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Formaggi dal mondo e vini: note per un pairing perfetto

Formaggi e vini: quale abbinamento più goloso ed enogastronomicamente perfetto? Dopo la serata avvenuta a settembre in cui ci siamo focalizzati sull’abbinamento tra formaggi e vini in cantina con una serie di numerosi assaggi, traiamo qui le somme e vi proponiamo alcuni abbinamenti gustosi e geniali con i nostri vini.

Innanzitutto c’è da distinguere due tipologie di abbinamenti: quelli per assonanza, in cui il grasso del formaggio si sposa alla dolcezza e alle morbidezze del vino, e quelli per dissonanza, dove un formaggio più amaro, ad esempio, viene smussato dall’alcolicità del vino. Nel primo caso le due referenze abbinate vanno “d’amore e d’accordo”, nel secondo caso invece si bilanciano, sono tra loro complementari. In linea di massima infatti è necessario che i due protagonisti dell’abbinamento non si sovrastino a vicenda: nessuno deve uscire totalmente vincitore al palato. Quando il pairing risulta perfetto lo si percepisce perchè tocca e fa esplodere le emozioni giuste, facendo emergere entrambe le espressioni alimentari.

Durante la degustazione del formaggio inoltre si usano le mani: il formaggio va spezzato e osservato: come sono le sue occhiature? Come è il suo colore? Ma soprattutto si analizza il sottocrosta, il cui colore è forse ancora più importante della crosta stessa. Per questa ragione quando si abbina il formaggio al vino si forniscono pezzi di formaggio sempre muniti di crosta. Il formaggio poi si annusa per qualche istante, poi lo si porta alla bocca (tralasciando la crosta, ma non sempre! Dipende dalla tipologia di formaggio) e solo a questo punto, si beve un sorso di vino per provarne l’abbinamento. Si consiglia inoltre di fare una breve analisi sensoriale del vino in precedenza, osservando colore, persistenza e bouquet al naso e infine caratteristiche al palato e resto-olfattive dopo aver deglutito.

Di seguito quindi potrai prendere spunto per le prossime tue cene famigliari e in compagnia di amici per esaltare al meglio il prodotto morbido e gustoso del latte abbinato al nostro nettare bacchico.

COMTE’ AOP

Consigliato con l’Amarone della Valpolicella DOCG Pietro Dal Cero. Si tratta di un formaggio proveniente dalla Francia, con oltre 24 mesi di stagionatura. Sebbene con l’Amarone il tipico abbinamento sia con il Monteveronese stravecchio di malga, in questo caso ci lanciamo in un abbinamento davvero originale e saporito. 

Di questo formaggio se ne producono forme piuttosto grosse e lo si può trovare in tante e diverse stagionature perchè va abbinato a cibi diversi di solito appartenenti alla tradizione francese. Proprio per questa ragione il sottococrosta ha tante e diverse sfumature, al tatto pare perfino seta: questo è proprio il suo valore, la sua caratteristica. In bocca ha un finale molto vegetale, quasi ricorda il minestrone o la vellutata di verdure, ma anche il porcino e il caramello. Ed è proprio con queste particolari note che si può avvicinare senza troppa timidezza ad un Amarone anche un po’ maturo, come il nostro 2011. Il loro abbraccio infatti fa percepire sensazioni fumè, in seguito speziate, anche che guardano all’oriente, e anche una leggera percezione di zenzero. 

OTTO PETALI

Consigliato con il nostro Brolettino per la pienezza e la rotondità, la persistenza e il bouquet intenso che presenta il formaggio. Il suo tipico sentore è quello della mela che risalta in questo abbinamento: il Brolettino infatti, trattandosi di un 100% Turbiana, ha tra i suoi sentori più caratteristici quello della mela appena tagliata, fragrante. La forte intensità aromatica tra i due elementi permette loro di equilibrarsi alla perfezione.

