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Murano e Lugana si incontrano

Luce di Vino: l’arte dei lampadari di Murano in Ca’ dei Frati

Nel cuore della nostra rinomata cantina vinicola, un’arte antica e raffinata ha trovato una nuova espressione. Il maestro vetraio di Murano, Fabio Fornasier, la cui vetreria di famiglia nasce più di cinquanta anni fa, con la sua straordinaria abilità e passione, ha creato dei lampadari che non solo illuminano gli ambienti, ma raccontano una storia di tradizione e innovazione, di terra e fuoco, di vino e vetro. La filosofia dietro queste creazioni artigianali è davvero unica: rivoluzionaria e tradizionale al contempo. Il vetro soffiato prende vita in movimenti dinamici, quasi spettinate da un vento leggero, proprio come un respiro perpetuo del maestro che vorrebbe continuare a plasmare le forme della sua creazione.

La magia di Murano

Murano, un’isola di Venezia, è famosa in tutto il mondo per la sua arte vetraria, una tradizione che risale a secoli fa. Gli artigiani di Murano, con le loro mani esperte, trasformano la sabbia in vetro, dando vita a opere d’arte che affascinano e incantano. Il maestro vetraio coinvolto in questo progetto, Fabio Fornasier, amico della famiglia Dal Cero, ha portato avanti questa nobile tradizione, infondendo ogni pezzo con un tocco di modernità e creatività. In Ca’ dei Frati sono ben quattro le opere che ha portato a termine in segno di profonda amicizia, dedicando i suoi magici lampadari ai vini più iconici dell’azienda.

Un’unione di arte e natura

Per questi lampadari, il maestro vetraio ha infatti scelto di ispirarsi ai colori dei vini prodotti dalla cantina. Ha studiato attentamente le sfumature del rosso rubino del Ronchedone, del bianco dorato del Lugana e del rosato delicato della Rosa dei Frati, cercando di catturare la loro essenza incastonandola nel vetro. Ogni pezzo è stato soffiato a mano, con infinita cura e precisione, per riflettere le tonalità e le trasparenze uniche dei vini e per far brillare la cantina attraverso il suo stesso prodotto.

La creazione dei lampadari

Il processo di creazione è stato un vero e proprio atto d’amore. Ogni lampadario è composto da decine di pezzi di vetro, ognuno dei quali è stato realizzato con meticolosa attenzione ai dettagli e anche il montaggio è stato fatto manualmente dalla famiglia Fornasier che da Venezia è giunta a Lugana per l’installazione. Il maestro vetraio ha utilizzato tecniche tradizionali di soffiatura del vetro, combinandole con innovative sperimentazioni di colore. Il risultato è stato l’ottenere lampadari che sembrano quasi vivi, con colori che mutano e scintillano alla luce, creando un’atmosfera magica e suggestiva, che aiuta l’immersione e la concentrazione sul vino.

Un ponte tra passato e futuro

Questi lampadari rappresentano molto più che semplici oggetti di design. Sono un ponte tra il passato glorioso dell’arte vetraria di Murano e il presente vibrante della viticoltura. Ogni lampadario racconta una storia di dedizione, di passione e di maestria. Guardandoli, si può quasi percepire l’eco del passato e il sussurro del futuro, uniti in un abbraccio luminoso. Ca’ dei Frati è da anni attenta all’ambito artistico, selezionando artisti e designer a chilometro zero tra Brescia, Verona e Venezia: tanti arredi e dettagli negli ambienti destinati al pubblico sono stati realizzati con tecniche manuali antiche.

Un’esperienza di luce e colore

Entrare in Ca’ dei Frati e vedere questi lampadari è un’esperienza unica. La luce che filtra attraverso il vetro colorato crea un gioco di riflessi e sfumature che avvolge lo spazio in una calda e accogliente luminosità: nel nostro negozio si deve portare lo sguardo in alto per ammirare le tre magiche opere di Murano; la quarta si trova sopra la zona delle casse, prima dell’uscita. Il colore e la luminosità sono così caratteristici che è come se il vino, con i suoi colori e le sue trasparenze, prendesse vita e si diffondesse nell’aria, raccontando storie di vigneti soleggiati e di mani sapienti che hanno lavorato con passione.

La dedica

Questi lampadari sono un omaggio alla tradizione e all’innovazione della nostra cantina, un ponte luminoso tra il passato glorioso dell’arte vetraria e il presente vibrante della viticoltura. Non si può che rimanere incantati dalla bellezza che nasce quando l’arte incontra la passione, creando una luce che parla di vino e di vetro, di terra e di fuoco. Fabio Fornasier dedica alla famiglia Dal Cero queste creazioni nate dalle sue mani a Murano, per celebrare l’amicizia all’insegna dei valori condivisi dell’artigianalità italiana.

