blanc

Ingredienti per 4 persone:

  • Riso Carnaroli 200gr
  • Cacio romano 60gr
  • Wasabi 2gr
  • Avocado 60gr
  • Grano saraceno 20gr
  • Olio EVO di Ca’ dei Frati 10gr
  • Vino Pratto 10gr
  • Erba cipollina 10gr
  • Ribes n9 bacche
  • Burro 8gr
  • Acqua 600gr
  • Sale Maldon 4gr
  • Verdure miste per brodo 100gr

Prendete l’acqua e le verdure precedentemente lavate (vanno bene anche dei ritagli di qualsiasi genere, l’importante che non colorino troppo il nostro brodo). Fate bollire il brodo per circa 30 min poi togliete le verdure e lasciate riposare.
A parte prendete una casseruola, mettete il riso, un filo d’olio evo e cominciate a scaldare il tutto. Quando sentite un leggero scoppiettio sfumate con un goccio di vino Pratto, lasciate evaporare il vino e cominciate ad aggiungere il brodo. Nel frattempo mettete in una casseruola dell’ olio evo e portatelo ad una temperatura di circa 190 gradi, aggiungete poco alla volta il grano saraceno: vedrete che si aprirà come se fossero popcorn. Una volta aperti, toglieteli dalla pentola e lasciateli da parte ad asciugare. Riprendete il nostro risotto aggiungendo brodo a necessità: il tempo di cottura del Carnaroli è di circa 15 minuti più la mantecatura a fuoco spento. Potete, nel mentre, prendere l’avocado e tagliarlo a cubetti aggiungendo 2 grani di sale Maldon. Prendete il cacio e cominciate a grattugiarlo. A questo punto saranno passati i minuti di cottura del risotto. Toglietelo dal fuoco aggiungendo il cacio, il wasabi e il burro, mescolate bene affinché il risotto risulti bello cremoso e siete pronti per finire il piatto. Versate il risotto nel piatto cercando di appiattirlo un po’, disponete i cubetti di avocado e la parte croccante del grano saraceno e, per dare una nota leggermente più acida, decorare con gambi di erba cipollina e qualche bacca di ribes.

 

Sottile di anguria con maionesi di curcuma e alga spirulina, contrasto di albicocca e olio ai profumi estivi dell’orto

Abbinamento con il Lugana I Frati – 100% Turbiana 

Ingredienti per 4 persone:

  • Anguria 200gr
  • Sale 8gr
  • Olio EVO di Ca’ dei Frati 100gr
  • Rosmarino 10gr
  • Latte di mandorla 200gr
  • Olio di girasole 300gr
  • Succo di limone 25gr
  • Curcuma 8gr
  • Alga spirulina 6gr
  • Albicocche 60gr

Prendete l’anguria e togliete la buccia verde, tagliatela a pezzettoni e condite con l’olio evo, il sale e il rosmarino. Cuocete a 130 gradi per circa 3 ore. Una volta raffreddata cercate di togliere più semi possibili e poi, con l’aiuto di un frullatore, cercate di sminuzzare la polpa. A questo punto mettetela in un sacchetto di plastica: dovete cercare di appiattirla il più regolare possibile in modo da avere uno spessore uguale su tutta la superficie. Ora mettetela a compattare in congelatore. A parte cominciate a far cuocere le albicocche con un goccio di limone e una punta di sale per circa 10 minuti, frullatele con un minipimer e lasciate raffreddare. Preparate le maionesi con il latte di mandorla, il sale, il succo di limone, la polvere di curcuma da una parte e l’alga spirulina dall’altra, versate a filo l’olio di girasole e montate il tutto con un minipimer. A questo punto potete togliere i carpacci dal congelatore e tagliargli della misura che desiderate. Adagiate subito il carpaccio in un piatto e cominciate a condirlo con le maionesi e il contrasto di albicocca. Finite il tutto con un goccio di olio evo che avrete precedentemente fatto aromatizzare con erbette spontanee dell’orto d’estate.

 

Se volete rifornirvi dei nostri vini in tempo per organizzare il vostro pranzo o la vostra cena con le nostre ricette, li trovate qui.

Vi auguriamo buon appetito!

Lo Chef Edoardo Nizzola
“La mia esperienza lavorativa inizia al Gambero di Calvisano con una cucina tradizionale ma innovativa; sono stato per 8 anni proprietario e socio del ristorante Fiamma Cremisi a Viadana di Calvisano con cucina tradizionale rivisitata, poi bancheting e ristorazione al Monastero a Soiano del Lago cucina di carne e di pesce, infine ritorno a Brescia al Castello Malvezzi con cucina mediterranea innovativa. Decido di ritornare sul lago prima su una sponda a Rivoltella presso la trattoria Dall’abate con cucina di pesce e poi sull’altra sponda a Padenghe per aprire il ristorante Miralago con cucina di carne e di pesce dal taglio innovativo, infine a Castiglione da Mutty con una proposta solo vegetale dopo un percorso dallo chef Pietro Leeman, cucina che a me piace chiamare cucina dal Colore Buono”.

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L’Olio EVO di Ca’ dei Frati: capolavoro di gusto e tradizione

Gli ulivi, preziosi custodi della tradizione e della qualità, appartengono alla famiglia di Cà dei Frati, dove vengono coltivati e curati con amore e dedizione. Questa attenzione alla filiera, dalla coltivazione alla raccolta e alla produzione, permette di offrire un olio d’eccellenza, un prodotto unico che supera la somma delle sue parti.

La produzione 

La produzione di questo capolavoro culinario avviene con la massima cura e attenzione, poiché la materia prima e il processo di lavorazione giocano un ruolo fondamentale nel garantire una qualità superiore. Così come nel mondo del vino, in cui l’azienda è immersa da più di ottant’anni, anche per l’olio le fasi di frangitura e molitura avvengono a filiera completamente inertizzata. Anche l’estrazione meccanica avviene a freddo e in un ambiente completamente inertizzato, preservando così tutte le preziose proprietà dell’olio. Ma prima ancora la raccolta delle olive è completamente manuale, eseguita con rastrelli ed agevolatori entro le prime dodici ore dalla maturazione.

La degustazione 

Un’anima fruttata e vegetale si rivela al primo istante, mentre un passaggio più attento fa trapelare sfumature di erba fresca, carciofo e mandorla, avvolte da note di cardo, erbe officinali e noce, per poi concludere con un ricordo di foglie d’ulivo. In bocca, nonostante il corpo medio-leggero, ci accoglie una rotondità, una morbidezza e una fluidità senza eguali.

La perfetta armonia fra il fruttato di livello medio, l’amaro e il piccante in chiusura ben bilanciati, rende questo olio saporito, fragrante, raffinato e armonico. Un’eccellenza gustativa priva di ogni sbavatura, un equilibrio costante fra ricchezza e delicatezza che lo rende un prodotto di carattere e di indiscutibile classe.

Credits della mappa sensoriale: Simone Massenza

L’abbinamento

Elegante e versatile, il nostro olio si sposa meravigliosamente con una vasta gamma di piatti, sia crudi come condimento finale, sia in cottura come parte integrante della ricetta. Capace di esaltare e armonizzare i sapori delle pietanze senza mai sovrastarle, accompagna con eleganza crudités, pinzimoni, carpacci di carne e di pesce, ma anche insalate, carne salada, bruschette e tartine durante l’aperitivo.

In particolare, con il suo carattere distinto, si presta a magnifici abbinamenti con piatti a base di pesce, sia di mare che di lago, ma non manca di esaltare anche le verdure cotte, le carni grigliate o alla brace e i formaggi, dal delicato stracchino a prodotti più stagionati.

Le caratteristiche chimiche 

La bassa acidità, un parametro di grande importanza nella qualità dell’olio extravergine, è una caratteristica che distingue l’Olio EVO di Cà dei Frati. Con un’acidità di soli 0,18%, si posiziona tra i migliori oli italiani. La presenza di elevati polifenoli, preziosi antiossidanti, contribuisce a rendere questo olio un alleato fondamentale per la salute, mentre l’eccezionale valore di 382,20 mg/kg di polifenoli testimonia la cura e la dedizione impiegate nella produzione. Ma la qualità del nostro olio non si ferma qui. La bassa presenza di perossidi, 7,32 meq/kg, sottolinea il rispetto e la cura con cui viene prodotto, garantendo una conservazione ottimale del gusto e dell’aroma.

Il design della bottiglia

Un’attenzione particolare viene posta anche nella scelta della bottiglia, completamente smaltata per proteggere l’olio dalla luce, il principale nemico dell’olio Extravergine durante la conservazione, e per garantire il mantenimento del prodotto anche dopo l’apertura. Il design della bottiglia inoltre è il medesimo delle bottiglie di vino, un vetro massiccio e pensato appositamente negli anni Duemila per riprendere la tradizione delle bottiglie di vino che i nostri nonni avevano sulle tavole.

L’Olio EVO della nostra azienda è un capolavoro di gusto e tradizione che rappresenta un autentico gioiello dell’enogastronomia italiana. Ogni goccia racconta la storia di una passione per il territorio, un impegno per la qualità e una dedizione senza pari per offrire al palato un’esperienza indimenticabile.

Scegliere il nostro Olio EVO significa immergersi in un viaggio sensoriale unico, alla scoperta di un prodotto di eccellenza che saprà conquistare anche i palati più esigenti.

Vuoi saperne di più? Sul nostro sito trovi maggiori informazioni e la scheda tecnica del prodotto.

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L’eleganza delle bottiglie di vino di grande formato: un’opera d’arte fatta a mano

Nel mondo del vino, l’estetica delle bottiglie gioca un ruolo fondamentale nell’impressionare e affascinare non solo gli intenditori di vino, ma anche tutti i wine lover. Funziona un po’ come per le copertine dei libri: l’esterno attira l’occhio, le forme sinuose del vetro invitano ad accogliere tra le mani la bottiglia e l’etichetta non è che il tocco finale di un progetto davvero artistico. Tra le varie opzioni disponibili, le bottiglie di grande formato, come quelle da 1.5, da 3 o da 6 litri, rispettivamente in gergo tecnico chiamati Magnum, Jeroboam e Mathusalem, si distinguono per la loro imponenza e il loro aspetto elegante. Queste bottiglie non solo rappresentano una sfida tecnica nella loro realizzazione e confezionamento, ma richiedono anche una lavorazione completamente artigianale.

Una delle ragioni principali per cui le bottiglie di vino di grande formato sono considerate più eleganti è infatti proprio la loro dimensione imponente. Rispetto alle bottiglie standard da 750 ml infatti queste bottiglie sono significativamente più grandi e spesso presentano forme uniche e slanciate. La loro presenza distintiva sul tavolo o in una cantina attira l’attenzione e trasmette un senso di grandeur. Le bottiglie di grande formato sono spesso associate infatti a occasioni speciali e a celebrazioni, rendendo l’esperienza di degustazione del vino ancora più memorabile. Immagina una festa di laurea dove il brindisi viene fatto versando il vino da una bottiglia che incentiva l’aiuto di almeno due persone: si evoca immediatamente la festa e la condivisione del momento, l’essere insieme nel festeggiare e nel condividere un istante indimenticabile.

Le bottiglie di vino di grande formato sono il risultato di un processo di produzione che richiede alcune competenze artigianali. A differenza delle bottiglie standard, che vengono realizzate in serie con l’ausilio di macchine, come nel nostro caso nella sala dedicata all’imbottigliamento e al confezionamento delle bottiglie e del cartone, le bottiglie di grande formato sono prodotte interamente a mano. Questo processo richiede una maestria artigianale e un’attenzione ai dettagli che conferiscono un valore aggiunto alle bottiglie stesse. Nel caso di Ca’ dei Frati, le bottiglie di grande formato prodotte sono il Magnum per la maggioranza delle referenze e Jeroboam e Mathusalem solo per il vino iconico dell’azienda, il Lugana I Frati.

Dopo la realizzazione in vetro con lo stampo personalizzato con il marchio in rilievo dei frati Carmelitani Scalzi che contraddistingue l’azienda, le bottiglie di grande formato vengono confezionate manualmente in una linea di produzione che viene avviata occasionalmente appositamente per questi formati e occupa circa una quindicina di persone al lavoro. Ogni persona ha una mansione ben precisa: chi imbottiglia il vino, chi lo tappa, fino ai lavori di maggiore precisione come il posizionamento dell’etichetta fronte e retro, la pulizia finale della bottiglia e il controllo dei dettagli prima di riporre il prodotto nelle rispettive scatole dedicate.

Per questa ragione, nel caso di Ca’ dei Frati, i grandi formati vanno prenotati in anticipo e si trovano soltanto su richiesta perchè occorre tempo per la produzione e il loro confezionamento. Occorre inoltre proteggere queste bottiglie durante il trasporto e conservarle al meglio per un eventuale affinamento nella cantina dell’acquirente.

Spesso infatti vengono collocate in speciali custodie o imballaggi progettati per sostenerne il peso e preservarne totalmente l’integrità. L’attenzione e la cura dedicate al confezionamento delle bottiglie riflettono l’impegno a offrire un prodotto di qualità superiore, emblematico e iconico per l’azienda.

Quando si alza un bicchiere di vino versato da una bottiglia di grande formato, si celebra non solo il gusto eccezionale, ma anche l’arte e la maestria che si nascondono dietro ogni singola bottiglia.

Per i più appassionati, è possibile quindi trovare per il solo Lugana I Frati tutta la linea completa a partire dalla bottiglia da 375 ml, passando per la bottiglia da 750 ml, il magnum da 1.5 litri, il Jeroboam da 3 litri e infine il Mathusalem da ben 6 litri.

Alcuni fortunati potrebbero trovare i grandi formati periodicamente in vendita qui:

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Come tappiamo i nostri vini: ecco i segreti del tappo Nomacorc

L’eterno abbraccio che preserva l’anima del vino

Nel regno inebriante del vino, dove la qualità è sovrana e la conservazione è maestra, si affaccia una rivoluzione avvolta in un nome: Nomacorc. Come un’eco di innovazione, il tappo Nomacorc si è insinuato tra gli studi sulle chiusure delle bottiglie, portando con sé l’arte di preservare la freschezza e le sfumature del nettare divino, in un abbraccio che supera ogni confine, mantenendo il profilo aromatico di ogni vitigno intatto.

Ca’ dei Frati utilizza questo tappo a partire dal 2017, dopo numerose prove a partire dal 2015 e frequenti viaggi in Belgio, dove si trova la sede principale di Vinventions, la casa tecnologica produttrice dei tappi tecnici, vicino a Liegi.

Siamo stati anche di recente per una visita di aggiornamento sui nuovi prodotti: al momento l’azienda, sempre attiva con una fucina di idee, sta lavorando intensamente per realizzare tappi tecnici anche per gli spumanti, con una tenuta della pressione idonea e una migliore permanenza del vino in bottiglia.

L’essenza mistica del tappo Nomacorc

Si tratta di un polimero espanso (polietilene) di canna da zucchero, una sostanza naturale e totalmente riciclabile, che dà vita oggi al tappo Nomacorc. Curato come un segreto custodito gelosamente, questo materiale pionieristico si erge a difensore dell’integrità vinicola, chiudendo le porte all’ossigeno evitando la polifenoliossidasi, ovvero la classica ossidazione che fornisce al vino sentori più stanchi ed evoluti, perdendone la freschezza. Nelle sue celle serrate, il tappo accoglie il vino, proteggendolo con gelosia, consentendogli un invecchiamento delicato, mentre la sua freschezza incanta i sensi non appena si stappa la bottiglia.