L’Otto Petali che abbiamo scelto viene dal caseificio Koch da Gonten, Appenzeller, in Svizzera, che è una zona tipica di formaggi amari e dalle grosse dimensioni. Ha alle spalle almeno 40-50 giorni di stagionatura poi la forma viene immersa in ben otto tipi diversi di fiori e corolle: il formaggio e i petali restano così sigillati insieme per almeno 2 o 3 mesi. Sulla crosta del nostro formaggio alla fine si trovano proprio i medesimi petali di fiori perchè durante la sua realizzazione viene posto in contenitori con adatti a contenere poco ossigeno, il formaggio quindi si allarga e assorbe l’olio essenziale rilasciato dai fiori durante questo lungo periodo. La forma viene poi asciugata e messa in vendita. I petali depositatisi sulla crosta donano al naso sentori di fiori, spezie, anche di sesamo, inoltre tipiche sensazioni vegetali e di glutammato (più noto come umami).

CRABEI 

Consigliato con La Rosa dei Frati per la sua grande sapidità, salinità e tanta frutta rossa. In questo caso si tratta di un abbinamento complementare di aromi che stanno bene insieme, arricchendosi vicendevolmente. 

Il Crabei che abbiamo scelto proviene dal caseificio Picciau, in Sardegna, nella zona di Cagliari dove usano il latte di pecore e capre per fonderne poi insieme il latte. È stato nel 2012 perfino il miglior formaggio al mondo: se ti capita di trovarlo quindi vale assolutamente una degustazione! Per realizzare questo formaggio si utilizza il latte delle tipiche pecore sarde, caratterizzate da un pelo molto lungo. Tuttavia la regola vuole che durante l’inverno il Crabei sia realizzato con il solo latte di pecora, durante l’estate invece vada aggiunto un 15% di latte di capra, il cui tipico sentore è quello di yogurt. Il latte di pecora, in particolare, ha tanti grassi concentrati, ed è sotto solo alla bufala, regalando così un colore particolare al latte e al formaggio.

Il Crabei è considerato un formaggio speziato: si sente molto bene all’assaggio il pepe nero e il mirto. Con un calice di Rosa dei Frati andiamo ad infittire queste percezioni di frutti di bosco e sottobosco in un’unione perfetta.

PECORINO FRESCO

Consigliato con il Lugana I Frati perchè si abbinano e si mettono a confronto due prodotti iconici di due territori autentici. Inoltre si tratta di un abbinamento “rispettoso” nel nostro caso, perchè esalta di più il vino Lugana che è tipico delle nostre zone, sostenendolo in struttura e limando la perfezione dell’alcool.

Il pecorino fresco che abbiamo scelto arriva dalla società agricola Cau & Spada da Sassocorvaro Auditore (PU) nelle Marche, un luogo che dal 1970 ha pascoli davvero molto importanti e riconosciuti. Dal formaggio, grazie a questa specifica territoriale, emergono sia dolcezza sia una percezione molto floreale perchè il territorio dei pascoli è ricco di fiori e piccoli frutti. E’ incredibile come già al naso si possa percepire il profumo del campo e delle campagne da dove proviene. Entra timido e si fa largo piano in bocca: questa caratteristica si sposta in modo eccellente con le note sapide e fresche del Turbiana. Tipica del formaggio è inoltre la dolcezza, cui segue una marcata sapidità, che poi esplode in una percezione di miele millefiori e miele di ailanto, banana e agrumi esotici, cui fanno da controparte le note fruttate e floreale di mela verde, pera e gelsomino del Lugana I Frati.

BARON BIGOD

Con questo formaggio consigliamo il Pratto perchè ha un equilibrio perfetto grazie alla sua frutta esotica e matura derivata da una vendemmia tardiva di Turbiana, unitamente al blend di Chardonnay e Sauvignon Blanc.

Più che un di formaggio in questo caso dobbiamo parlare di crema. Il nome è fuorviante: ha un nome francese, ma la sua provenienza è inglese. Quello che abbiamo scelto è di Wales & Central Scotland dalla Fen Farm Dairy, a Bungay, Suffolk nel Regno Unito. Le vacche con cui è prodotto sono francesi e producono davvero poco latte, ma ricco di grassi che quasi può essere paragonato a una crema Chantilly di pasticceria, non solo per la sua cremosi, ma anche per il colore giallo molto intenso.

