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La DOC Lugana: il vino del Garda meridionale

Un tuffo nel passato con un po’ di immaginazione

Siamo nel 1967 a Lugana, una zona di campagna contadina, con molte meno case di quelle che si possono vedere oggi. Pochissime automobili, piuttosto carriole per trasportare alimenti, viveri, acqua e qualche damigiana di vino.
Ad un chilometro in linea d’aria dalle coste del lago di Garda si trova una piccola azienda con non più di 5 ettari di campagna attorno, animali da cortile e un grande fienile accanto ad una vecchia casa colonica. Si produce anche vino, un vino bianco contadino, agreste e forse poco raffinato, ma già allora aveva del potenziale.
Era la colazione, l’aperitivo, il pranzo e la cena delle famiglie del luogo che abitavano in Lugana.

Una lunga strada sterrata connetteva la famiglia Dal Cero che qui abitava, lavorava e viveva, con il centro del paese. Un via vai di amici, conoscenti e parenti solcava a piedi quella stradina chiedendo vino sfuso in damigiana per rispettare la tradizione del luogo. Dal lunedì al sabato. Gli orari di apertura erano solo un modo di dire. Rosa e Pietro accoglievano con ancor più gioia i passanti della domenica, quando, lontani dal lavoro in vigna solo per qualche ora, mostravano con voglia di condivisione e qualche bicchiere di vino la loro tenuta.

Qualcosa cambia

È forse proprio da questo interesse verso il vino sempre più profondo da parte della gente a far emergere in Pietro la volontà di dare un riconoscimento a quel prodotto, cercare di raffinarlo, migliorarlo, rendendolo più appetibile con i piatti locali contadini.
Vedeva che il territorio del Lugana poteva avere del potenziale se ci si metteva in ascolto della Natura del luogo.
Una zona paludosa (anticamente silva lucana) e ricca di acquitrini fino al medioevo, bonificata dai frati, resa coltivabile e da allora sempre sfruttata. Il lago non poteva che essere d’aiuto: la sua origine glaciale ha da sempre fornito ricchi minerali e grande freschezza. Il clima del Lugana è un altro punto a suo favore: una baia a cavallo tra due regioni sempre riparata e ventilata al punto giusto.
La vite non poteva che risorgere qui dopo gli attacchi di peronospora e oidio. La composizione del suolo sabbiosa in collina e argillosa verso il lago ha giocato un ruolo notevole.

Il disciplinare: un documento nato dal niente

Pietro Dal Cero, insieme ad altri contadini lungimiranti della Lugana, è stato tra i firmatari del primo disciplinare per la DOC del Lugana nel 1967. Nasce così la prima Denominazione di Origine Controllata della Lombardia.

Solo due anni dopo Ca’ dei Frati rivoluziona il suo mercato vinicolo trasformando la produzione: da vino sfuso si passa alla bottiglia di Lugana I Frati. Una bottiglia renana verde scura, allungata, come era in uso all’epoca. L’etichetta rappresentava il marchio lasciato dai Frati Carmelitani che abitavano la tenuta nella metà del XV secolo. Già si notava la volontà di riconnettersi con le antiche radici del territorio e con la sua storia strettamente locale e artigianale.

La DOC oggi

Nella DOC oggi rientrano cinque comuni del lago e dell’entroterra: Sirmione (sotto cui rientra la frazione di Lugana), Peschiera del Garda, Pozzolengo, Lonato e Desenzano del Garda. Si tratta di un areale di 2500 ettari vitati con una produzione di circa 25 milioni di bottiglie all’anno in totale. Sono otto le cantine che si impegnano nella produzione di questa DOC nel comune di Sirmione: la posizione strategica vicina al lago, pur restando in campagna, attira turisti e curiosi, soprattutto in anni più recenti.

Il vitigno principe per questa produzione è la Turbiana, facente parte della grande famiglia dei Trebbiani italiani, con un DNA studiato a lungo dal professor Attilio Scienza e dall’Università di Milano. Ne è emersa una vicinanza a vitigni bianchi tipici di zone poco distanti come il trebbiano di Soave e il Verdicchio, suoi fratelli.