Le danze degli enigmi: i vantaggi nascosti del tappo Nomacorc

 

1. Armonia eterna: come un maestro inarrivabile, il tappo Nomacorc assicura una chiusura avvolgente, custode della qualità inalterata. L’affidabilità, nel tempo, si traduce in una sinfonia costante che conquista gli animi dei degustatori, donando loro certezza e fedeltà: un vino costante e soprattutto sorprendente anche se aperto dopo anni (anche per i vini bianchi).

2. Cancella l’oblio: le tenebre del TCA, il nemico insidioso che infetta i tappi tradizionali, si dileguano di fronte all’utilizzo del tappo Nomacorc. Senza il rischio di contaminazione o di muffe furtive, l’enologo può danzare con la purezza dei sapori, rivelando l’anima autentica del vino, mantenendo perfetta nel tempo.

3. Versi d’arte: il tappo Nomacorc, poeta di per sé, offre un’armonia di opzioni, ciascuna con la sua danza unica di permeabilità all’ossigeno. Questa flessibilità affida all’enologo il compito sublime di selezionare il tappo che si armonizza perfettamente con il vino, permettendo così un invecchiamento sublime e il raggiungimento di un bouquet aromatico desiderato. Nel nostro caso la scelta è caduta sul Select Green 100% per tutte le nostre referenze, come ad esempio il Lugana I Frati, tra i più noti, e il tappo Riserva per l’Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero. Quale differenza tra questi due tappi selezionati? La porosità: a seconda della tipologia di vino imbottigliato si può scegliere il tappo che regola così una maggiore o una minore quantità di ossigeno che passa all’interno della bottiglia.

 

 

 

 

 

 

4. Un canto alla terra: Nomacorc, custode delle tradizioni, si erge come un campione di sostenibilità. I tappi si donano al riciclo, riducendo l’impronta ecologica e abbracciando l’impegno per un mondo migliore. L’eco dell’azienda risuona in armonia con l’ambiente, riducendo l’emissione di CO2 e aprendo le porte a un futuro più attento all’ambiente.

 

Nomacorc, con la sua magia celata nei tappi tecnici, ha cambiato le regole del vino, offrendoci un’alternativa affascinante ai tappi tradizionali di sughero: basti pensare che oggi in Italia 7 aziende su 10 utilizzano questa chiusura, che permette di aprire la bottiglia ancora in modo tradizionale come con un classico tappo di sughero, ma senza gli svantaggi ad esso connessi. Il sughero infatti, oltre ad essere diventato molto caro e impattante sul prezzo finale del prodotto perchè ormai quasi introvabile (ci si rivolge per lo più al Portogallo per questo materiale), non offre garanzie sulla tenuta nel tempo e rilascia dosi di suberina che hanno la capacità di modificare il profilo aromatico del vino, che quindi perde le proprie caratteristiche provenienti dal territorio. Invece nell’abbraccio eterno del Nomacorc, la fragranza e l’anima del vino si preservano, offrendo al palato un’esperienza indimenticabile. È un capolavoro d’amore tra innovazione e tradizione, che rende omaggio alla bellezza che scorre nei calici e all’essenza stessa dei vini che affascinano il mondo.

Per approfondimenti: il sito web di Vinventions.

 

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Le mille vite del Lugana DOC

Il vino è un gioco di emozioni

Spesso ci si chiede quanto possa durare nel tempo un vino bianco. Allora si passa a valutare il modo in cui viene conservato e naturalmente il tappo. Di seguito si considera la tipologia di vino magari raffrontandola ad altre della stessa categoria alla ricerca – spesso vana – di risposte adatte. Ci siamo chiesti quindi anche noi quanto possa durare il Lugana DOC, o forse diremmo meglio quanto possa regalarci emozioni, perchè, se conservato bene e se non ci sono intoppi negli anni, il prodotto consumato dopo qualche tempo non potrà che essere buono. Cambiato, modificato, ovviamente. E’ quindi per lo più una questione di gusto personale.

Igino Dal Cero, produttore di Ca’ dei Frati, crede molto nelle potenzialità strutturali e gustative del Lugana DOC che si ottengono con l’affinamento regalato dal tempo. Il vino non invecchia né migliora, ma muta in modo proteiforme, si adatta agli influssi del tempo, rimanendo nel profondo tuttavia sempre uguale a se stesso. Per questo sono davvero molto importanti le lavorazioni in cantina e ancora prima in vigna, per essere certi di ottenere un grande prodotto proiettato nel futuro.

Il tempo influisce largamente sul vino, è una variabile importante da considerare in fase di produzione, ma anche nei termini di una prossima stappatura. Il colore vira in toni dorati – il tesoro che riemerge dopo anni dalle profondità di una bottiglia dal vetro scuro -, la glicerina lo rende più viscoso – una vera elisir di lunga vita -, infine smussa il suo carattere duro diventando più morbido e riflessivo, nelle rughe del tempo. Ma l’esperienza che ha trascorso nella sua vita come grappolo e poi trasformato in cantina lo segnerà per sempre. Di fatto rimane uguale a se stesso nella sua semplice vocazione virginale. Mantenutosi intaccato e puro nella sua campana di vetro.

Armando Castagno ha definito il Lugana DOC degno di un importante segnalibro nel volume dei grandi vini bianchi italiani da lungo invecchiamento. E a tal proposito Igino Dal Cero è assolutamente d’accordo, basta esserne capaci di prevederne le potenzialità, attività non sempre facile per un viticoltore. Tuttavia ricorda, andando indietro nelle sue quarantatré vendemmie, che questa attitudine all’ascolto dell’uva, della natura e del vino stesso gli è stata insegnata dal padre Pietro Dal Cero, fondatore dell’azienda:

“[…] mio padre veniva in cantina al mattino e poi tornava alla sera a controllare. Mi ha dato le chiavi della cantina che non ero ancora maggiorenne, mi ha lasciato sbagliare, per farmi imparare, dandomi molta responsabilità”.

 

Di cosa parliamo quando parliamo di Lugana DOC

Il Lugana DOC ha una zona di produzione molto limitata: si tratta di circa 15km tra Brescia e Verona, estendendosi su cinque comuni poiché si tratta di una denominazione interregionale. Il luogo definisce meglio la struttura del vino perché il territorio gioca un ruolo di primaria importanza per la creazione del suo profilo unico e invidiabile. Il lago con la sua massa d’acqua e le correnti ventose che scendono dal Trentino creano uno sbalzo termico notevole tra giorno e notte, ma non solo: creano anche il clima ideale per il vigneto durante tutto l’anno. Ben quattro glaciazioni si possono contare in questa zona; queste hanno fatto sì che la temperatura sia cambiata costantemente e che il ghiaccio si sia sublimato, passando dallo stato solido allo stato gassoso, lasciando sul posto un materiale idrogeologico composto da pietre incongrue tra loro, provenienti dai versanti alpini e che hanno trovato dimora proprio tra Lombardia e Veneto.

 

La nostra macchina del tempo vinicola: dal 2022 al 2004.

Ecco cosa ci ha regalato il tempo. 

verticale di lugana i frati in degustazione

Annata 2022

Un giovane Lugana ricco. Profumatissimo, pieno ed estremamente verticale e verde. L’imbottigliamento è avvenuto nella prima settimana di marzo 2023 dopo un affinamento piuttosto lungo sulle fecce fini. Questa tecnica è applicabile se si ha una persistente acidità; in tal modo si esalta la parte aromatica e resta una percezione acida che stupisce alla beva. La 2022 è stata un’annata molto calda, con anche acidità molto spiccata. Irrigazione a goccia in questo contesto ha aiutato molto (siamo stati i primi in Lugana ad apportarla in vigneto): si parla infatti di irrigazione di soccorso. Come nel caso del 2022 con un’annata molto calda, per un vino di grande acidità, dare qualche volta in più l’acqua con un gocciolante preciso che misura i litri per pianta permette di ottenere un importante bouquet di aromi e una poderosa struttura nel vino.

All’assaggio la vegetalità dei sentori non risulta cruda, ma si abbina ad un’ampia florealità che ricorda a tratti il sambuco, vira al succo di pompelmo con una verve perspicace e un ingresso sapido all’assaggio. Senza nessuna frizione.

Si sta valutando una vinificazione che parte da una vendemmia di quasi 40 giorni: anticipata all’inizio dove la nota vegetale è più spiccata, fino alla rotondità data dalla vendemmia tardiva. Ogni mese ha le proprie caratteristiche che vengono donate alle uve raccolte in differenti periodicità.

Annata 2021

Questa ha il doppio delle risorse in questa fase, due anni sulle spalle fanno sì che sia la carta immancabile per i vini di lungo invecchiamento. La nota più incredibile è la sua refrattarietà all’ossidazione che riporta questo Lugana ad un confronto pertinente con i vini  più longevi tedeschi e francesi, rispettivamente come i Riesling e alcuni Champagne. Sono quelli che Armando Castagno definisce “vini combattivi nel tempo”.

Tutto questo è aiutato da un tappo tecnico, scelto dopo svariate prove avvenute prima con microgranine, poi con il polietilene di canna da zucchero su cui si ha puntato: il tappo Nomacorc che garantisce una protezione del vino molto alta, l’utilizzo di una minore quantità di solfiti e una lunghissima (e piacevolissima) persistenza.

Annata 2017 – Privilegio di Famiglia

Al palato questo vino è fallace, non sembra essere un 2017: riporta una freschezza aromatica molto importante, che vira – a causa dei suoi anni – su una percezione maggiormente fruttata.

Si tratta della linea Privilegio di Famiglia: un vino che ha trascorso i suoi ultimi cinque anni in affinamento in bottiglia. La sensazione è meno agrumata rispetto alle annate più fresche, ma virante più verso la pesca “spaccarella”, con piacevoli note di talco mentolato, una ventata balsamica e fresca; a questo punto le note verdi sono quasi sparite, nulla di crudo persiste: anice e finocchio sono i sentori maggiormente percepibili. Si tratta di un vino molto completo, in cui note di fiori d’arancio sono un nostalgico e autoctono ricordo della sua vita iniziale. Chiude con un finale tipico del Lugana: l’olio essenziale di mandorla bianca pelata.

Annata 2011

Qui si entra in una pasticceria in piena produzione: note di frutta secca, note resinose e anche amidacee. Al naso sentori dolci, che invogliano la beva. Alla vista colpisce la sua palette dorata. In bocca l’anacardo, l’olio essenziale di noce, con note anche amaricanti si susseguono mantenendo una potente mineralità che rende questa esperienza solenne e monumentale.

Un vino ricco di ghirigori aromatici e affreschi, come ci racconta Armando Castagno, nonostante sia stata un’annata piuttosto fresca e anche sofferta dal momento che la vendemmia venne allungata di più del previsto, ragion per cui ha anche un’acidità più alta della media generale. Tuttavia questa caratteristica – meravigliosamente nel Lugana – ne esalta incredibilmente il carattere agrumato anche a distanza di anni.

Annata 2007

Cumino, maraschino, cereale tostato, frutto esotico, spezie pestate, canditi bolliti nello zucchero. È stata l’azione dei quindici anni trascorsi a riposo in bottiglia a colorarlo in modo così dolce. Porta con sé una complessità disarmante dovuta anche ad un’annata molto proficua e piuttosto calda. Qui vale ogni considerazione: ogni assaggio muta, si irrobustisce, si palesa diversamente, si mostra sotto punti di vista diversi. Una poesia liquida, tutta da interpretare.

Annata 2004

Ci piace ricordare il tocco di mimosa, percepito dal colto naso di Armando Castagno, insieme a note complesse di evoluzione ed eleganti sentori terziari dovuti al tempo di permanenza in bottiglia. Non mancano all’appello sentori pluviali e di acqua salmastra, il lago grazie alla sua vicinanza dialoga da millenni con le terre del Lugana. In generale porta ancora una dimensione enoica e un carisma davvero incredibili con sicure grandi potenzialità espressive.

L’approccio interessante di questo vino è che permette alla comunità umana del luogo e a quella aziendale di poter ragionare, studiare e sperimentare continuamente nel corso del tempo i suoi incredibili risultati. E tutto questo lavoro serve per dare una logica a questo vino nel tempo.

Trovare una scintilla che lo faccia riconoscere al naso e al palato, che faccia tornare l’assaggiatore al luogo della sua nascita e vinificazione, che permetta di filtrare attraverso il vino il luogo e che lo renda non confondibile con nessun altro: questi sono gli obiettivi che la Storia deve porsi quando prende la forma di una bottiglia.

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Maria Chiara Dal Cero

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Privilegio di Famiglia: la nuova linea di vini affinati di Ca’ dei Frati

“Bevi il tuo Lugana giovane, giovanissimo e godrai della sua freschezza. Bevilo di due o tre anni e ne godrai la completezza. Bevilo decenne, sarai stupefatto dalla composta autorevolezza”

Luigi Veronelli, guru dell’enologia, così scriveva del Lugana DOC in una celebre poesia. Credeva che fosse un vino dall’alto potenziale: generalmente bevuto fresco, in annata, ricco di mineralità e sapidità, consigliava tuttavia di berlo persino dopo dieci anni per scoprirne la struttura e la sua autorevolezza.

Perchè l’affinamento

Igino Dal Cero, produttore di Ca’ dei Frati, si trova d’accordo con le parole di Veronelli, che peraltro fu anche caro amico di famiglia, e sostiene che “[…] si deve tentare una nuova strada con il Lugana DOC, quella dell’affinamento per scoprire davvero tutto il potenziale che solo il tempo sa regalarci”. Il Lugana, da sempre considerato un vino fresco, profumato e verticale, deve essere piano piano riscoperto negli anni, provando a tenere da parte qualche annata per riaprire le bottiglie con qualche anno di affinamento in tranquillità, al buio della cantina. Si scopre così un vero tesoro: il colore lievemente dorato ne esalta la sua eleganza, il fascino viene restituito dai suoi profumi, estremamente fruttati anche nel tempo; la frutta matura, quale la pesca, la pera, anche il mandarino, prendono il posto della classica mela verde, della camomilla e del gelsomino. Abbiamo aiutato il lavoro del tempo con un tappo tecnico: un Nomacorc Select Green 100 capace di attenuare lo scambio di ossigeno, evitando quindi ossidazioni precoci.

Privilegio di Famiglia

Con questa dicitura a marchio registrato abbiamo voluto dare i natali ad una nuova linea, inaugurata a Vinitaly 2023: i nostri vini affinati in bottiglia per almeno cinque anni. La scelta che abbiamo svolto è stata realizzata con il Lugana I Frati 2017 e con il Brolettino 2017, lasciando i vini in cantina, a temperatura controllata, nella penombra durante tutto questo tempo, permettendo solo al tempo di intervenire. Assaggiare questi vini è allora un privilegio, dato che per ciascuna referenza sono state prodotte solamente 5.000 bottiglie di questa annata. La famiglia Dal Cero dona così l’opportunità di far cogliere ai degustatori interessati un’ulteriore variabile del vino, quella del tempo, anche su vini freschi e tendenzialmente preferiti in annata.