È proprio una carezza per il palato, pur con una leggerissima nota amaricante. I sentori tipici sono quelli che riguardano la sfera dell’erbaceo e dell’agrumato (soprattutto si sente la scorza di arancia) che vengono bilanciati dalla percezione di frutta esotica matura del Pratto.

CLACBITOU 

Consigliato con il Cuvèe Rosè dei Frati perchè la spezia del Groppello si sposa perfettamente alle note dolci di questo formaggio.

In questo abbinamento andiamo a avvalorare il contrasto tra l’acidità tipica del Metodo Classico e delle sottili bollicine del vino e la dolcezza proveniente da questo formaggio. Il Clacbitou La Racotière viene da Genelard, in Borgogna. E’ un formaggio talmente locale che perfino il suo nome è una parola dialettale del luogo, quasi a farsi marca distintiva. Di norma ha circa 30 giorni di stagionatura nei quali sviluppa un aroma tipico: il ribes rosso e piccoli frutti rossi sono caratteristici del suo bouquet al naso.

In questo caso in fase di produzione viene aggiunta della panna all’impasto del formaggio per dare più cremosità. Sono formaggi di forma piccola con una muffa bianca molto burrosa sulla crosta, anche questa caratteristica del luogo. Si aggiunga anche un’altro parametro tipico di questo formaggio: è la proteolisi del sottocrosta, ovvero molecole più piccole che compongono il formaggio, si uniscono tra loro dando forma a consistenze incredibilmente cremose.

In questo abbinamento la bollicina fine e sottile dello Spumante è in grado di ripulire il palato dopo l’esperienza della cremosità e morbidezza del formaggio, in un connubio perfetto e funzionale.

CACIOTTA CAMMARATA

La Caciotta di Luca Cammarata trova perfette condizioni in abbinamento al nostro Cuvèe dei Frati Spumante Metodo Classico.

Si tratta di un formaggio che proviene da San Cataldo, dal centro della Sicilia dove si incontrano zone aride e povere, in cui la pastorizia è ancora molto attiva e è rimasta integra da tempi immemori. Le capre, che vengono fatte pascolare e da cui si ricava il latte per questa eccellenza, sono di razza maltese, con le tipiche orecchie nere lunghe e basse. Il latte che regalano è dolcissimo, molto grasso e risente moltissimo dell’alimentazione dell’animale. Il formaggio quindi avrà note acidule, lattiche, vegetali (come il sentore di fieno) e anche di brodo leggero. Il Cuvèe dei Frati è in grado di ripulire il palato dal grasso di questo formaggio apportando però sentori molto affini quali quello del fieno, del lievitato, di biscotto e di pane.

ROBIOLA DI CAPRA

L’abbinamento che consigliamo è con il Cuvèe dei Frati Dosaggio Zero, perchè con la sua bollicina setosa crea una percezione cremosa al palato molto piacevole durante la degustazione. La Robiola che abbiamo selezionato è prodotta dal latte delle capre girgentane la cui caratteristica è quella di produrre pochissimo latte. L’azienda di cui abbiamo apprezzato l’eccellenza è l’Azienda Agricola Montalbo, situata ad Agrigento.

I sentori che emergono prepotentemente da questo abbinamento in perfetto equilibrio sono: agrumi (tipici di Sicilia), le noci e la frutta secca in generale, con note anche di frutta tostata.

GRANA PADANO

Non poteva mancare nella nostra selezione, abbinato divinamente al nostro Ronchedone.