La sua freschezza e tipicità nel bicchiere al naso e al palato sono state esaltate da scrittori e poeti non solo in anni recenti, come nella celebre poesia di Luigi Veronelli, che elogiava il Lugana con qualche anno sulle spalle, ma anche in passato. Tra le più antiche citazioni, insieme a quella di Agostino Gallo del XVI secolo nelle “Venti giornate dell’agricoltura”, ricordiamo quella della fine del Cinquecento di Andrea Bacci che esaltava proprio “i trebulani” prodotti nelle nostre zone, dove “trebula” indicherebbe anticamente un vino casereccio e di paese.

Per scoprire ulteriori curiosità sulla storia della famiglia Dal Cero, presente in Lugana dal 1939, e sulla produzione di questa DOC così speciale e delimitata territorialmente ti invitiamo a partecipare a uno dei tour gratuiti della tenuta prenotabile online da qui.

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La vendemmia nella Lugana di Ca’ dei Frati

Il momento della raccolta dell’uva è sempre stato per l’uomo fonte di grande soddisfazione e gioia, ne sono traccia reperti ritrovati in alcune tombe degli antichi egizi, il primo popolo a scoprire e utilizzare il prodotto della fermentazione dell’uva. A quel tempo non esisteva una viticoltura come la conosciamo noi oggi, le vigne crescevano spontaneamente “maritandosi” cioè aggrappandosi agli alberi che crescevano nelle vicinanze. È facile immaginare, quindi, come i grappoli dolci, turgidi e succosi, fossero recepiti dagli uomini di quell’epoca come doni per i quali essere grati alla Natura e agli dei. Nel corso del tempo l’uomo è stato capace di addomesticare le vigne, costruendo per loro tralicci e palizzamenti ai quali queste intelligenti e prolifiche rampicanti potessero reggersi. Sono molti gli affreschi di epoca romana che li raffigurano in momenti di vendemmia, feste dedicate a Bacco e ricchi banchetti in cui vino e uva sono sempre presenti. Anche nel territorio di Lugana sono state ritrovate tracce di viticoltura risalenti a quest’epoca. 

Oggi come allora la vendemmia è il momento più importante per chi produce vino, un momento preparato e atteso nel corso di molti mesi, a cominciare dalla potatura invernale delle piante, perché la maturazione dell’uva è il risultato di un’attenzione costante nel corso del tempo. Come tutte le piante anche la vigna per vivere bene e dare i suoi frutti ha bisogno di acqua, luce e sostanze nutritive. Se manca uno di questi tre elementi la pianta blocca la sua crescita e rinuncia a portare a maturazione i grappoli, per riuscire a mantenere il proprio equilibrio e la propria sanità. Un grappolo che giunge a maturazione perfetta ha potuto godere di acqua, di sali minerali e della giusta luce, permettendo alla pianta di realizzare una fotosintesi efficace e di concentrare nei suoi frutti zuccheri, acidi, sali e molte altre sostanze nutritive. 

Così è anche per la turbiana, la varietà regina del territorio morenico di Lugana, originato dall’andirivieni delle grandi glaciazioni che hanno sconvolto, congelato e poi disciolto le acque del lago di Garda, determinando col passare dei millenni, il mescolamento di materiali e di detriti fossili ed il loro sbriciolamento in particelle finissime, che hanno poi formato l’argilla di sedimentazione, ricchissima di calcare attivo, che caratterizza questo territorio. La turbiana ha un grappolo piuttosto piccolo e fitto che anche in piena maturazione mantiene un bagliore verde sulla buccia dorata degli acini. Per sua natura è un vitigno con rese piuttosto basse ed il sistema di allevamento prediletto è il guyot.