L’annata 2017: non un caso

Era il 1967 quando Pietro Dal Cero, il fondatore di Ca’ dei Frati, firmava insieme ad altri agricoltori locali il primo disciplinare del Lugana DOC, il primo vino in Lombardia ad essere riconosciuto con un insieme di regole e normative che riconoscessero al prodotto un’ autorità regolamentata. Da quel tempo sono passati esattamente cinquanta anni fino alla vendemmia del 2017 che festeggiò quindi un compleanno di mezzo secolo.

La vendemmia 2017

Si ricorda l’annata 2017 come piuttosto calda con una scarsa escursione termica tra giorno e notte. Tale caratteristica di clima caldo fu in comune anche con le vendemmie 2009, 2011, 2012 e 2015. Il 2017 fu, in particolare, un anno con un’alta siccità, mitigata tuttavia dal terreno argilloso tipico della zona di produzione del Lugana e anche dalla presenza del microclima del lago di Garda, sempre temperato. Stagionalmente nel 2017 ci fu una primavera rigida ed un’estate molto secca, si evitarono, a favore della vigna, gelate primaverili proprio grazie all’influenza del lago. Fu un’annata, inoltre, la cui vendemmia fu anticipata, come anche nel 2007, che ebbe picchi di calore importanti. Si vendemmiò con almeno dieci giorni di anticipo rispetto al solito.

L’abbinamento 

Che cosa abbinare quindi con questi vini così particolari e preziosi? Innanzitutto bisogna ricordare l’iter che viene svolto in cantina per poter trovare il miglior cibo da accompagnare. Il Lugana I Frati, 100% da vitigno Turbiana, resta circa 6-8 mesi in acciaio: ha quindi caratteristiche di freschezza e mineralità, che restano del tutto intatte anche dopo anni di affinamento in bottiglia. Il Brolettino, anch’esso 100% Turbiana, dopo un primo passaggio in acciaio, resta per circa 8-10 mesi in barrique di rovere francese nuova di media tostatura: ha quindi una texture più vellutata e nel tempo sviluppa sentori di spezie e di zenzero, percepibile anche dopo la deglutizione.

Gli abbinamenti consigliati sono quindi i seguenti, evitando per la loro struttura l’abbinamento al classico aperitivo, per il quale il Lugana I Frati e il Brolettino dell’annata corrente si prestano meglio:

– I Frati 2017 consigliato con una vellutata di zucca mantovana stagionata circa un anno oppure risotti importanti, morbidi e mantecati.

– Brolettino 2017 consigliato con un risotto allo zafferano (il classico alla Milanese), con una cucina indiana o fusione perchè tendente verso la spezia dolce oppure, più particolare, con l’anatra all’arancia.

Per ulteriori informazioni tecniche si consiglia di consultare le schede tecniche a questi indirizzi: Lugana I Frati e Brolettino.

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Verticale Storica di Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero DOCG: descrizione annata per annata

In occasione della Verticale Storica di Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero DOCG avvenuta presso la nostra sede il 25 marzo 2023, abbiamo confrontato tutte le annate di questa prestigiosa referenza e ne abbiamo tratto alcune conclusioni in questa sede, riportando le considerazioni principali emerse per ogni annata dalla 2016 alla 2008 grazie alla discussione avvenuta tra quattro prestigiosi relatori di fronte ad un pubblico numeroso presente in sala: Igino Dal Cero, enologo e produttore di Ca’ dei Frati, Carlo Callari, enologo presso la nostra sede con un’esperienza quindicinale di produzione nella Valpolicella, Bernardo Pasquali, gastronomo e Gianpaolo Giacobbo, giornalista ed esperto di vino. Una bella squadra di veneti per analizzare una referenza così legata al territorio e che parla attraverso la struttura e i sapori della tua terra.

Luxinum: il nostro vigneto a Marcellise

Il vigneto con cui produciamo il nostro Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero ha una caratteristica molto importante per la produzione dell’uva: si trova a 350 m sul livello del mare ed è rivolto verso sud, con un clima ed un orientamento pregevole. L’investimento fu fatto nel 2002 in onore del papà dei tre attuali proprietari, Pietro Dal Cero, a cui poi è stata dedicata questa referenza. Pietro infatti, figlio di Felice Dal Cero, fondatore dell’azienda, è stato l’unico dei figli a continuare l’attività agricola dando una svolta decisiva con la specializzazione nell’ambito enologico. La produzione di Amarone sembrava un sogno dietro l’angolo, un tributo fortemente voluto dalla famiglia per celebrare l’origine veneta dei Dal Cero, provenienti da Montecchia di Crosara, spostatisi sul lago nel 1939, dopo la prima guerra mondiale. Da momento dell’acquisto di alcuni ettari in Valpolicella ad oggi sono ormai passati più di 20 anni e il sogno è diventato realtà, reso ancora più reale oggi dall’ascolto di questo vino potente e narrativo nella sua evoluzione di annata in annata.

Il territorio è quindi molto importante: essendo un appezzamento unico in collina a 350 metri sul mare, è stato realizzato con dei terrazzamenti che vengono raggiunti da un sole mai caldissimo – il nome Luxinum deriva proprio dal latino lux, luce, raccolta dodici ore al giorno – donando un forte sbalzo termico tra il giorno e la notte, ideale per le uve. Nella parte più alta del suolo affiora la roccia, la calce. Per realizzare l’impianto c’è stato uno spostamento di circa 60.000 metri cubi di terra per creare il vigneto senza recidere alberi già presenti in loco e il bosco che circonda tutt’ora il vigneto. L’altro elemento importante è l’acqua: infatti se la vigna non ha il giusto equilibrio e la perfetta idratazione essa fornisce un frutto squilibrato e ciò ripercuote nel vino. In questo luogo graziato da madre natura l’uva matura molto bene, mantenendo un’acidità molto alta che ci garantisce una certa longevità in bottiglia.

La nostra Corvina, il nostro Amarone

Per l’Amarone di Ca’ dei Frati si utilizzano uve tutte provenienti da un solo ed unico vigneto. Le uniche differenze presenti quindi sono piccole variazioni del periodo di raccolta di anno in anno, mantenendo però lo stesso stile di vinificazione, in annate diverse. Con la verticale, si ha la possibilità di assaggiare quindi un unico cru, lo stesso frutto dato dalle stesse piante anno per anno, valutando così cosa la natura ci ha regalato nel corso dei suoi cicli stagionali nel corso degli anni. Un assaggio svolto in questo modo serve per capire l’evoluzione della vigna, ma anche la maturazione delle vinificazioni svolte in cantina, nonché l’evoluzione del frutto ovvero la giovinezza del vino. E’ un vero e proprio archivio per la memoria gustativa nostra, di oggi, ma anche per i degustatori del futuro che si troveranno a mettere il naso (si spera deliziati) su questo nettare potente e sanguigno.

Marcellise: un salto all’indietro nel tempo

Si tratta di un luogo davvero particolare dove dimora il nostro vigneto: solo circa 500 abitanti ancora oggi ci vivono, di cui 274 donne, più della metà, a testimoniare come la campagna parli ancora al femminile.

Si trova nel Comune di San Martino Buonalbergo – per intendersi, l’uscita autostradale di Verona est – da lì si incontra questo luogo guardando in alto: le colline che compaiono sono quelle di Marcellise. È una delle vallate più piccole della Valpolicella orientale che si estende da Verona verso est, a Vicenza.

La sua caratteristica principale è quella di essere un vero e proprio biotopo: si tratta di una localizzazione geografica molto circoscritta dove c’è vigna, olivo, ciliegi e una grande biodiversità. Si possono ancora vedere piccoli casali, spesso antichi anche valorizzati e ben ristrutturati, e tanta crescita dei vigneti in lungo e in largo. Macellise infatti è molto vocata alla produzione di vino rosso. Trova i natali su due placche di marna profondissime, dette dorsali, nate da fusioni calcaree. Queste presenze fanno sì che si tratti della situazione migliore per un’uva rossa come la Corvina per poter crescere, tra marne profonde e poi affioranti. La valle infatti sarebbe alla vista completamente bianca, se non fosse ricoperta dalle vigne perchè la roccia emerge dalle profondità spesso e in vari punti del suolo. È impegnativo inoltre impiantare qui un vigneto perchè le vigne poggiano direttamente sulla roccia, ma tutto questo dona complessità, finezza ed eleganza ai vini.

Vino di territorio e vino di stile

La tradizione dei veronesi è nel fare vino è quella dell’appassimento. Inoltre nel Veneto non ci sono vini realizzati con un’uva sola: tante uve rosse e bianche sono chiamate alla realizzazione delle referenze di questa regione e per questo motivo i veronesi in particolare sono grandi esperti di blend, veri esperti di mixology nel vino. Questa è la vera storia del  Veneto e non cambia per la Valpolicella. Qui infatti si trovano – permesse da disciplinare – la Corvina, il Corvinone, la Rondinella che concorrono alla realizzazione dello stesso vino. Per questa ragione quindi l’Amarone è un grande vino di territorio, dove esso è in grado di emergere fortemente; ma è un vino anche di stile, poiché l’idea del vino finale sta tutta nelle mani di chi lo produce. Da questo punto di vista infatti il pregio della denominazione è di non avere Amaroni tutti uguali, la tradizione enologica veronese valorizza la diversità come virtù. Il vino di ogni cantina viene segnato in modo definitivo dalla storia di chi lo ha fatto nascere e questa è la sola chiave per entrare nel mondo di quella specifica famiglia.

“Dal 2008 in Ca’ dei Frati è partita una storia bellissima di interpretazione del territorio rigorosa e svolta con grande umiltà e rispetto del territorio stesso, tirando fuori qualcosa di molto interpretativo ed eccezionale” afferma Bernardo Pasquali.

Un vino di necessità

In passato bisognava concentrare il vino realizzato con la Corvina e con altre uve tipiche della zona. Queste infatti davano un prodotto di circa 11 gradi alcool, così a partire dagli anni Trenta si è voluto concentrare il prodotto, renderlo più strutturato; al tempo l’unica possibilità di fare questo era di prendere l’uva, tagliarla con diverse tipologie e metterla sui graticci per appassimento. Significava in sostanza disidratare l’uva per aumentare la concentrazione zuccherina e ottenere infine un vino dall’alto grado alcolico.

Prima è nato il Recioto (la versione dolce dell’Amarone) e poi l’Amarone, si dice come errore, essendo diventato amaro durante il processo di produzione del classico Recioto. Oggi però predomina la versione secca.

Carlo Callari sostiene che l’Amarone sia “un vino giovane rispetto per esempio al Barolo che ha una storia alle spalle di più di 200 anni. Le prime bottiglie di Amarone sono degli anni Trenta o Quaranta. Solo dalla metà degli anni Novanta la produzione diventa importante e il successo è stato rapido. Difficoltà è portare nel bicchiere il territorio perchè il processo di appassimento tende a uniformare la tipologia. La disidratazione è infatti un fenomeno molto invasivo e la perdita di peso delle uve è notevole e con questa si perdono anche i caratteri specifici dell’uva. Diventa più un vino di processo così. La difficoltà principale quindi è valorizzare il territorio, facendo parlare il prodotto mantenendo un processo produttivo del tutto tradizionale”.

Per il nostro Amarone si utilizzano botti di rovere francese nuove che cedono tannino, ma è pulito, ovvero non cede i caratteri del vino che c’è stato a contatto precedentemente: è importante questo dettaglio se si vuole evidenziare l’annata e soprattutto se si vuole far parlare il territorio. Le barrique nuove infatti vengono scelte proprio per non incidere sul vitigno con il vino dell’anno precedente: ogni annata parla per sé, il territorio cambia e con esso il clima. L’uva è la stessa ma cambia nelle sue vibrazioni naturali profonde di anno in anno. Inoltre un legno riutilizzato molte volte può avere delle problematiche e durante l’utilizzo potrebbero danneggiare il vino contenuto. Soprattutto se l’annata nuova è migliore della precedente preferiamo come scelta filosofica aziendale utilizzare solo legni nuovi per la permanenza dell’Amarone.

Inoltre su tutto questo processo intervengono anche le tecniche d’avanguardia relative alla cantina come l’ossidazione evitata in fase di pigiatura e di vinificazione già nel suo momento iniziale, la saturazione delle vasche con l’anidride carbonica e il controllo costante della temperatura. La pigiatura delle uve per l’Amarone inoltre è generalmente svolta tra dicembre e febbraio in periodo generalmente sempre freddo e per tradizione vengono fatte macerazioni lunghe a freddo. In Ca’ dei Frati la macerazione viene invece svolta a caldo per estrarre più colore e più tannino dalle uve: questo passaggio però si rende necessario perchè si tratta di un vigneto con un’alta acidità naturale. Per la stessa ragione cerchiamo di prolungare la maturazione in pianta e poi lasciamo maturare il vino a lungo con 2 anni di barrique, 1 anno di acciaio e poi ancora altri anni di affinamento in bottiglia.

Macchina del tempo dal 2016 al 2008: torniamo alle origini con il nostro naso

Annata 2016

Si presenta croccante, fine e di grande eleganza. Ha una grande tensione olfattiva e gustativa che mostra tutto il suo potenziale di affinamento ancora per lungo tempo. Non mancano infatti freschezza e una leggera sapidità caratteristica della marna su cui nascono i vigneti. Il 2016 fu un’annata particolarmente fresca per cui la grande sfida fu quella di preservare questa freschezza donataci dalla natura. In queste situazioni infatti il vino tende ad ossidare facilmente. La sfida è stata felicemente vinta e oggi si presenta come un vino dal grande potenziale, forse una delle annate migliori di sempre.

Annata 2015

Valutata molto bene in generale dai produttori della Valpolicella, ma solo il tempo definisce il valore del vino e delle sue annate. La vigna qui ha più anni e non è poco nel risultato finale, infatti acquisisce nel tempo un materiale linfatico di maggiore pregio. Cosa aspettarsi nel 2015 da Marcellise? Abbiamo già detto che l’appassimento tende a uniformare i vini, ma il territorio ha una sua piacevolezza intrinseca: L’Amarone di Marcellise è diverso da quello di Negrar o Fumane, ad esempio. Il clima e i caratteri sono molto diversi tra loro. Marcellise ha di intrigante sempre la sua acidità strutturale, che aumenta e migliora in termini di equilibrio negli anni. Si avvicina sempre di più ad un equilibrio tra parti forti e molli che è fondamentale nel vino: le parti dure del vino si avvicinano in modo virtuoso alle parti morbide. Questo è il potenziale di Marcellise e di questa annata in particolare.

Vale la pena soffermarsi sul frutto in questa annata, perchè esso è tipico della Valpolicella: la ciliegia in varie sfumature, in varie tipologie ed è curioso percepire da diverse vallate di produzione il cambiamento delle ciliegie nell’Amarone. È la marasca o l’amarena tipica delle vallate: richiama la confettura, quasi dolce, nelle vallate che si trovano più in basso; sulle parti dorsali invece diventa marasca, con un finale quasi amandorlato, quasi acerbo. Nel nostro caso la ciliegia è più dolce, ma il carattere di fondo resta rivolto alla freschezza e all’acidità. Inoltre anche la sapidità salina è molto forte e davvero tipica di Marcellise: i cristalli di sale percepiti nella cavità orale emergono spesso, soprattutto in annate come la 2008.

Si traduce quindi in un’annata che ha grande profondità, con la capacità di un percorso davanti ancora molto importante.

Annata 2014 (non prodotto)

Fu un’annata molto piovosa e fredda, scura, con tante nuvole e la luce è un elemento fondamentale per la crescita della Corvina; quindi l’azienda ha rinunciato all’annata. È unica annata finora non prodotta.