Per provare questo semplice ma incredibile abbinamento consigliamo di fare delle scaglie di formaggio piuttosto sottili così da lasciare che si sciolga facilmente sulla lingua mentre beviamo un sorso di Ronchedone e ne testiamo la finezza. Il formaggio che abbiamo scelto ha trentasei mesi di stagionatura, Grana Padano Biologico solo fieno da San Pietro, a Brescia. Alla vista è marmoreo a causa degli amminoacidi che creano dei piccoli pois, segno che il latte è di altissima qualità. Le vacche da cui si ricava sono soprattutto le classiche pezzate rosse e anche qualche bruna alpina (la cosiddetta “regina del latte”) con le frisone.

E’ un formaggio molto secco, già nella percezione che se ne ha nelle mani. Il vino però ha una grande morbidezza, un corpo ben strutturato e un intensità elevata ed è quindi capace di apportare quando manca al formaggio. Dal punto di vista aromatico il Marzemino ci porta alla memoria note di piccoli frutti rossi, con una parte minerale caratteristica delle zone del basso lago. Il Sangiovese invece porta tannino e il Cabernet un’elegante sensazione erbacea. Tutti e tre questi vitigni sanno legarsi perfettamente al Grana Padano che, proprio grazie alla sua avanzata stagionatura, richiede vini strutturati cui essere abbinato.

GRUYERE ALPAGE VOUNETZ RESERVE 2019

L’abbinamento che questo formaggio richiede è con il nostro passito Tre Filer, dove la sapidità del Turbiana e la dolcezza dell’uva surmatura si trovano in un perfetto connubio con questo formaggio svizzero.

Il Tre Filer infatti è un vino passito intenso, ma con una dolcezza molto delicata e assolutamente non stucchevole che rimanda sensazioni di frutta esotica, anche ben matura, in particolare albicocca, mango e banana. Il formaggio, dal canto suo, ha le note caratteristiche al naso di rosa, ananas, agrumi ed erbe aromatiche, contribuendo a quanto già percepito nel vino.

Si tratta di un formaggio compatto e gessoso, molto grasso. E’ da qui che emergono sentori di frutta esotica, soprattutto dopo qualche anno di stagionatura.

Speriamo di averti fatto incuriosire con questi abbinamenti speciali e di averti fatto scoprire nuove eccellenze italiane e non che ben si sposano con le nostre referenze.

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L’Amarone della Valpolicella: un vino che nasce a gennaio

Il periodo della vendemmia è ormai molto lontano: settembre, con le sue tinte verdi quasi gialle ci regala l’emozione della raccolta, delle api attratte dal dolce mosto nato dalla pigiatura, dei canti popolari sotto il sole e delle mani grinzose che regalano le ultime carezze ai grappoli. In gennaio pare un lontano ricordo ormai, ma l’Amarone è in grado di rievocare ancora le medesime emozioni con la sua pigiatura “in ritardo”.

A metà gennaio infatti la nostra attenzione è rivolta alla Valpolicella quando le uve tenute in fruttaio sono pronte per essere pigiate e otteniamo così un mosto dolcissimo e scuro, derivato dalla nota e celebre Corvina.

Ma andiamo con ordine e scopriamo un viaggio lungo e ricco di passione tra uomo e natura.

Le uve per la produzione dell’Amarone vengono raccolte verso la metà di ottobre, quando la maturazione è già avanzata. Si tratta infatti di uve rosse che necessitano di molto calore e di molta luce per maturare al meglio e la Valpolicella è una terra in grado di fornire tutto questo nel migliore dei modi. I vitigni che vengono coltivati per l’Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero sono la Corvina, uva principe dell’Amarone, il Corvinone, la Rondinella e la Croatina, tutte uve permesse dal disciplinare di produzione. Già con una spensierata passeggiata in vigna verso fine settembre si può gustare un’uva ricca di dolcezza, dal grappolo ricco, forte e compatto che allude alla forza che sarà in grado di donare dopo parecchi anni nel bicchiere. Queste uve inoltre nascono su un terreno molto particolare: la marna, una roccia sedimentaria che contiene una parte di argilla in grado di rinfrescare il calice e portare grande struttura al vino.