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I colori del vino bianco

Un raggio di luce filtra nel bicchiere, il centro dell’osservazione: occhi attenti scrutano l’unghia del vino, che ruota nel calice, fino alla sua parte più colorata al centro del vortice. Poi si osservano i riflessi e il suo grado di brillantezza, la capacità di riemergere dalla luce, di restituire emozioni in colori. Sono sfumature e sottigliezze colorate ottenute da molteplici fattori: l’età del vino, il suo affinamento, la sua maturazione, ma anche il tipo di uva e la composizione chimica degli acini. Sono quattro le parole che determinano le emozioni percepite dagli occhi in primis, nel vedere roteare il vino in un calice:

  • Gli antociani, responsabili del colore rosso;
  • I flavoni, responsabili del colore giallo e delle sue variazioni al bianco;
  • I leucoantociani
  • Le catechine, che insieme ai precedenti donano le sfumature al vino.

Il colore inoltre è un indice non solo emozionale ed emotivo, ma anche di certezza: osservandolo infatti ci racconta molto della storia di un vino. Esprime il suo percorso, la sua vita, il suo riposo e la sua vitalità. E’ una sorta di indice di benessere che percepiamo con uno dei nostri sensi, in seguito al quale andremo a verificare con gli altri – il naso principalmente, – ascoltando il vino attraverso le sue emanazioni odorose.

In particolare il giallo del vino bianco subisce variazioni nel corso della nascita del prodotto, ma banalmente possiamo affermare che deriva da uve a bacca bianca che hanno subito una semplice spremitura, senza contatto (o nel caso si tratta di un contatto molto veloce a bassa temperatura) con le bucce, diversamente dal vino rosso che richiede un contatto macerativo più prolungato proprio per l’estrazione delle particelle coloranti.

Tale veloce contatto con le bucce non permette quindi il rilascio di colore (e di tannini, che risulterebbero fastidiosi nel vino bianco); inoltre le basse temperature a cui si svolge questo passaggio permettono di ottenere nel mosto sentori primari fini e raffinati – principalmente di frutta e di fiori – che contraddistinguono generalmente i vini bianchi. In caso contrario, qualora si faccia macerazione anche con uve a bacca bianca, si può parlare di vini macerati, come gli “orange wine”, carichi di colore fino a tonalità aranciate, che possono anche contemplare durante la produzione il principio dell’ossidazione.

Esistono infatti numerosi colori che possiamo associare a un vino bianco: tante sfumature, da palette più tenui a tonalità più cariche. Ciascuna di esse ha qualcosa da raccontarci, ma ci serve qualche parametro per poter interpretare correttamente questo codice enologico.

La valutazione cromatica del sommelier, detta anche sensazione cromatica (perchè percepita con l’organo della vista che varia in ogni caso in base alla fisiologia dell’osservante), contempla tre elementi: il primo è il colore puro, ovvero la lunghezza d’onda di colore dominante, cioè lo spettro di colore. Nei vini bianchi esso si divide in: giallo verdolino, giallo paglierino, giallo dorato e giallo ambrato in ordine di intensità. Segue poi la saturazione cioè l’intensità cromatica, a seconda che il vino sia più o meno “scarico” di colore. Infine la luminosità che non è altro che la vivacità cromatica.

I vini di Ca’ dei Frati, nella loro freschezza e mineralità, osservano per lo più i primi stadi del colore giallo, ovvero verdolino e ancor più adatto il paglierino, se ci riferiamo in particolare al Lugana I Frati Doc e al Brolettino, che grazie al passaggio in barrique di rovere francese nuovo, acquista qualche nota più carica. Naturalmente se ci riferiamo alle stesse etichette, ma nella versione Privilegio di Famiglia, con cinque anni di affinamento in bottiglia, si noterà che il colore giallo paglierino negli anni raggiunge sempre più lucicanze dorate, che accompagnano una virata dei sentori verso il tema del balsamico. Il Pratto invece, trattandosi di una vendemmia tardiva, si situa tra il giallo paglierino e il giallo dorato, soprattutto se tenuto qualche mese in più in affinamento. Allo stesso modo il Tre Filer, il passito da uve Turbiana, Chardonnay e Sauvignon Blanc – blend uguale al Pratto – si propone già con una veste più luminosa e carica di un giallo dorato, riverberato dalla dolce viscosità propria di questo nettare.

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Il brindisi perfetto tra storia e Lugana

Il vino, antica elisir dell’umanità, ha da sempre celebrato la convivialità, intessendo una trama di tradizioni che si snodano nel corso dei secoli, attraverso l’arte del brindisi. Questa pratica, radicata fin dall’antichità, trova ancor oggi una piacevole pratica in alcuni momenti dell’anno, come a Capodanno, condividendo con amici e parenti le eccellenze vinicole come quelle proposte dalla nostra cantina Ca’ dei Frati, custode della tradizione del Lugana DOC.