Annata 2013

Annata buona ed equilibrata. Succulenta, piena e gustosa. I tannini sono allineati e dolciastri. Siamo già a qualche anno di distanza dalla vendemmia e per questa ragione emerge di più una nota evolutiva. Il colore tende verso un’evoluzioni positiva, mai tendente al color mattone perchè l’estrazione viene svolta ad alta temperatura invece che a bassa temperatura: questo dettaglio fa sì che i tannini non tendano mai al giallo aranciato, ma alla componente più rivolta al rosso e al viola, anche con un affinamento in bottiglia di più anni.

Annata 2012

Il clima ha alternato momenti siccitosi a momenti più piovosi. E’ stata quindi un’annata piuttosto difficile.

Fu complesso trovare l’equilibrio per la sua acidità naturale sempre molto spiccata: per questo motivo serve conoscere e prevedere il periodo giusto di raccolta per non degradare troppo l’uva matura in previsione dell’appassimento successivo. Al contempo il punto fondamentale però è di lasciare in pianta a maturare il frutto il più possibile per limitare la sua naturale acidità. Infatti se il vitigno ha un’acidità molto alta bisogna cercare di riequilibrarlo con la sua struttura. L’annata 2012 ha donato così longevità al vino, grazie al contrasto tra acidità alta con la sua maturazione più possibile prolungata in vigna.

Stiamo parlando ormai di un’annata che fa parte dei vini da decennio. Come si traduce quindi dal punto di vista organolettico? Si inizia a percepire la ciliegia mora, succosa e nera, la prugna, il rabarbaro che peraltro si trova nella valle di Marcellise in modo particolare, spezie dolci, anche un po’ orientaleggianti. È la bellezza dell’evoluzione che fa emergere tutti questi sentori, spontanei e riconoscibili. Il tannino dell’uva perde qui forza rispetto al tannino donato dal legno che diventa nel tempo più significativo, tanto che si arrivano a percepire diverse nuance anche viranti al cioccolato. Si sente molto infine la bacca di ginepro, intrigante nel vino e anch’essa tipica della valle di Marcellise.

Una nota importante: si tratta dell’ultimo imbottigliamento con il tappo di sughero (da qui in poi si utilizza il tappo Nomacorc in polietilene di canna da zucchero, 100% green). La ricaduta di questo è diretta su una maturazione diversa, per un passaggio di ossigeno regolamentato diversamente all’interno della bottiglia.

Annata 2011

Si tratta di un Amarone vecchio stile, si sente tutta la sua finezza. Anche questa fu un’annata piovosa e più fresca delle precedenti che ha espresso nel vino tutto il suo andamento climatico. Qui quindi torna una buona freschezza, nonostante l’annata sia più vecchia delle precedenti assaggiate finora. Si sente più freschezza e mineralità nonostante il frutto sia più maturo. Sembra una situazione un po’ strana, ma si trova lo stesso riscontro anche dal punto di vista del colore: è più fresco, più chiaro rispetto al 2012, ad esempio. Per fare questi confronti è fondamentale considerare che si tratti di uva che proviene dallo stesso vigneto. Infine da non dimenticare un accenno di balsamicità dovuta alla maturazione dei sentori terziari negli anni e da questo punto di vista il vitigno Corvinone conta molto nello sviluppo di queste note.

Annata 2010

Si colloca tra gli Amaroni di Ca’ dei Frati più evoluti: si percepisce una ciliegia appassita sotto spirito, ricoperta da un velo di cioccolato, la spezia si mostra di più, in particolare il pepe nero tipico della Valpolicella. Si avverte una presenza elegante del legno; i tannini sono più terziari rispetto a tannini evidenti della pianta che è abbastanza giovane nel momento della raccolta nel 2010. In generale però riemergono equilibrio e freschezza: Marcellise fornisce l’impalcatura naturale per aggrappare le caratteristiche del vino – ph, sapidità e freschezza – e lascia al produttore la possibilità di gestire in parte la sua maturazione. A Marcellise in passato si pascolavano gli animali, era la Lessinia destinata a pecore e a vacche, oggi è diventato tutto vigneto su una terra vergine, una terra non consumata, rocciosa e affiorante. L’unica cosa che si faceva era il pascolo con conseguente naturale concimazione. L’eleganza qui diventa suadenza con un tannino sinuoso e vellutato. Perde totalmente la sua parte più rude.

Annata 2009

Paragonato al 2003 e al 2022 per le temperature medie, con picchi importanti di quasi 40 gradi Centigradi.

Il vigneto essendo in altitudine non soffre grandi problematiche relative al caldo. C’è sempre un’aria fresca che scorre tra le foglie delle viti. Questa tuttavia è stata un’annata molto calda e corrisponde esattamente a quel calore: ne emerge un frutto molto maturo con un effetto cioccolato, suadente e un po’ goloso. È il momento di coglierlo.

Ha forse una vita più corta rispetto agli altri Amaroni di Ca’ dei Frati. Ha tuttavia note ancora un po’ verdi nonostante tutti questi anni in bottiglia: è proprio così, un’annata fresca che porta tannini non molto maturi, lascia che restino crudi anche dopo tanti anni trascorsi in bottiglia. Alla fine del sorso però diventa quasi una marmellata, una crema, risultando un vino molto concentrato.

Igino Dal Cero dice: “È stata un’annata molto particolare. È stata la seconda annata che verificavo, con delle analisi totalmente opposte rispetto al 2008 che era la prima annata da noi prodotta, molto acida, la 2009 invece era molto morbida. Il produttore di fatto può cercare di correggere, ma l’annata e la sua portata climatica emerge sempre. Io sono innamorato del 2008 che è stata la prima annata, il 2009 mi sembrava meno longevo; ora invece la 2008 ha una morbidezza quasi da cioccolato fuso. Il 2009 sembrava più molle con un’acidità più bassa. Invece è ancora qui che vive e lo fa bene: ha una sua sensazione più tipica forse come Amarone, più simile alla media degli Amaroni delle parti più basse della Valpolicella in termini di acidità”.

Il territorio forse qui – inteso come microarea – potrebbe un po’ sentirsi lontano: l’acidità e l’impalcatura che sostiene le morbidezze risultano un po’ molli e meno caratteriali, ma dal punto di vista strutturale queste sensazioni sono mitigate, da una bellissima acidità tipica.

Annata 2008

Tanta esuberanza, è stata la nostra prima indimenticabile esperienza. E’ stata segnata molto dal territorio di Marcellise, cosa a cui abbiamo da sempre teso l’occhio e la nostra attenzione per far emergere lo stesso nelle annate successive.

L’annata 2008 oggi ha ovviamente perso l’esuberanza giovanile tipica della Corvina, ma ha ancora scosse e vibrazioni da ascoltare, quasi in meditazione, che scorrono tra le morbidezze del vino. Sono passati ormai parecchi anni dalla sua vendemmia, ma nonostante ciò, sembra avere una prospettiva di vita ancora lunga.

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Cioccolato & vino: un binomio bizzarro

Uno degli abbinamenti più azzardati che si possono fare con il vino è accompagnarlo con il cioccolato. Bisogna certamente distinguere tipologie di vino e tipologie di cioccolato: sono infatti due mondi incredibilmente vasti e molto interessati da approfondire. Se sei curioso (e goloso!) non ti resta che procedere nella lettura e scoprire come sbalordire i commensali a fine serata.

Partiamo dal vino. Nella gamma di referenze di Ca’ dei Frati sposano l’accompagnamento con il cioccolato l’Amarone della Valpolicella DOCG (blend di Corvina, Corvinone e Rondinella), soprattutto nelle annate più longeve e con qualche anno di maturazione, quando diventa “vino da meditazione”, il Tre Filer, passito di Turbiana, Chardonnay e Sauvignon Blanc che per la sua dolcezza non troppo ostentata rimanda ad alcune note di miele e frutta secca, e le grappe, in particolare quella ricavata da vinaccia di Amarone. Queste tipologie di vino si abbinano al meglio ad alcuni tipi di cioccolato (diversi a seconda del vino selezionato) per le caratteristiche intrinseche e per la composizione e struttura del prodotto stesso, vale a dire: morbidezza, dolcezza e presenza di sentori affini al cioccolato per un abbinamento svolto per analogia di sensazioni.

Il cioccolato invece – quello vero, ricavato dalla cabosside, ovvero la fava di cacao – si divide in tre grandi famiglie: il Criollo che è il più pregiato, il più delicato, ma fornisce solo meno del 1% del cacao mondiale;  il Trinitario che è un ibrido tra il precedente e il Forastero, di cui si parlerà tra poco. Rappresenta circa l’8% del cacao dell’industria cioccolatiera e ha caratteristiche intermedie tra i due. Infine il Forastero, la varietà meno pregiata, da cui si ricava il 90% del cacao mondiale, è quindi la varietà più diffusa e coltivata al mondo.

Per il cioccolato, come per il vino, si può parlare di blend o di monovarietà (perfino di cru, con un termine condiviso con il mondo della vite). Nel primo caso, che è anche quello più comune, si miscelano diverse tipologie di cacao per ottenere una tavoletta con un buon bilanciamento tra qualità e costi della materia prima, con caratteristiche costanti nel tempo. Il cru invece indica che la tavoletta è ottenuta da un solo tipo di cacao, oppure da un cacao proveniente da un’unica zona. In questo caso la qualità quindi sarà maggiore.

Nella degustazione che proponiamo di seguito comparando i vini selezionati ad alcune tipologie di cioccolato si tiene conto anche del sistema di degustazione dei due prodotti. In entrambi i casi, sia per il cioccolato sia per il vino, la degustazione si divide in tre momenti: l’osservazione del colore (nel caso del cioccolato più è chiaro più indica che è di qualità; nel caso del vino le tinte più scure indicano che è un vino pronto o addirittura maturo), l’olfazione diretta e il ritorno retrolfattivo dopo la deglutizione (nel caso del cioccolato lo si lascia sciogliere in bocca; per il vino invece si prende un sorso e si cerca di farlo aderire al meglio su tutte le pareti della bocca) e infine la valutazione gustativa dove, in sintesi, si valuta la dolcezza, l’amarezza, l’acidità, l’astringenza e l’aspetto della piacevolezza complessiva. Si può anche aggiungere un ulteriore modalità di ascolto del prodotto: quella auditiva, dove letteralmente si ascolta il suono del cioccolato che viene spezzato per capirne la consistenza. D’altra parte anche il vino suona e canta quando viene versato nel calice! Ad ogni parametro quindi viene dato un punteggio, la cui somma definirà la categoria qualitativa dei due prodotti.

Vediamo allora gli abbinamenti che abbiamo provato con i loro punti di forza. Attenzione: non adatto ai troppo golosi!

  • Con l’Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero 2016 abbiamo abbinato un cioccolato Chuao dal Venezuela con il 75% di cacao (consigliamo la ditta Maglio): i sentori che emergono rimandano alla frutta secca, con tendenza quasi lattea e verso sensazioni di panna. E’ un abbinamento chiaro ed elegante, da conclusione di serata, quasi meditativo. In questo caso l’acidità ancora presente nell’Amarone 2016 si sposa con quella presente nel cioccolato.
  • Con l’Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero 2008 abbiamo abbinato un cioccolato Carenero el Clavo proveniente dal Venezuela con il 72% di cacao (sempre della ditta Maglio). In tal caso la granella di cacao presente sulla superficie del cioccolato ci rimanda direttamente ai sentori terziari sviluppati nel vino nel corso degli anni in bottiglia. L’aspetto quindi più grezzo del cioccolato rimanda al naso e al palato sensazioni più intense e robuste, con una grande e perfetta fusione tra i due prodotti. E’ in assoluto l’abbinamento che abbiamo apprezzato maggiormente.
  • Con il passito Tre Filer abbiamo scelto un blend delle zone caraibiche, il Caraibe con il 66% di cacao della ditta Valrhona. In questo caso si esaltano l’equilibrio, la grazia e la dolcezza leggermente aromatica tendente al miele e ai fiori bianchi.
  • Con la grappa ottenuta da vinacce di Amarone abbiamo pensato di unire un blend di Criollo con l’80% di cacao della ditta Domori il cui cioccolato non contiene alcuna percentuale di burro di cacao, ma solo cacao in purezza e un 20% di zucchero. I sentori che emergono rimandano alla frutta secca, alla nocciola e alla mandorla. Con un cioccolato importante come questo ci siamo affidati ad una grappa sostenuta e potente per esaltare la dolcezza e l’armonia.

Infine un ulteriore consiglio per qualche dolce per una chiusura con eleganza. Nella serata che abbiamo tenuto in cantina dove abbiamo provato in prima persona questi bizzarri abbinamenti, abbiamo pensato di concludere la degustazione con due mignon artigianali della nostra Pasticceria La Fenice abbinati al Tre Filer, ideale con pasticceria cremosa e anche secca. La prima è una creazione dal titolo “Oro giallo” dove una bavarese allo zafferano si unisce ad un cremoso di cioccolato al latte; la seconda invece è per i veri amanti del cioccolato fondente: uno yo-yo di cioccolato realizzato con spuma di cioccolato araguani al 72% e frollino al cacao.

Si ringrazia Roberto Caraceni

vice-presidente dell’Associazione Compagnia del Cioccolato

per i preziosi consigli di abbinamento.

 

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La DOC Lugana: il vino del Garda meridionale

Un tuffo nel passato con un po’ di immaginazione

Siamo nel 1967 a Lugana, una zona di campagna contadina, con molte meno case di quelle che si possono vedere oggi. Pochissime automobili, piuttosto carriole per trasportare alimenti, viveri, acqua e qualche damigiana di vino.
Ad un chilometro in linea d’aria dalle coste del lago di Garda si trova una piccola azienda con non più di 5 ettari di campagna attorno, animali da cortile e un grande fienile accanto ad una vecchia casa colonica. Si produce anche vino, un vino bianco contadino, agreste e forse poco raffinato, ma già allora aveva del potenziale.
Era la colazione, l’aperitivo, il pranzo e la cena delle famiglie del luogo che abitavano in Lugana.

Una lunga strada sterrata connetteva la famiglia Dal Cero che qui abitava, lavorava e viveva, con il centro del paese. Un via vai di amici, conoscenti e parenti solcava a piedi quella stradina chiedendo vino sfuso in damigiana per rispettare la tradizione del luogo. Dal lunedì al sabato. Gli orari di apertura erano solo un modo di dire. Rosa e Pietro accoglievano con ancor più gioia i passanti della domenica, quando, lontani dal lavoro in vigna solo per qualche ora, mostravano con voglia di condivisione e qualche bicchiere di vino la loro tenuta.

Qualcosa cambia

È forse proprio da questo interesse verso il vino sempre più profondo da parte della gente a far emergere in Pietro la volontà di dare un riconoscimento a quel prodotto, cercare di raffinarlo, migliorarlo, rendendolo più appetibile con i piatti locali contadini.
Vedeva che il territorio del Lugana poteva avere del potenziale se ci si metteva in ascolto della Natura del luogo.
Una zona paludosa (anticamente silva lucana) e ricca di acquitrini fino al medioevo, bonificata dai frati, resa coltivabile e da allora sempre sfruttata. Il lago non poteva che essere d’aiuto: la sua origine glaciale ha da sempre fornito ricchi minerali e grande freschezza. Il clima del Lugana è un altro punto a suo favore: una baia a cavallo tra due regioni sempre riparata e ventilata al punto giusto.
La vite non poteva che risorgere qui dopo gli attacchi di peronospora e oidio. La composizione del suolo sabbiosa in collina e argillosa verso il lago ha giocato un ruolo notevole.