La vendemmia avviene verso la fine del periodo ad essa normalmente dedicato, quando le uve sono ormai ben mature dopo essere state baciate svariati giorni dai raggi del sole. E’ questo che le trasforma: da verdi maturano e crescono a vista d’occhio, sempre più timide, arrossiscono a tal punto da diventare di un rosso scuro, quasi nero. E’ solo allora che il vignaiolo inizia la sua raccolta svolta rigorosamente a mano.

Nel caso di Ca’ dei Frati, le uve vengono colte dalla pianta dalle amorevoli “balie dell’Amarone”: le mani calde e maestre di un gruppo di donne venete regalano gli ultimi abbracci a questi grappoli pronti a dare il meglio in cantina. Lo sguardo vigile femminile sceglie in vigna quali grappoli raccogliere: i più belli, i più formosi, i più maturi. Le uve poi non subiscono immediatamente il processo di pigiatura per estrarre il dolce nettare, ma vengono lasciate riposare per qualche mese in un grande ed accogliente fruttaio, da ottobre fino alla metà di gennaio.

In questo lungo sonno i grappoli si rilassano, perdono acqua e concentrano la loro parte zuccherina, si raggrinziscono, maturano col tempo e forse diventano un po’ più saggi, motivo per cui l’Amarone è un vino da meditazione. I venti della zona, provenienti dal parco boschivo della Lessinia, favoriscono questo processo di naturale disidratazione con il loro flusso, entrando ed uscendo dal fruttaio, dando il buongiorno e augurando buona notte alle nostre uve. Lo sguardo costante e attento dell’agronomo permette loro di abbassare le difese e di darsi totalmente a madre natura.

E poi arriva ogni anno sempre puntuale gennaio. Un mese freddo, il mese della ripresa delle attività dopo le feste, il mese in cui il produttore si ricorda di quei dolci grappoli scuri raccolti a ottobre, lasciati in Valpolicella a svolgere il loro corso. Il fruttaio è allora una gioielleria di piccoli zirconi scuri incastonati attorno ad un raspo magro che ha terminato da tempo la sua funzione. Inizia così la pigiatura di questa uva fragile e rara: durante il suo lungo sonno la parte zuccherina si è concentrata sempre di più, perdendo una grande percentuale di acqua contenuta originariamente nei turgidi acini. Una vera e propria disidratazione. Una volta ottenuto così il mosto questo viene trasformato in vino grazie all’azione dei lieviti che con il loro chiacchiericcio portano a fermentazione il nettare bacchico. La vera magia sta proprio in questa trasformazione: il mosto diventa vino e lo zucchero concentratosi nell’uva lasciata appassire viene svolto in alcool, donando struttura e consistenza al vino.

Ma non è finita qui la storia del nostro Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero DOCG. Per parlare al meglio di sé l’Amarone richiede ancora qualche anno di permanenza in cantina per imparare l’abc e diventare un vero adult0. Quindi si accinge ad intraprendere un viaggio formativo di almeno due anni, diciamo un bel Grand Tour, in legno francese, in ruvide barrique di rovere nuovo che restano in Valpolicella durante tutto il periodo. Infine il suo percorso termina in una nuova culla: la bottiglia, in vetro, resistente, scura e robusta per contenere amorevolmente negli anni il vino. E’ qui che sviluppa il suo vero carattere. Nel caso di Ca’ dei Frati, il vino viene lasciato in bottiglia per almeno tre anni o anche più: questo periodo di riposo smusserà i tannini astringenti della Corvina, regalerà ricche note al naso e al palato e una maggiore struttura: sarà una vera sorpresa stappare una di queste bottiglie!

I frutti del viaggio che l’Amarone compie dal grappolo al vino fino alla bottiglia è lungo ed impegnativo, a tratti tortuoso e spesso molto delicato. Sono bottiglie che chiedono un grande rispetto e che sanno donare e raccontarsi molto nel bicchiere: hanno una storia da narrare, un luogo, una terra, una passione, tutto nell’avvolgente e setosa carezza di un sorso di vino.

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