Profumi di agrume, mandorla, fiori bianchi ed erbette aromatiche: sono questi i sentori tipici del trebbiano di Lugana. Nel vino li ritroviamo con facilità, insieme ad una grande freschezza ed una sapidità molto gustosa che fa salivare a lungo. Il microclima di cui godono le vigne è molto particolare perché beneficia dell’aria fresca che discende dalle montagne del Trentino e allo stesso tempo è sempre mitigato dalla presenza temperante del lago di Garda. Ma ci sono delle differenze tra zona e zona. Questo è il motivo per il quale Igino Dal Cero in Cà dei Frati vinifica separatamente le parcelle che compongono i vigneti aziendali. Le differenze presenti tra terreni più limosi e terreni più sabbiosi e ricchi di scheletro, unita alle diverse esposizioni, dona infatti alla turbiana delle sfumature aromatiche diverse. I terreni ricchi di limo compatto tendono a far emergere sensazioni più agrumate e fresche, mentre nei terreni più ricchi di scheletro si apprezzano note più calde e ricordi di frutta esotica. Racconta proprio Igino: “Vinificare le parcelle separatamente vuol dire esprimere il meglio di ogni appezzamento esaltando le tante sfaccettature della turbiana che, una volta assemblate, vanno a creare un vino complesso sia nella struttura che negli aromi varietali”. Sfaccettature che emergono in modo evidente nei due Lugana prodotti dall’azienda.

Il Lugana “I Frati”, vinificato solo in acciaio, è diretto e fresco, con piacevoli sentori di piccoli fiori e mandorla ed un sorso salino e succoso che si allunga su ricordi balsamici di mentuccia. 

Brolettino è invece un Lugana ottenuto da uve maturate più a lungo sulla pianta e questa maggior maturità si esprime nel vino in sentori di polpa gialla di pesca e mela golden, in un palato dall’avvolgente sapidità in cui si fanno spazio profumi suadenti di spezia dolce che rivelano l’affinamento in barrique di questo vino.

Se vuoi assaggiare queste referenze e fare esperienza anche da casa del territorio che questi vini freschi e minerali portano con sé, puoi trovarli nel nostro shop ufficiale qui: www.caffetteriapasticcerialafenice-onlineshop.it.

 

Scritto da Corinna Gianesini

Sommelier – Comunicatrice del Vino

Curatrice guida Slow Wine per il Veneto

 

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Il poetico ciclo di vita della vite

Chi ama il vino ha un legame stretto con la natura. Un legame inscindibile, quasi ancestrale, di quelli in cui la forma di comunicazione non è parlata o scritta, ma è sentita.
Solo vivendo a stretto contatto con la natura si capisce il vero significato di “Terra Madre”. Nella vigna questo è ancor più percettibile e, osservandola attentamente, ci si rende conto di avere a che fare con una vera forma di vita. Forse per questo si chiama vite?

Del resto, se ci pensiamo, il ciclo di vita della vite inizia proprio con un pianto, una lacrima, che annuncia che tutto sta per nascere, come il vagito di un bimbo. Un momento di grande tenerezza che ogni anno ci incanta. Da quel giorno la pianta assume una fisionomia diversa e si apre alla vita. I piccoli tralci crescono per aggrapparsi ai filari più sicuri per sfidare il vento.

A giugno la vigna vive la sua primavera con la fioritura e rilascia tra i filari un delicato profumo che poi si ritrova piacevolmente nel bicchiere. Ma c’è un momento che più di ogni altro avvicina l’uomo alla pianta. Tra la fine luglio e gli inizi di agosto, accade qualcosa di magico e misterioso: l’invaiatura. Gli acini dalla buccia verde acquisiscono trasparenza e, guardandoli attraverso la calda luce del sole, pare di vedere il grembo materno, e si vive una sensazione simile a quando, con l’ecografia, si percepisce il primo battito del cuore. Da qui il grappolo prende forma e diventa maturo raccogliendo ciò che pianta e suolo possono donargli e tutto il suo sapere viene allora tramandato.

A questo punto il grappolo può avere due destini davanti a sé. Uno che lo porta ad invecchiare, lo raggrinzisce, perde la sua vigoria e pian piano, la sua forza diventa dolce, dolcissima, fino a lasciarsi andare a terra donando i semi che potrebbero portare ad una pianta nuova. L’altro viene raccolto in un clima di grande serenità e gioia. I giorni della vendemmia sono fatti di lavoro duro, di notti insonni, ma anche di canti e risate tra i filari, mentre mani veloci ed esperte selezionano il frutto migliore. Solo dopo queste fasi si trasformerà e diventerà vino, una forma di vita diversa in un universo parallelo dove racconterà le storie dei luoghi da cui proviene in un’altra forma, con un altro aspetto.

 

Gianpaolo Giacobbo

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