Il disciplinare: un documento nato dal niente

Pietro Dal Cero, insieme ad altri contadini lungimiranti della Lugana, è stato tra i firmatari del primo disciplinare per la DOC del Lugana nel 1967. Nasce così la prima Denominazione di Origine Controllata della Lombardia.

Solo due anni dopo Ca’ dei Frati rivoluziona il suo mercato vinicolo trasformando la produzione: da vino sfuso si passa alla bottiglia di Lugana I Frati. Una bottiglia renana verde scura, allungata, come era in uso all’epoca. L’etichetta rappresentava il marchio lasciato dai Frati Carmelitani che abitavano la tenuta nella metà del XV secolo. Già si notava la volontà di riconnettersi con le antiche radici del territorio e con la sua storia strettamente locale e artigianale.

La DOC oggi

Nella DOC oggi rientrano cinque comuni del lago e dell’entroterra: Sirmione (sotto cui rientra la frazione di Lugana), Peschiera del Garda, Pozzolengo, Lonato e Desenzano del Garda. Si tratta di un areale di 2500 ettari vitati con una produzione di circa 25 milioni di bottiglie all’anno in totale. Sono otto le cantine che si impegnano nella produzione di questa DOC nel comune di Sirmione: la posizione strategica vicina al lago, pur restando in campagna, attira turisti e curiosi, soprattutto in anni più recenti.

Il vitigno principe per questa produzione è la Turbiana, facente parte della grande famiglia dei Trebbiani italiani, con un DNA studiato a lungo dal professor Attilio Scienza e dall’Università di Milano. Ne è emersa una vicinanza a vitigni bianchi tipici di zone poco distanti come il trebbiano di Soave e il Verdicchio, suoi fratelli.

La sua freschezza e tipicità nel bicchiere al naso e al palato sono state esaltate da scrittori e poeti non solo in anni recenti, come nella celebre poesia di Luigi Veronelli, che elogiava il Lugana con qualche anno sulle spalle, ma anche in passato. Tra le più antiche citazioni, insieme a quella di Agostino Gallo del XVI secolo nelle “Venti giornate dell’agricoltura”, ricordiamo quella della fine del Cinquecento di Andrea Bacci che esaltava proprio “i trebulani” prodotti nelle nostre zone, dove “trebula” indicherebbe anticamente un vino casereccio e di paese.

Per scoprire ulteriori curiosità sulla storia della famiglia Dal Cero, presente in Lugana dal 1939, e sulla produzione di questa DOC così speciale e delimitata territorialmente ti invitiamo a partecipare a uno dei tour gratuiti della tenuta prenotabile online da qui.

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Amarone Wine Experience

Cosa è l’enoturismo?

Fare enoturismo oggi significa davvero tante cose insieme: un’occhio di riguardo per il cliente che si reca in cantina, calorosa accoglienza, conoscenza profonda del prodotto, competenze sempre aggiornate, attività e creatività per promuovere un territorio e i suoi vini. Fare esperienza di un luogo e dei prodotti che provengono dalla sua terra è uno dei modi più genuini e intimi per entrare in contatto e connettersi profondamente con un terroir.

Vivere in modo esclusivo e particolare le zone di produzione del vino, passeggiare tra i legni delle barriques, respirare l’aria che si trova in un preciso luogo di un vigneto, sentirne sulla pelle il microclima e guardarsi attorno con gli occhi di un vignaiolo è quanto si cerca di trasmettere in un’esperienza a tema enologico. Non dimentichiamo poi il piacere della scoperta: gli eno-amatori infatti provano entusiasmo e passione per le storie che si trovano dentro una bottiglia di vino. Il nettare bacchico suona nella sua discesa dalla bottiglia al bicchiere, canta dolci parole e si racconta con il suo profumo varietale che sa profondamente del luogo da cui proviene. E’ il suo passaporto per i mondo.

Cosa è l’enoturismo per Ca’ dei Frati?

Essere il proprio vino e viverlo, dalla sua nascita fino alla sua morte, gloriosamente bevuto da chi lo sa apprezzare, è l’orgoglio più recondito di ogni produttore. La condivisione di questo sentimento è la base della filosofia dell’accoglienza in Ca’ dei Frati. Nasce così l’Amarone Wine Experience.

L’Amarone Wine Experience è pensata per essere l’esperienza per eccellenza del vino in Ca’ dei Frati. Un tour della durata di circa un’ora svolto a cantina chiusa al pubblico con guida un sommelier della famiglia in cui si segue tutto il processo di produzione vitivinicola dalla raccolta dell’uva fino alla barricaia e agli spumanti metodo classico, segue una degustazione di vini tipici del territorio di Lugana, incluse le DOC, accompagnati da un ricco aperitivo artigianale salato in abbinamento, realizzato dalla pasticceria di famiglia La Fenice: sono queste le due attività svolte nella tenuta. Infine per concludere la ruota dei vini assaggiati, un pranzo o una cena con il grande ospite d’onore: l’Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero DOCG. Al ristorante La Lugana Trattoria di proprietà della famiglia Dal Cero, a solo un chilometro dalla cantina, direttamente sulle dolci rive del lago di Garda, si offre un menù tipico della tradizione veronese, proprio come le origini della famiglia produttrice di vino: risotto all’Amarone e Monte Veronese e un secondo di carne di manzo cotta a bassa temperatura con ristretto all’Amarone. Un assaggio di Amarone Pietro Dal Cero DOCG è incluso e conclude l’esperienza enogastronomica al palato. Immancabile in chiusura una mini-cake artigianale realizzata dai tre Maestri pasticceri della struttura.

Se ti intriga l’enoturismo e anche questa esperienza in Ca’ dei Frati, puoi prenotare il tuo posto o regalare un voucher scrivendo a mariachiara@cadeifrati.it. Realizziamo questa esperienza enogastronomica almeno una volta al mese, nel fine settimana. 

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Bollicine, spumanti & Co.: differenze e curiosità

Bollicine? Si grazie, ma quali?

Il successo del mondo della spumantistica è sotto gli occhi di tutti. Se è vero, com’è vero, che vent’anni fa un bicchiere di spumante veniva riservato solo alle grandi occasioni o al periodo natalizio, oggi si è completamente sdoganato scandendo i vari momenti della giornata e dell’anno. Si bevono bollicine all’aperitivo, si bevono per festeggiare o per consolarsi, e soprattutto si bevono a tutto pasto. Lo spumante infatti è il vino più versatile che ci sia in tema di abbinamento con il cibo. 

In questo territorio di grande diffusione però regna sovrana la confusione per cui in queste poche righe cercheremo di dare alcune informazioni che possano essere utili. Ovviamente saranno solo piccole indicazioni che poi possono essere approfondite nei vari testi didattici.

Definizione:

Si definisce vino spumante un vino rifermentato in un ambiente chiuso, che svolga una sovrapressione superiore ai 3,5 atmosfere. 

Al di sotto di tale pressione parleremo di vino frizzante.

Se l’ambiente chiuso è:

  • La bottiglia parleremo di Metodo Classico, o Metodo Champenoise
  • Autoclave parleremo di Metodo Martinotti o Charmat

Come nasce la bollicina?

Prima di parlare di ri-fermentazione forse è il caso di ricordare cosa sia la fermentazione anche se in modo più semplice e lontano da tecnicismi.

La fermentazione è quel processo che trasforma il mosto in vino attraverso l’azione dei lieviti. Lo zucchero contenuto nell’uva, e quindi nel mosto, viene trasformato in alcol e anidride carbonica. Quindi un tino in fermentazione mostrerà un movimento di bolle che salgono verso la superfice disperdendosi nell’aria. Bisogna infatti fare molta attenzione a rimanere a lungo su un tino che sta svolgendo tale processo.

Se lo stesso processo di fermentazione avviene in un ambiente chiuso (bottiglia o autoclave), l’anidride carbonica non riesce ad uscire dalla massa e rimane disciolta nel vino diventando una bollicina.

Metodo Classico o Champenoise

E’ un metodo di rifermentazione utilizzato soprattutto con vini ottenuti da vitigni neutri come Pinot Nero, Pinot Bianco e Chardonnay. Salvo alcune eccezioni. 

In Ca’ dei Frati, per esempio, le tre tipologie di metodo classico sono ottenute da turbiana di Lugana e Chardonnay la  Cuvèe dei Frati Brut, la Cuvée dei Frati Dosaggio Zero e da marzemino, groppello, barbera e sangiovese il Rosè Cuvée dei Frati Brut.

Se la base spumante si ottiene da una vinificazione in bianco (senza contatto con le bucce) di un’uva a bacca rossa parleremo di blanc de noir, se invece la base verrà ottenuta da un vinificazione in bianco di uva bianca parleremo blanc de blancs.

Processo di spumantizzazione con Metodo Classico o Champenoise

  • Vinificazione del vino di base
  • Tirage, aggiunta di vino + liqueur de tirage (zuccheri e lieviti)
  • La bottiglia viene chiusa inserendo un tappino di plastica detto bidoule e chiudendo con il tappo a corona che garantisce una chiusura ermetica.
  • Le bottiglie vengono distese in casse di acciaio (sur lattes) dove inizia la rifermentazione, i lieviti si nutrono degli zuccheri e generano alcol e anidride carbonica, la bolla . I lieviti una volta esaurito il loro compito si adagiano sulla parete della bottiglia e inizia un processo di lisi che contribuisce a dare maggiore complessità allo spumante. 
  • Passati almeno 18 mesi le bottiglie vengono separate dai lieviti attraverso un procedimento detto remuage in cui le bottiglie vengono portate in punta ossia messe a testa in giu in modo che i lieviti vadano a depositarsi nella bidoule. A questo punto il collo della bottiglia viene immersa in un liquido a – 25° C dove ghiaccia con i lieviti. Si stappa il tappo a corona ed esce il proiettile di ghiaccio e lieviti lasciando lo spumante pulito.
  • A questo punto la bottiglia viene rabboccata  con il liqueur d’expedition, una ricetta con vecchie annate di vino, cognac, e zuccheri che ne determinano la tipologia (brut, Demi Sec, ecc) oppure rabboccato con lo stesso vino senza aggiunta di zuccheri e quindi avremo un Dosaggio Zero o Pas Dosè.
  • Tappatura con tappo a fungo e gabbietta
  • Copricapsula ed etichette

Metodo Martinotti o Charmat

Viene utilizzato soprattutto per i vini aromatici o semi aromatici. Lo spumante più famoso prodotto in autoclave è senza dubbio il prosecco ma lo stesso metodo è usato anche per moscato, muller thurgau, riesling e altri ancora.

Cos’è un’autoclave?

Si tratta di una vasca in acciaio a temperatura controllata e a chiusura ermetica con valvole di sicurezza, che possano permettere la rifermentazione e intrappolare l’anidride carbonica.

A secondo del periodo di permanenza del vino sui lieviti parleremo di charmat corto dai 30 ai 90 giorni e di charmat lungo oltre i 90 giorni.

Processo di spumantizzazione in autoclave:

  • Cuvée di base con il vino fermo con acidità alta e tenore alcolico più basso. La rifermentazione, infatti, fa aumentare di almeno un grado alcolico la base spumante
  • Aggiunta di zuccheri, lieviti e nutrienti per i lieviti per permettere la rifermentazione
  • Presa di spuma
  • Refrigerazione per la stabilizzazione 
  • Filtrazione
  • Imbottigliamento in condizioni isobariche. Si tratta di un’imbottigliatrice che riesce a trasferire lo spumante dall’autoclave alla bottiglia senza perdere la pressione
  • Tappatura con tappo a fungo e gabbietta
  • Abbigliamento, copri capsula ed etichette

Classificazione degli spumanti in relazione al residuo di zucchero

– Pas dosé o dosaggio zero o nature: contenuto di zuccheri inferiore a 1 grammo/litro. Si tratta di vini ai quali non vengono aggiunti zuccheri in fase di dosaggio. In questa categoria Ca’ dei Frati produce lo Spumante Metodo Classico Cuvèe dei Frati Dosaggio Zero.

– Brut nature: contenuto di zuccheri inferiore a 3 gr/l

– Extra brut: contenuto di zuccheri inferiore a 6 gr/l

– Brut: contenuto di zuccheri inferiore a 15 gr/l. In questa categoria Ca’ dei Frati produce lo Spumante Metodo Classico Cuvèe dei Frati e Rosè Cuvèe dei Frati.

– Extra dry: contenuto di zuccheri compreso tra 12 e 20 gr/l

– Dry o Secco: contenuto di zuccheri compreso tra 18 e 35 gr/l

– Demi sec o Abboccato: contenuto di zuccheri compreso tra 33 e 50 gr/l

– Dolce o Doux: contenuto di zuccheri superiore a 50 gr/l

 

Gianpaolo Giacobbo

Nasce a Bassano nel 1967 si occupa di vino dalla metà degli anni novanta, prima come appassionato e dal 2006 come professionista. Si forma con la rivista Porthos diretta da Sandro Sangiorgi a Roma nel primo decennio degli anni 2000. Ha dato il proprio contributo alle principali testate giornalistiche nel settore del vino in Italia. Dal 2000 svolge attività di docenza per corsi di degustazione per appassionati e professionisti. Divulgatore in Italia e nel mondo, della cultura del vino italiano. Ha svolto attività di docenza presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo dal 2016 al 2022. Dal 2015 al 2022 è stato tra i principali collaboratori della Guida Slow Wine. Collabora con Ca’ dei Frati dal 1994.

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Formaggi dal mondo e vini: note per un pairing perfetto

Formaggi e vini: quale abbinamento più goloso ed enogastronomicamente perfetto? Dopo la serata avvenuta a settembre in cui ci siamo focalizzati sull’abbinamento tra formaggi e vini in cantina con una serie di numerosi assaggi, traiamo qui le somme e vi proponiamo alcuni abbinamenti gustosi e geniali con i nostri vini.

Innanzitutto c’è da distinguere due tipologie di abbinamenti: quelli per assonanza, in cui il grasso del formaggio si sposa alla dolcezza e alle morbidezze del vino, e quelli per dissonanza, dove un formaggio più amaro, ad esempio, viene smussato dall’alcolicità del vino. Nel primo caso le due referenze abbinate vanno “d’amore e d’accordo”, nel secondo caso invece si bilanciano, sono tra loro complementari. In linea di massima infatti è necessario che i due protagonisti dell’abbinamento non si sovrastino a vicenda: nessuno deve uscire totalmente vincitore al palato. Quando il pairing risulta perfetto lo si percepisce perchè tocca e fa esplodere le emozioni giuste, facendo emergere entrambe le espressioni alimentari.

Durante la degustazione del formaggio inoltre si usano le mani: il formaggio va spezzato e osservato: come sono le sue occhiature? Come è il suo colore? Ma soprattutto si analizza il sottocrosta, il cui colore è forse ancora più importante della crosta stessa. Per questa ragione quando si abbina il formaggio al vino si forniscono pezzi di formaggio sempre muniti di crosta. Il formaggio poi si annusa per qualche istante, poi lo si porta alla bocca (tralasciando la crosta, ma non sempre! Dipende dalla tipologia di formaggio) e solo a questo punto, si beve un sorso di vino per provarne l’abbinamento. Si consiglia inoltre di fare una breve analisi sensoriale del vino in precedenza, osservando colore, persistenza e bouquet al naso e infine caratteristiche al palato e resto-olfattive dopo aver deglutito.