Il nome “brindisi” pare derivi dal tedesco “bring dir’s”, ovvero “porto a te” (probabilmente si intende “il saluto”). C’è poi la consuetudine di unire al gesto anche alcune parole come “salute”/“viva” nel caso di una celebrazione. Per i più curiosi inoltre indichiamo anche la tradizione di versare un po’ di vino del proprio bicchiere in quello del commensale accanto e via di seguito, poiché si voleva accertarsi che non vi fosse del veleno.

Curioso è anche il riferimento al “Cin Cin” che si pronuncia proprio mentre si fanno tintinnare i calici: deriva dal cinese “ch’ing ch’ing” che significa “prego, prego”, modo usato dai marinai inglesi insidiatisi a Canton per sostenere scambi commerciali con la Cina. Dal latino invece deriva “Prosit”, forse meno conosciuto. E’ la terza persona singolare del congiuntivo presente del verbo “prosum” cioè “io sono favorevole, giovo”. Il Galateo in questo gesto ci indica di brindare sollevando poco il bicchiere e non bisognerebbe in questo momento far toccare i bicchieri tra loro, guardando soltanto i commensali, senza pronunciare parola alcuna. In Corea invece il bicchiere più alto deve essere del membro più anziano del gruppo radunato attorno al tavolo: paese che vai, usanza che trovi!

Nel corso dei secoli, il brindisi ha assunto molteplici forme e significati diversi per geografia e temporalità, intrecciandosi inevitabilmente con le vicende storiche e culturali – ne sono un esempio gli utilizzi che vedevano il vino come protagonista durante la guerra in trincea, o nella storia dei vini fortificati come il Porto o il Marsala, capace anche di unire luoghi lontani, o ancora nei vini apprezzati nelle corti di tutta Europa. Esplorando questo rito millenario, si scoprono storie, rituali e peculiarità particolarmente curiosi, incastonati nel tessuto stesso della nostra umanità.

Il Seicento fu testimone dell’irradiazione del brindisi connesso con la celebrazione poetica, un’arte divenuta manifestazione di bellezza e sentimento espressa tramite il mezzo della poesia. Autori come poeti e scrittori contribuirono a nobilitare questo rituale millenario, come già seppero fare dagli albori della civiltà gli antichi greci per celebrare i loro famosi simposi. Ricordiamo che è proprio tra Seicento e Settecento che abbiamo anche le prime citazioni ufficiali del Lugana come Trebbiano delle nostre zone.

Nell’antica Grecia infatti, mentre la vita si svolgeva tra momenti di cibo e momenti di libagioni, il brindisi dettava il ritmo dei convivi. Un “simposiarca”, figura di grande rilievo nella comunità degli invitati alla cerimonia e alla festa, non solo curava le bevande, ma declamava eloquenti discorsi durante il brindisi, onorando sia gli ospiti sia dichiarando poesie di tipo amoroso.

La storia romana invece celebrava prodezze amorose e anche militari nei brindisi, un’usanza consolidata che trovava spesso la sua occasione di esaltazione nella produzione di vini pregiati, come riportato in diversi testi latini che indicano talora anche i nomi dei vini preferiti dalle persone di alto lignaggio.

E mentre ogni cultura cela la sua specifica ritualità, la cantina Ca’ dei Frati continua a preservare e celebrare la tradizione del brindisi, offrendo vini spumanti e fermi – esaltando nella linea vinicola il Lugana DOC – che portano con sé la nobiltà di un’antica pratica, incastonata nella modernità delle tavole contemporanee.

Il brindisi, antica usanza, continua a fluire tra le generazioni, intessendo legami tra il passato e il presente. In questo rituale intramontabile, si riconosce la perseveranza e l’eleganza delle tradizioni enologiche, come quelle che cerchiamo di custodire con passione attraverso le generazioni della famiglia Dal Cero. Un sorso di vino Lugana DOC, frutto di secolari sapienze, è un omaggio all’umanità e al suo inestimabile patrimonio conviviale e non ce lo faremo mancare neanche per questo Capodanno imminente!

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Il Brolettino con il dono della longevità

Sapevi che uno dei nostri vini bianchi più conosciuti, il Brolettino, 100% Turbiana di Lugana, è uno dei nostri vini più longevi? Lo abbiamo scoperto anche noi venerdì 15 settembre quando Ca’ dei Frati è stata ospite della delegazione di AIS a Brescia per presentare una verticale (fino al 1995!) di uno dei suoi vini più rappresentativi e famosi: proprio il Brolettino.