Di seguito quindi potrai prendere spunto per le prossime tue cene famigliari e in compagnia di amici per esaltare al meglio il prodotto morbido e gustoso del latte abbinato al nostro nettare bacchico.

COMTE’ AOP

Consigliato con l’Amarone della Valpolicella DOCG Pietro Dal Cero. Si tratta di un formaggio proveniente dalla Francia, con oltre 24 mesi di stagionatura. Sebbene con l’Amarone il tipico abbinamento sia con il Monteveronese stravecchio di malga, in questo caso ci lanciamo in un abbinamento davvero originale e saporito. 

Di questo formaggio se ne producono forme piuttosto grosse e lo si può trovare in tante e diverse stagionature perchè va abbinato a cibi diversi di solito appartenenti alla tradizione francese. Proprio per questa ragione il sottococrosta ha tante e diverse sfumature, al tatto pare perfino seta: questo è proprio il suo valore, la sua caratteristica. In bocca ha un finale molto vegetale, quasi ricorda il minestrone o la vellutata di verdure, ma anche il porcino e il caramello. Ed è proprio con queste particolari note che si può avvicinare senza troppa timidezza ad un Amarone anche un po’ maturo, come il nostro 2011. Il loro abbraccio infatti fa percepire sensazioni fumè, in seguito speziate, anche che guardano all’oriente, e anche una leggera percezione di zenzero. 

OTTO PETALI

Consigliato con il nostro Brolettino per la pienezza e la rotondità, la persistenza e il bouquet intenso che presenta il formaggio. Il suo tipico sentore è quello della mela che risalta in questo abbinamento: il Brolettino infatti, trattandosi di un 100% Turbiana, ha tra i suoi sentori più caratteristici quello della mela appena tagliata, fragrante. La forte intensità aromatica tra i due elementi permette loro di equilibrarsi alla perfezione.

L’Otto Petali che abbiamo scelto viene dal caseificio Koch da Gonten, Appenzeller, in Svizzera, che è una zona tipica di formaggi amari e dalle grosse dimensioni. Ha alle spalle almeno 40-50 giorni di stagionatura poi la forma viene immersa in ben otto tipi diversi di fiori e corolle: il formaggio e i petali restano così sigillati insieme per almeno 2 o 3 mesi. Sulla crosta del nostro formaggio alla fine si trovano proprio i medesimi petali di fiori perchè durante la sua realizzazione viene posto in contenitori con adatti a contenere poco ossigeno, il formaggio quindi si allarga e assorbe l’olio essenziale rilasciato dai fiori durante questo lungo periodo. La forma viene poi asciugata e messa in vendita. I petali depositatisi sulla crosta donano al naso sentori di fiori, spezie, anche di sesamo, inoltre tipiche sensazioni vegetali e di glutammato (più noto come umami).

CRABEI 

Consigliato con La Rosa dei Frati per la sua grande sapidità, salinità e tanta frutta rossa. In questo caso si tratta di un abbinamento complementare di aromi che stanno bene insieme, arricchendosi vicendevolmente. 

Il Crabei che abbiamo scelto proviene dal caseificio Picciau, in Sardegna, nella zona di Cagliari dove usano il latte di pecore e capre per fonderne poi insieme il latte. È stato nel 2012 perfino il miglior formaggio al mondo: se ti capita di trovarlo quindi vale assolutamente una degustazione! Per realizzare questo formaggio si utilizza il latte delle tipiche pecore sarde, caratterizzate da un pelo molto lungo. Tuttavia la regola vuole che durante l’inverno il Crabei sia realizzato con il solo latte di pecora, durante l’estate invece vada aggiunto un 15% di latte di capra, il cui tipico sentore è quello di yogurt. Il latte di pecora, in particolare, ha tanti grassi concentrati, ed è sotto solo alla bufala, regalando così un colore particolare al latte e al formaggio.

Il Crabei è considerato un formaggio speziato: si sente molto bene all’assaggio il pepe nero e il mirto. Con un calice di Rosa dei Frati andiamo ad infittire queste percezioni di frutti di bosco e sottobosco in un’unione perfetta.

PECORINO FRESCO

Consigliato con il Lugana I Frati perchè si abbinano e si mettono a confronto due prodotti iconici di due territori autentici. Inoltre si tratta di un abbinamento “rispettoso” nel nostro caso, perchè esalta di più il vino Lugana che è tipico delle nostre zone, sostenendolo in struttura e limando la perfezione dell’alcool.

Il pecorino fresco che abbiamo scelto arriva dalla società agricola Cau & Spada da Sassocorvaro Auditore (PU) nelle Marche, un luogo che dal 1970 ha pascoli davvero molto importanti e riconosciuti. Dal formaggio, grazie a questa specifica territoriale, emergono sia dolcezza sia una percezione molto floreale perchè il territorio dei pascoli è ricco di fiori e piccoli frutti. E’ incredibile come già al naso si possa percepire il profumo del campo e delle campagne da dove proviene. Entra timido e si fa largo piano in bocca: questa caratteristica si sposta in modo eccellente con le note sapide e fresche del Turbiana. Tipica del formaggio è inoltre la dolcezza, cui segue una marcata sapidità, che poi esplode in una percezione di miele millefiori e miele di ailanto, banana e agrumi esotici, cui fanno da controparte le note fruttate e floreale di mela verde, pera e gelsomino del Lugana I Frati.

BARON BIGOD

Con questo formaggio consigliamo il Pratto perchè ha un equilibrio perfetto grazie alla sua frutta esotica e matura derivata da una vendemmia tardiva di Turbiana, unitamente al blend di Chardonnay e Sauvignon Blanc.

Più che un di formaggio in questo caso dobbiamo parlare di crema. Il nome è fuorviante: ha un nome francese, ma la sua provenienza è inglese. Quello che abbiamo scelto è di Wales & Central Scotland dalla Fen Farm Dairy, a Bungay, Suffolk nel Regno Unito. Le vacche con cui è prodotto sono francesi e producono davvero poco latte, ma ricco di grassi che quasi può essere paragonato a una crema Chantilly di pasticceria, non solo per la sua cremosi, ma anche per il colore giallo molto intenso.

È proprio una carezza per il palato, pur con una leggerissima nota amaricante. I sentori tipici sono quelli che riguardano la sfera dell’erbaceo e dell’agrumato (soprattutto si sente la scorza di arancia) che vengono bilanciati dalla percezione di frutta esotica matura del Pratto.

CLACBITOU 

Consigliato con il Cuvèe Rosè dei Frati perchè la spezia del Groppello si sposa perfettamente alle note dolci di questo formaggio.

In questo abbinamento andiamo a avvalorare il contrasto tra l’acidità tipica del Metodo Classico e delle sottili bollicine del vino e la dolcezza proveniente da questo formaggio. Il Clacbitou La Racotière viene da Genelard, in Borgogna. E’ un formaggio talmente locale che perfino il suo nome è una parola dialettale del luogo, quasi a farsi marca distintiva. Di norma ha circa 30 giorni di stagionatura nei quali sviluppa un aroma tipico: il ribes rosso e piccoli frutti rossi sono caratteristici del suo bouquet al naso.

In questo caso in fase di produzione viene aggiunta della panna all’impasto del formaggio per dare più cremosità. Sono formaggi di forma piccola con una muffa bianca molto burrosa sulla crosta, anche questa caratteristica del luogo. Si aggiunga anche un’altro parametro tipico di questo formaggio: è la proteolisi del sottocrosta, ovvero molecole più piccole che compongono il formaggio, si uniscono tra loro dando forma a consistenze incredibilmente cremose.

In questo abbinamento la bollicina fine e sottile dello Spumante è in grado di ripulire il palato dopo l’esperienza della cremosità e morbidezza del formaggio, in un connubio perfetto e funzionale.

CACIOTTA CAMMARATA

La Caciotta di Luca Cammarata trova perfette condizioni in abbinamento al nostro Cuvèe dei Frati Spumante Metodo Classico.

Si tratta di un formaggio che proviene da San Cataldo, dal centro della Sicilia dove si incontrano zone aride e povere, in cui la pastorizia è ancora molto attiva e è rimasta integra da tempi immemori. Le capre, che vengono fatte pascolare e da cui si ricava il latte per questa eccellenza, sono di razza maltese, con le tipiche orecchie nere lunghe e basse. Il latte che regalano è dolcissimo, molto grasso e risente moltissimo dell’alimentazione dell’animale. Il formaggio quindi avrà note acidule, lattiche, vegetali (come il sentore di fieno) e anche di brodo leggero. Il Cuvèe dei Frati è in grado di ripulire il palato dal grasso di questo formaggio apportando però sentori molto affini quali quello del fieno, del lievitato, di biscotto e di pane.

ROBIOLA DI CAPRA

L’abbinamento che consigliamo è con il Cuvèe dei Frati Dosaggio Zero, perchè con la sua bollicina setosa crea una percezione cremosa al palato molto piacevole durante la degustazione. La Robiola che abbiamo selezionato è prodotta dal latte delle capre girgentane la cui caratteristica è quella di produrre pochissimo latte. L’azienda di cui abbiamo apprezzato l’eccellenza è l’Azienda Agricola Montalbo, situata ad Agrigento.

I sentori che emergono prepotentemente da questo abbinamento in perfetto equilibrio sono: agrumi (tipici di Sicilia), le noci e la frutta secca in generale, con note anche di frutta tostata.

GRANA PADANO

Non poteva mancare nella nostra selezione, abbinato divinamente al nostro Ronchedone.

Per provare questo semplice ma incredibile abbinamento consigliamo di fare delle scaglie di formaggio piuttosto sottili così da lasciare che si sciolga facilmente sulla lingua mentre beviamo un sorso di Ronchedone e ne testiamo la finezza. Il formaggio che abbiamo scelto ha trentasei mesi di stagionatura, Grana Padano Biologico solo fieno da San Pietro, a Brescia. Alla vista è marmoreo a causa degli amminoacidi che creano dei piccoli pois, segno che il latte è di altissima qualità. Le vacche da cui si ricava sono soprattutto le classiche pezzate rosse e anche qualche bruna alpina (la cosiddetta “regina del latte”) con le frisone.

E’ un formaggio molto secco, già nella percezione che se ne ha nelle mani. Il vino però ha una grande morbidezza, un corpo ben strutturato e un intensità elevata ed è quindi capace di apportare quando manca al formaggio. Dal punto di vista aromatico il Marzemino ci porta alla memoria note di piccoli frutti rossi, con una parte minerale caratteristica delle zone del basso lago. Il Sangiovese invece porta tannino e il Cabernet un’elegante sensazione erbacea. Tutti e tre questi vitigni sanno legarsi perfettamente al Grana Padano che, proprio grazie alla sua avanzata stagionatura, richiede vini strutturati cui essere abbinato.

GRUYERE ALPAGE VOUNETZ RESERVE 2019

L’abbinamento che questo formaggio richiede è con il nostro passito Tre Filer, dove la sapidità del Turbiana e la dolcezza dell’uva surmatura si trovano in un perfetto connubio con questo formaggio svizzero.

Il Tre Filer infatti è un vino passito intenso, ma con una dolcezza molto delicata e assolutamente non stucchevole che rimanda sensazioni di frutta esotica, anche ben matura, in particolare albicocca, mango e banana. Il formaggio, dal canto suo, ha le note caratteristiche al naso di rosa, ananas, agrumi ed erbe aromatiche, contribuendo a quanto già percepito nel vino.

Si tratta di un formaggio compatto e gessoso, molto grasso. E’ da qui che emergono sentori di frutta esotica, soprattutto dopo qualche anno di stagionatura.

Speriamo di averti fatto incuriosire con questi abbinamenti speciali e di averti fatto scoprire nuove eccellenze italiane e non che ben si sposano con le nostre referenze.

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La vendemmia nella Lugana di Ca’ dei Frati

Il momento della raccolta dell’uva è sempre stato per l’uomo fonte di grande soddisfazione e gioia, ne sono traccia reperti ritrovati in alcune tombe degli antichi egizi, il primo popolo a scoprire e utilizzare il prodotto della fermentazione dell’uva. A quel tempo non esisteva una viticoltura come la conosciamo noi oggi, le vigne crescevano spontaneamente “maritandosi” cioè aggrappandosi agli alberi che crescevano nelle vicinanze. È facile immaginare, quindi, come i grappoli dolci, turgidi e succosi, fossero recepiti dagli uomini di quell’epoca come doni per i quali essere grati alla Natura e agli dei. Nel corso del tempo l’uomo è stato capace di addomesticare le vigne, costruendo per loro tralicci e palizzamenti ai quali queste intelligenti e prolifiche rampicanti potessero reggersi. Sono molti gli affreschi di epoca romana che li raffigurano in momenti di vendemmia, feste dedicate a Bacco e ricchi banchetti in cui vino e uva sono sempre presenti. Anche nel territorio di Lugana sono state ritrovate tracce di viticoltura risalenti a quest’epoca. 

Oggi come allora la vendemmia è il momento più importante per chi produce vino, un momento preparato e atteso nel corso di molti mesi, a cominciare dalla potatura invernale delle piante, perché la maturazione dell’uva è il risultato di un’attenzione costante nel corso del tempo. Come tutte le piante anche la vigna per vivere bene e dare i suoi frutti ha bisogno di acqua, luce e sostanze nutritive. Se manca uno di questi tre elementi la pianta blocca la sua crescita e rinuncia a portare a maturazione i grappoli, per riuscire a mantenere il proprio equilibrio e la propria sanità. Un grappolo che giunge a maturazione perfetta ha potuto godere di acqua, di sali minerali e della giusta luce, permettendo alla pianta di realizzare una fotosintesi efficace e di concentrare nei suoi frutti zuccheri, acidi, sali e molte altre sostanze nutritive. 

Così è anche per la turbiana, la varietà regina del territorio morenico di Lugana, originato dall’andirivieni delle grandi glaciazioni che hanno sconvolto, congelato e poi disciolto le acque del lago di Garda, determinando col passare dei millenni, il mescolamento di materiali e di detriti fossili ed il loro sbriciolamento in particelle finissime, che hanno poi formato l’argilla di sedimentazione, ricchissima di calcare attivo, che caratterizza questo territorio. La turbiana ha un grappolo piuttosto piccolo e fitto che anche in piena maturazione mantiene un bagliore verde sulla buccia dorata degli acini. Per sua natura è un vitigno con rese piuttosto basse ed il sistema di allevamento prediletto è il guyot.

Profumi di agrume, mandorla, fiori bianchi ed erbette aromatiche: sono questi i sentori tipici del trebbiano di Lugana. Nel vino li ritroviamo con facilità, insieme ad una grande freschezza ed una sapidità molto gustosa che fa salivare a lungo. Il microclima di cui godono le vigne è molto particolare perché beneficia dell’aria fresca che discende dalle montagne del Trentino e allo stesso tempo è sempre mitigato dalla presenza temperante del lago di Garda. Ma ci sono delle differenze tra zona e zona. Questo è il motivo per il quale Igino Dal Cero in Cà dei Frati vinifica separatamente le parcelle che compongono i vigneti aziendali. Le differenze presenti tra terreni più limosi e terreni più sabbiosi e ricchi di scheletro, unita alle diverse esposizioni, dona infatti alla turbiana delle sfumature aromatiche diverse. I terreni ricchi di limo compatto tendono a far emergere sensazioni più agrumate e fresche, mentre nei terreni più ricchi di scheletro si apprezzano note più calde e ricordi di frutta esotica. Racconta proprio Igino: “Vinificare le parcelle separatamente vuol dire esprimere il meglio di ogni appezzamento esaltando le tante sfaccettature della turbiana che, una volta assemblate, vanno a creare un vino complesso sia nella struttura che negli aromi varietali”. Sfaccettature che emergono in modo evidente nei due Lugana prodotti dall’azienda.

Il Lugana “I Frati”, vinificato solo in acciaio, è diretto e fresco, con piacevoli sentori di piccoli fiori e mandorla ed un sorso salino e succoso che si allunga su ricordi balsamici di mentuccia. 

Brolettino è invece un Lugana ottenuto da uve maturate più a lungo sulla pianta e questa maggior maturità si esprime nel vino in sentori di polpa gialla di pesca e mela golden, in un palato dall’avvolgente sapidità in cui si fanno spazio profumi suadenti di spezia dolce che rivelano l’affinamento in barrique di questo vino.

Se vuoi assaggiare queste referenze e fare esperienza anche da casa del territorio che questi vini freschi e minerali portano con sé, puoi trovarli nel nostro shop ufficiale qui: www.caffetteriapasticcerialafenice-onlineshop.it.

 

Scritto da Corinna Gianesini

Sommelier – Comunicatrice del Vino

Curatrice guida Slow Wine per il Veneto

 

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L’arte in Ca’ dei Frati

L’arte è la cantina

Visitando Ca’ dei Frati, non si trovano grandi opere d’arte con cartellini a definirle o a interpretarle. La tendenza degli ultimi anni è stata quella di unire l’arte, soprattutto contemporanea, al contesto paesaggistico vinicolo e alle sue attività produttive. Ecco, a questo trend Ca’ dei Frati ha aderito in un modo tutto suo.

Partendo dal concetto di “arte totale”, ogni cosa che si tocca e si vede in azienda è frutto di un pensiero, di una valutazione interiore e fisica allo stesso tempo. Tutto riflette l’esperienza finale, quella della fruizione del vino in un contesto che rende possibile, in sostanza, l’immersione in quel bicchiere con testa e corpo, come un tuffo da un’alta scogliera del lago che, dopo lo slancio, accoglie immensamente anima e fisicità.

Si tratta di un incontro tra cantina e arte che è certamente più sottile, ma non meno degno di nota. Nel bel mezzo di un territorio noto per la sua DOC, il Lugana, a due passi dalle sponde meridionali del lago di Garda, il rapporto con l’arte è onnipresente ed innovativo, anche se di non facile individuazione per un occhio non abituato a osservare i dettagli.

L’idea alla base della nuova costruzione avvenuta nel 2018 è di abbinare al “tempio dedicato al vino” alcune maestranze locali che lavorano ancora oggi con antiche tecniche di produzione materiale. In particolare ci si riferisce alla lavorazione di legni pregiati, ferro battuto tornito a mano, realizzazione di vetrate a fondo di bottiglia per richiamare il contesto tardo-medioevale, lampadari realizzati a vetro soffiato e affreschi dipinti a mano grazie ad antiche tecniche di asciugatura sulla parete umida.

La cantina ha in ogni caso una lunga storia da vantare: la struttura originaria risalente alla metà del Quattrocento era infatti un distaccamento dei frati Carmelitani Scalzi dell’ordine di Santa Maria de Senioribus, i quali avevano come sede principale un monastero a circa otto chilometri, l’attuale Museo Rambotti di Desenzano del Garda, dal luogo su cui sorgeva l’antica casa vinicola.

I frati a quel tempo abitavano la tenuta per scopi sostanzialmente produttivi poiché la terra rispondeva adeguatamente ai loro bisogni: possedevano qualche ettaro di vigna, dato in mezzadria a contadini della zona per la produzione di vino per la santa messa. Questo dato interessa molto la tenuta attuale perchè testimonia la presenza della vite nel contesto locale già da più di cinquecento anni. Di quel tempo resta oggi nella sala storica soltanto un antico portale marmoreo con lo stemma dei frati, divenuto oggi il marchio ufficiale del brand Ca’ dei Frati.

Il riferimento al tema religioso intercorre in ogni dettaglio della cantina, a partire dalla nuova sala degustazione che emula la navata principale di una chiesa nel cui abside viene proiettato a parete un video a ciclo continuo che racconta la campagna, la produzione di vino in loco e i più di ottanta anni di attività vitivinicola della famiglia sul territorio.

L’idea del “tempio” dedicato al prodotto di punta, il vino, è nata proprio con una ricerca sul passato storico della tenuta, adottando oggi stilemi e usanze dell’epoca che si riflettono sul mobilio (panche e tavoli per la degustazione o il leggio come espositore delle brochure aziendali) e sulla funzione delle strutture stesse. Il consumatore si trova immerso totalmente in un’architettura che emula la storia dell’azienda e questa percezione è avvalorata dai preziosi dettagli artistici che si ritrovano durante tutto il percorso di visita. Gli stessi pavimenti, a titolo d’esempio, ricalcano gli antichi pavimenti cosmateschi delle chiese il cui significato era quello di aiutare l’officiante a ricordare le diverse tappe durante la cerimonia grazie all’uso di forme e colori che trovava a terra, adempiendo nel contempo una funzione decorativa.

In Ca’ dei Frati da segnalare innanzitutto è il coro realizzato a mano totalmente in legno di noce pensato per essere utilizzato come espositore per le referenze aziendali: il cliente si trova immerso in un’atmosfera antica e reverenziale proprio al momento dell’acquisto del vino, con in sottofondo i cori ecclesiastici che cantano rigorosamente in latino. La manifattura che ha realizzato il coro ha portato a compimento per l’azienda anche la bussola d’ingresso, proprio come una chiesa antica, e tutte le vetrate delle grandi porte presenti in cantina, nella zona di produzione, decorate a fondi di bottiglia. Il nome della manifattura è Arte Poli di Verona che vanta un discreto numero di artisti che, ormai tra gli ultimi, lavorano ancora con le tecniche del tempo, rigorosamente a mano. Anche panche, tavoli, banconi per la degustazione, leggii per le brochure e una teca con in esposizione le referenze sono state realizzate da un artista falegname, Fausto Bonini. È stato chiamato un mastro vetraio muranese per i lampadari della sala del coro, Fabio Fornasier, che vanta uno splendido atelier proprio a Murano. Per i ferri battuti che si incontrano in alcuni dettagli lungo la visita in cantina (come per esempio la ringhiera delle scale che scendono in barricaia) è stato interpellato il fabbro artista Dante Bonometti. Infine per tutti i decori a parete realizzati con l’antica tecnica ad affresco è stata chiamata la compagnia di artisti La Fede di Brescia.

Il concetto che sta alla base della scelta di unire un luogo di accoglienza per il consumatore di vino e i luoghi destinati alla produzione con l’arte delle manifatture locali vuole esaltare la capacità mentale e manuale dell’uomo di saper trasformare la materia prima in qualcosa d’altro, in qualcosa di più potente, e la sua abilità innata nel tempo. L’uomo ha sempre prodotto vino, ma ha anche sempre realizzato arte, due ambiti che Ca’ dei Frati tenta di far coincidere attraverso la sua struttura architettonica e paesaggistica.

Entrando nel salone adibito alla degustazione, come una navata centrale di una chiesa, si richiede un tono di voce basso: la sensazione è reverenziale come in un luogo religioso. Il silenzio relegato ai luoghi di culto diventa qui una cifra stilistica in rispetto di chi sta degustando per permettere di concentrare tutti i sensi sul vino e sul bicchiere, ovvero sull’esperienza di fruizione.

Si tratta di un modo di esperire il vino avvolgente e totale in grado di far percepire sensazioni dall’interno della propria emotività attraverso i cinque sensi e dall’esterno, evocati attraverso l’ambiente ed il luogo.
Tale approccio viene ricreato già a partire dall’esterno della cantina almeno per due motivi: la facciata richiama le chiese del luogo risalenti ai primi anni del Cinquecento, con un porticato allungato in orizzontale che cura l’estetica esterna con un’alternanza di pieni e di vuoti; inoltre tutt’attorno all’azienda si estendono ettari di vigneti nuovi e antichi dove si coltiva il vitigno autoctono, il Turbiana, utilizzato per la realizzazione del Lugana DOC. Infine sullo sfondo un magnifico paesaggio gardesano dove si staglia il Monte Baldo con il suo cocuzzolo imbiancato.

L’arte è il vino

L’arte e il vino quindi restano due ambiti culturali estremamente interconnessi, non solo in tempi recenti, ma anche approfondendo nelle rispettive radici della loro storia. Spesso intrecciati e rincorsi a vicenda, si fatica a comprendere quale venga prima e da chi dipenda davvero l’altro. Alla fine infatti il vino si definisce come “un’arte pura”, se non altro in quell’aspetto che prevede una grande sensibilità da parte del vignaiolo nella realizzazione del suo prodotto finale, un prodotto che per quanto il processo di produzione sia standardizzato sarà sempre figlio di una sola mano e di una sola mente. L’arte è proprio questo: la capacità di realizzare qualcosa di già noto e conosciuto, ma in un modo che soltanto l’artista sa fare.

 

Per approfondire:

BIBLIOGRAFIA
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L. ANDREINI, Cantina Antinori. Cronistoria della costruzione di un nuovo paesaggio, Forma Edizioni, Firenze 2019.

ARChALP (Foglio semestrale dell’Istituto di Architettura Montana), Vini, paesaggi, architetture, n. 6, dicembre 2013.

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J.-M. BESSE, Paesaggio ambiente. Natura, territorio, percezione, Derive Approdi, Roma 2020.

G. BIETTI – L. MOLINARI, Cantine da collezione. Itinerari di architettura contemporanea nel paesaggio italiano, Forma Edizioni, Novara 2017.

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G. CONFORTI, Il simbolismo della villa tra sacro e mondano, in Villa Della Torre a Fumane di Valpolicella, Antiga Edizioni, Verona 2014.

G. CONFORTI, Villa Della Torre, in Centootto Ville della Valpolicella, Damolgraf, Verona 2016.

P. D’ANGELO a cura di, Estetica e paesaggio, Il Mulino, Bologna 2009.

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S. FERRI, Mimesis, in Enciclopedia dell’Arte Antica, Roma 1997, ad vocem.

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Dosaggio Zero versus Cuvèe dei Frati Brut

Ecco finalmente pronta per i vostri brindisi la nuova bollicina di Ca’ dei Frati! Uno spumante metodo classico dosaggio zero è la nostra novità del 2022, presentata nell’appena trascorso Vinitaly in anteprima a tutti i clienti.

Perlage finissimo e una brillante lucentezza sono le caratteristiche di questa nuovissima referenza. Continuamo quindi sull’onda (per restare in tema lago di Garda) del metodo classico, sfruttando l’esperienza maturata negli anni di altri due spumanti storici già noti al grande pubblico di nostri appassionati: il Cuvèe dei Frati Brut, nato nel 1985 per volontà del nostro fondatore Pietro Dal Cero e il Cuvèe Rosè, nato nel 2009.

Ma in cosa si differenziano il Cuvèe dei Frati Brut e il Cuvèe dei Frati Dosaggio Zero?
Si tratta di due vini che hanno in comune i vitigni con cui vengono realizzati: la Turbiana, il vitigno autoctono del nostro territorio del Lugana, e una piccola percentuale di Chardonnay per mantenere una spalla acida che normalmente si riscontra in questa tipologia di vini. La Turbiana inoltre offre grande sapidità e mineralità donando sensazioni di estrema freschezza che risultano davvero molto particolari in ambito di spumantistica.

Il metodo che utilizziamo per la produzione di queste due referenze è il medesimo per entrambe: si tratta di “metodo classico”, detto altrimenti anche “metodo Champenoise”, che, come si evince dal nome, è la stessa procedura con cui si ottiene lo Champagne. Ma tale nome vale solo per gli amici d’Oltralpe. In ogni caso questo sistema prevede una doppia fermentazione del vino e tra le due quella che ci interessa di più è proprio la seconda, che avviene in bottiglia.

La presa di spuma quindi crea delle bollicine molto fini e sottili che donano in bocca una piacevole sensazione chiacchierina. Questo processo inoltre prevede che tali vini sostino sui loro lieviti per un tempo variabile, generalmente abbastanza lungo, che permetterà al vino di sviluppare sentori e profumi strutturati e sempre più in grado di stupire l’assaggiatore.

L’abilità del produttore sta nel saper individuare il giusto tempo durante il quale lasciare il vino fermentato per la seconda volta a contatto con i lieviti, ottenendo così un buon equilibrio tra naso e palato.

Ma veniamo alle differenze tra i due vini in questione. Innanzitutto sono diversi per la quantità di zucchero che viene aggiunto nella liquer d’expedition, ovvero nel rabbocco che viene fatto alla bottiglia dopo la sboccatura (cioè in seguito all’eliminazione del lievito). Nel caso del Cuvèe dei Frati Brut si parla di una quantità di zucchero che varia dai 3 ai 10 grammi per litro: si tratta comunque di un vino secco, ideale come aperitivo, insalate e piatti con sughi delicati. Nel caso invece del Cuvèe Dosaggio Zero, come dice il nome, lo zucchero che presenta è pari al massimo a 3 grammi per litro, quindi quasi a zero.

Si tratta perciò di uno spumante estremamente secco, ideale anch’esso come aperitivo, ma decisamente apprezzabile se abbinato. Noi consigliamo formaggi poco stagionati perchè è in grado di ripulire molto bene il palato, carni bianche con intingoli leggeri o anche risotti eleganti e delicati. A titolo d’esempio, a Vinitaly l’abbinamento che abbiamo proposto è stato proprio con un risotto mantecato con questo vino e una leggerissima spolverata di Formaggella di Tremosine affumicata, tanto per restare con gli ingredienti sul nostro amato lago di Garda. Questa tuttavia non è l’unica differenza.

I due vini infatti si differenziano anche nel tempo che trascorrono rispettivamente sui loro lieviti fini. Il Cuvèe dei Frati Brut sosta per minimo 24 mesi, il Dosaggio Zero invece arriva fino a 36 mesi, sviluppando così nel tempo un perlage ulteriormente più fine ed una catenella più prolungata nel bicchiere. Restano in ogni caso due vini molto freschi e minerali perchè rappresentano due interpretazioni diverse del nostro vitigno autoctono Turbiana spumantizzato. In particolare il Dosaggio Zero sviluppa sentori molto fruttati e agrumati, ricordando al naso la zesta del limone, il pompelmo rosa e la buccia del mandarino, superando i classici profumi di crosta di pane e di fieno donati tipicamente dal lievito.

Clicca qui per conoscere i dati tecnici dei nostri spumanti:

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Il professor Attilio Scienza in Ca’ dei Frati

Finalmente, dopo la lunga parentesi della pandemia, sono ripartiti gli eventi e anche Ca’ dei Frati ha organizzato un palinsesto di conferenze a tema vino che, attraverso approfondimenti tematici grazie all’unione di vari ambiti e materie, punta a far sì che il mondo vitivinicolo sia raggiungibile da tutti e sempre più comprensibile e di interesse.