Dopo i saluti da parte del delegato Alessandro Caccia, Maria Chiara Dal Cero, responsabile della comunicazione e degli eventi della cantina, ha presentato ai partecipanti Ca’ dei Frati, la sua nascita e la sua storia e, in particolare, il suo radicamento nel territorio del basso Garda Bresciano. Particolare interesse ha suscitato l’origine del nome della cantina che, del resto, può essere plasticamente compreso visitando la parte antica della sede aziendale che tradisce la sua origine di monastero maschile.

Alcune note produttive del Brolettino hanno anticipato la successiva fase di degustazione. Si è delineata la cifra stilistica dello storico prodotto, fortemente voluta dalla famiglia Dal Cero: privilegiare, innanzitutto, l’apporto aromatico della Turbiana, lavorando in fase di cantina sui sentori primari, punto di arrivo di qualsiasi produttore che voglia fare vino come espressione del terroir, sostenere, grazie alla acidità varietale, una delle caratteristiche più famose ovvero il grande potenziale evolutivo, preservare la nota sapida e, non da ultimo, calibrare il fondamentale apporto della barrique nella maturazione in modo da migliorare quanto di buono fatto in vigneto.

La discussione sui tappi Nomacorc, in particolare la linea Green utilizzata per il Brolettino, che si è di seguito sviluppata, ha mostrato non solo la scontata curiosità che proviene da persone preparate quali gli associati di AIS Brescia, ma anche la vincente scelta aziendale che si traduce in altissima prestazione della chiusura nel tempo e, di conseguenza, in effettivo piacere sensoriale nel degustare le vecchie annate.

Finalmente poi i bicchieri sono stati riempiti e la degustazione della verticale è cominciata. Artur Vaso, relatore AIS e campione in vari concorsi, ha quindi presentato, dalla più giovane alla più vecchia, le 7 annate di Brolettino. Eccole di seguito una per una, con alcune note:

2021. Paglierino con luminosa nuance verdolina. Fiore di sambuco, cedro, menta fresca disegnano l’impronta di fragrante gioventù. In bocca l’ingresso è di spessore mentre il finale è affilato, conducendo ad una beva lunga e rinfrescante, supportata da ritorni di mela verde. Il classico Brolettino così come lo conosciamo oggi.

2019. Paglierino con saturazione maggiore del precedente, ma sempre cristallino. Autentico biscotto al limone, quasi piccante per la sferzata acido-sapida che lo rendono dissetante nonostante la struttura importante. Durante la degustazione si collega l’esattezza gustativa di questa annata con la produzione totalmente svolta in atmosfera inerte.

2017. Nonostante due anni in più del precedente, appare maggiormente contornato di riflessi verdolini, indice di sorprendente gioventù visiva. Cambia invece l’impianto gusto olfattivo orientato al fruttato maturo (pesca e melone giallo) reso raffinato grazie agli sbuffi di camomilla e soprattutto (non sorprendente, per chi conosce il Lugana di media maturità) lo zafferano. Bocca calda, vellutata e nervosa allo stesso tempo ad eseguire un quadro di perfetto equilibrio. L’annata 2017 fa parte della nuova linea “Privilegio di Famiglia” in cui Lugana I Frati e Lugana Brolettino vengono messi nuovamente sul mercato, ma con cinque anni sulle spalle.

2009. Si comincia a intravedere la tonalità più decisa di giallo, qui oro antico. Odori golosi di biscotto, ale belga (malto d’orzo), nocciola tostata, caramello mou. Denso e morbido, chiude con chiari aromi di zabaione. Da qui in poi il tappo era ancora di sughero.

2006. L’annata che ha conquistato la maggior parte dei partecipanti. Sicuramente un Brolettino di eccezionale levatura. Splende di oro intenso. Miele di acacia, castagna dolce, zafferano. Sontuosa la parte tattile e saporifera. Persistenza lunga e raffinata con note che si contrastano piacevolmente tra frutta macerata e torrone.

2001. Veste dorata integra. Frutta stramatura, vaniglia, burro e spezia dolce. Spiccata acidità all’inizio bocca ma ha un ottimo finale grazie alla lunghezza con leggera, ma intrigante nota di polvere da sparo.

1995. Nonostante i 28 anni è preservata la brillantezza dorata della vista. L’impronta di evoluzione è netta: frutta stramatura, caramella al whisky, croccante di mandorla, noce moscata. Chiude sapido e con aromi mielati. Incredibile la nota ancora sapida e acida che lo caratterizza: il Lugana non si smentisce nel tempo!

La bella serata si è conclusa infine con una chicca: una fetta di pane accompagnato, in anteprima, dall’olio extravergine di oliva di Ca’ dei Frati, un multi-cultivar denocciolato nato sul Garda con una linea di produzione totalmente inertizzata, proprio come per il vino. La nota di carciofo, la piccantezza ben percepibile e la sua tipica acidità lo rendono un olio degno di coronare i migliori piatti della cucina bresciana.

 

Riccardo Contessa

Sommelier AIS e maestro assaggiatore ONAF

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