Venerdì 18 febbraio 2022 ha aperto il ciclo di conferenze dell’anno il professor Attilio Scienza, un nome ben noto alla viticoltura. Docente all’Università Statale di Milano, si è specializzato nel miglioramento della qualità dei vini grazie a studi inerenti alla vigna e ai portainnesto; un ulteriore settore di suo interesse è la riscoperta di vitigni antichi: infatti si è occupato della vigna di Leonardo Da Vinci a Milano – un caso davvero unico di viticoltura urbana in centro città – e anche in modo molto specifico del nostro amato Turbiana.

Durante la lezione magistrale del professore è emerso che un grande punto di forza del nostro territorio è sicuramente il suolo: partendo dal Quaternario, si è parlato dell’origine glaciale del lago di Garda che influenzò la composizione chimica dei suoli circostanti. Da questo punto di vista per il territorio del Lugana si parla di due zone differenti: la prima, più pianeggiante, è composta da argille limose ed è il cuore più antico della denominazione, estendendosi proprio tra Rovizza e Lugana. La seconda invece è tipica delle colline verso San Martino, Pozzolengo e Lonato del Garda. In questo caso i suoli risultano più sabbiosi.

La storia del Lugana affonda le sue radici al tempo dei Romani, quando la Silva Lucana – il fitto bosco che ricopriva le zone che oggi rientrano nel disciplinare di produzione – cominciò a subire un lento disboscamento fino al Quattrocento quando i monaci intensificarono lo sfruttamento lasciando vaste aree bonificate per i terreni viticoli.

Dalla metà del Cinquecento il Turbiana inizia ad intrecciare la sua storia con quella del Verdicchio, un vitigno assai affine, ma differente. Probabilmente potevano condividere un’origine veneta: erano vitigni utilizzati per ripopolare le campagne a seguito di devastazioni causate da epidemie di peste.

Anche ai primi anni del Novecento i due vitigni venivano ancora un po’ confusi: il Turbiana era chiamato anche Trebbiano di Verona, il verdicchio invece erano soprannominato Trebbiano verde. Il nuovo nome, quello con cui viene attualmente identificato il vitigno alla base del Lugana DOC, è Turbiana, non più Trebbiano di Lugana, a partire dal 2011, come si ritrova nel disciplinare. Grazie ad alcune più recenti analisi, il professor Scienza afferma che il dna del Turbiana condivide con il Trebbiano di Soave e con il Verdicchio il 97% delle bande.

Il termine di questo lungo ed interessante excursus sul Lugana si può riassumere nella frase – che condividiamo – dell’ultima slide di Scienza: “Produrre un grande vino partendo dalle radici”. Proprio per questa ragione al termine della serata è intervenuto Gianpaolo Giacobbo, esperto e comunicatore del vino, per guidare il pubblico in una degustazione pensata proprio in linea con quanto spiegato dal professore poco prima. Si è cercato di percepire la territorialità in due tipologie diverse di Lugana DOC: I Frati e Brolettino, entrambe annate 2020.

I Frati, più fresco e verticale, fa emergere al meglio la mineralità e la sapidità tipica della zona più antica del Lugana, quella della Silva Lucana. Il Brolettino invece è reso più morbido da un passaggio in botte di rovere francese nuovo e poco tostato per circa otto mesi di permanenza. Il vitigno per entrambe le referenze è il Turbiana al 100%.

E’ stata una serata ricca di curiosità e novità sul Lugana, la nostra DOC locale, che ha avuto anche il merito di essere stata la prima DOC lombarda a nascere con un disciplinare riconosciuto nel 1967, quando ancora il vino era un prodotto essenzialmente venduto sfuso.

Se vuoi seguire il video della diretta e ascoltare la lezione del professor Scienza, clicca qui.

 

 

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L’Amarone della Valpolicella: un vino che nasce a gennaio

Il periodo della vendemmia è ormai molto lontano: settembre, con le sue tinte verdi quasi gialle ci regala l’emozione della raccolta, delle api attratte dal dolce mosto nato dalla pigiatura, dei canti popolari sotto il sole e delle mani grinzose che regalano le ultime carezze ai grappoli. In gennaio pare un lontano ricordo ormai, ma l’Amarone è in grado di rievocare ancora le medesime emozioni con la sua pigiatura “in ritardo”.

A metà gennaio infatti la nostra attenzione è rivolta alla Valpolicella quando le uve tenute in fruttaio sono pronte per essere pigiate e otteniamo così un mosto dolcissimo e scuro, derivato dalla nota e celebre Corvina.

Ma andiamo con ordine e scopriamo un viaggio lungo e ricco di passione tra uomo e natura.

Le uve per la produzione dell’Amarone vengono raccolte verso la metà di ottobre, quando la maturazione è già avanzata. Si tratta infatti di uve rosse che necessitano di molto calore e di molta luce per maturare al meglio e la Valpolicella è una terra in grado di fornire tutto questo nel migliore dei modi. I vitigni che vengono coltivati per l’Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero sono la Corvina, uva principe dell’Amarone, il Corvinone, la Rondinella e la Croatina, tutte uve permesse dal disciplinare di produzione. Già con una spensierata passeggiata in vigna verso fine settembre si può gustare un’uva ricca di dolcezza, dal grappolo ricco, forte e compatto che allude alla forza che sarà in grado di donare dopo parecchi anni nel bicchiere. Queste uve inoltre nascono su un terreno molto particolare: la marna, una roccia sedimentaria che contiene una parte di argilla in grado di rinfrescare il calice e portare grande struttura al vino.

La vendemmia avviene verso la fine del periodo ad essa normalmente dedicato, quando le uve sono ormai ben mature dopo essere state baciate svariati giorni dai raggi del sole. E’ questo che le trasforma: da verdi maturano e crescono a vista d’occhio, sempre più timide, arrossiscono a tal punto da diventare di un rosso scuro, quasi nero. E’ solo allora che il vignaiolo inizia la sua raccolta svolta rigorosamente a mano.

Nel caso di Ca’ dei Frati, le uve vengono colte dalla pianta dalle amorevoli “balie dell’Amarone”: le mani calde e maestre di un gruppo di donne venete regalano gli ultimi abbracci a questi grappoli pronti a dare il meglio in cantina. Lo sguardo vigile femminile sceglie in vigna quali grappoli raccogliere: i più belli, i più formosi, i più maturi. Le uve poi non subiscono immediatamente il processo di pigiatura per estrarre il dolce nettare, ma vengono lasciate riposare per qualche mese in un grande ed accogliente fruttaio, da ottobre fino alla metà di gennaio.

In questo lungo sonno i grappoli si rilassano, perdono acqua e concentrano la loro parte zuccherina, si raggrinziscono, maturano col tempo e forse diventano un po’ più saggi, motivo per cui l’Amarone è un vino da meditazione. I venti della zona, provenienti dal parco boschivo della Lessinia, favoriscono questo processo di naturale disidratazione con il loro flusso, entrando ed uscendo dal fruttaio, dando il buongiorno e augurando buona notte alle nostre uve. Lo sguardo costante e attento dell’agronomo permette loro di abbassare le difese e di darsi totalmente a madre natura.

E poi arriva ogni anno sempre puntuale gennaio. Un mese freddo, il mese della ripresa delle attività dopo le feste, il mese in cui il produttore si ricorda di quei dolci grappoli scuri raccolti a ottobre, lasciati in Valpolicella a svolgere il loro corso. Il fruttaio è allora una gioielleria di piccoli zirconi scuri incastonati attorno ad un raspo magro che ha terminato da tempo la sua funzione. Inizia così la pigiatura di questa uva fragile e rara: durante il suo lungo sonno la parte zuccherina si è concentrata sempre di più, perdendo una grande percentuale di acqua contenuta originariamente nei turgidi acini. Una vera e propria disidratazione. Una volta ottenuto così il mosto questo viene trasformato in vino grazie all’azione dei lieviti che con il loro chiacchiericcio portano a fermentazione il nettare bacchico. La vera magia sta proprio in questa trasformazione: il mosto diventa vino e lo zucchero concentratosi nell’uva lasciata appassire viene svolto in alcool, donando struttura e consistenza al vino.

Ma non è finita qui la storia del nostro Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero DOCG. Per parlare al meglio di sé l’Amarone richiede ancora qualche anno di permanenza in cantina per imparare l’abc e diventare un vero adult0. Quindi si accinge ad intraprendere un viaggio formativo di almeno due anni, diciamo un bel Grand Tour, in legno francese, in ruvide barrique di rovere nuovo che restano in Valpolicella durante tutto il periodo. Infine il suo percorso termina in una nuova culla: la bottiglia, in vetro, resistente, scura e robusta per contenere amorevolmente negli anni il vino. E’ qui che sviluppa il suo vero carattere. Nel caso di Ca’ dei Frati, il vino viene lasciato in bottiglia per almeno tre anni o anche più: questo periodo di riposo smusserà i tannini astringenti della Corvina, regalerà ricche note al naso e al palato e una maggiore struttura: sarà una vera sorpresa stappare una di queste bottiglie!

I frutti del viaggio che l’Amarone compie dal grappolo al vino fino alla bottiglia è lungo ed impegnativo, a tratti tortuoso e spesso molto delicato. Sono bottiglie che chiedono un grande rispetto e che sanno donare e raccontarsi molto nel bicchiere: hanno una storia da narrare, un luogo, una terra, una passione, tutto nell’avvolgente e setosa carezza di un sorso di vino.

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Qualche abbinamento estivo ideale per agosto

In occasione dell’evento speciale tenutosi in cantina Ca’ dei Frati a Ferragosto che prevedeva una visita in cantina a tutta la filiera, completa di zona di pigiatura ancora chiusa al pubblico, e degustazione con alcuni finger food realizzati dallo chef e pasticcere Manuel Pedrali del bistrot La Fenice, abbiamo pensato ad alcuni abbinamenti ideali e perfetti per agosto con i nostri vini.

Cominciamo da una millefoglie in crosta di pane in cassetta con petto d’oca affumicato e aceto balsamico di Modena. Si tratta di un piatto con tendenza dolce data sia dal pane sia dalla carne, la quale è ricca di proteine e dona grassezza alla bocca. Per questo motivo abbiamo abbinato tale pietanza al nostro Cuvèe dei Frati, spumante a base di Turbiana, il nostro vitigno autoctono, ed un 10% di Chardonnay, sboccatura 2021. La bollicina fine ed elegante, nata da almeno ventiquattro mesi sui lieviti, ha la capacità di ripulire il palato. Al naso invece i sentori di fieno, lievito e fragranza ci rimandano alla millefoglie di pane del finger food. 

Proseguiamo poi con l’abbinamento principe, ovvero con il nostro Lugana I Frati 2020. Si tratta di un vino dalla spiccata acidità e mineralità che ricava dalla terra su cui si impiantano le vigne di Turbiana; una terra argillosa e sabbiosa, derivata dall’origine glaciale del lago di Garda. I nostri vigneti infatti nascono per un raggio di massimo venti chilometri attorno all’azienda, dunque sempre molto soggetti all’influenza del lago durante la loro crescita e maturazione. Ma torniamo al nostro abbinamento. Una tartelletta di salmone affumicato ed avocado è risultata perfetta con il nostro Lugana. Salmone e avocado sono cibi che hanno infatti entrambi una spiccata tendenza dolce e grassezza, che genera grande pastosità nella cavità orale. Non c’è niente di meglio per bilanciare queste parti di un vino dalla forte acidità e sapidità per creare un abbinamento perfetto per contrapposizione. 

Infine per chiudere la triade salata abbiamo abbinato il Pratto, il nostro blend di Turbiana, Chardonnay e Sauvignon Blanc, con due vitigni internazionali che hanno una resa nel bicchiere davvero particolare crescendo e maturando sul lago di Garda. 

L’abbinamento scelto è stato con una tartelletta al pepe nero con Culaccia leggermente stagionata e melone. Si tratta in questo caso di un frutto dolciastro, il melone, e l’affettato con tendenza dolce e grassezza. Si sono sposati perfettamente con le leggere note dolci del Pratto e con la sua freschezza e mineralità ricavata dal Turbiana. Il tocco un po’ speziato dato dal pepe nero è stato magnificamente bilanciato dalla persistenza aromatica intensa trovata nel bicchiere. I sentori tipici di questo vino sono quelli della frutta esotica e della frutta matura, congeniali all’abbinamento con il melone.

Concludendo la degustazione, ecco il passito Tre Filer, a base di uve appassite, con una concentrazione zuccherina molto accentuata. Si tratta di un vino che unisce le caratteristiche del nostro Turbiana, con lo Chardonnay ed il Sauvignon Blanc, tutte vendemmie tardive. Il nostro pasticcere Manuel ha creato appositamente una malaga di Tre Filer, un pasticcino dal delicato tetto di zucchero a velo realizzato a strati con cremoso al Tre Filer e uvetta cotta nello stesso vino. Un abbinamento molto gradevole, in questo caso rispettando l’analogia delle caratteristiche del cibo e del vino.

La ricerca dell’abbinamento perfetto permette di esaltare sia il vino nel calice sia gli ingredienti nel piatto, senza che uno prenda il sopravvento sull’altro. 

Finger food realizzati da Manuel Pedrali per la pasticceria e bistrot La Fenice sul lago di Garda, in via Verona 69/71 a Lugana di Sirmione.

 

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700 anni in ricordo di Dante Alighieri: 1321 – 2021

Teniamo molto alle nostre radici e alla nostra storia. Così abbiamo pensato di celebrare anche quella di tutti gli italiani. Ecco l’edizione speciale dei nostri vini per i settecento anni dalla morte di Dante Alighieri, padre della lingua italiana. Un progetto in collaborazione con Arte Poli, la Società Dante Alighieri e il Comune di Verona.

Il cofanetto che abbiamo realizzato in versione speciale contiene un Lugana I Frati, un Ronchedone e una Rosa dei Frati, ciascuno dedicato ad una cantica diversa.

Il disegno in etichetta (il profilo di Dante con lo sfondo dell’Arena di Verona) è stato realizzato da Albano Poli. Abbiamo deciso di modificare la nostra etichetta frontale mantenendo però ben riconoscibile il brand.

Il cofanetto è stato disponibile per l’acquisto privato, da collezione. Si presenta chiuso dal nostro sigillo di garanzia. All’interno una brochure spiega ciascun vino ed il progetto e riporta in copertina il numero dell’esemplare. Si tratta di un progetto a tiratura limitata dal numero 0 al 100, non ulteriormente riproducibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In occasione dei 700 anni della morte del Sommo Poeta, padre della lingua italiana, siamo stati fieri di essere scelti per questo progetto, per celebrare l’italianità storica e culturale del nostro paese.

In occasione della realizzazione della statua di Dante fatta a mano dall’artista Albano Poli inaugurata l’8 luglio 2021 e posta nel chiostro del duomo di Verona, sono nati alcuni progetti collaterali che come nel nostro caso vedono la partecipazione di realtà locali per la valorizzazione della storia e del territorio veronese.

La famiglia Dal Cero infatti ha origini venete: il bisnonno Felice proveniva dalla Valpolicella, proprio da quelle terre percorse da Dante nel suo cammino da esule.

Progetto Arte Poli inoltre per la nostra azienda ha realizzato tutte le vetrate artigianalmente, ma non solo! Si tratta di una fine maestranza veneta che lavora il ferro battuto, il legno e il vetro con antiche tecniche di produzione. Abbiamo scelto la loro abilità per coronare la nostra cantina e sostenere l’arte a chilometro zero.

 

 

 

 

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