La città degli innamorati ha la più grande estensione di vigne, tra tutti i comuni della Valpolicella
La produzione vitivinicola nel comune di Verona rappresenta il primo comune per produzione nella Valpolicella. Chi l’avrebbe mai detto? Eppure si tratta di una delle città che ha la maggior quantità di territorio collinare tra quelle che ci sono nel nostro nord Italia.
Verona, se la consideriamo per il su centro storico, è una città che i Romani hanno confinato all’interno dell’ansa del suo grande fiume. Pertanto la sua superficie iniziale e, il suo cuore, anche oggi rimane particolarmente ristretto e contenuto. L’estensione del comune però si allunga verso la collina e si estende oltre le prime colline murate che vengono chiamate Torricelle.
Verona nacque su un promontorio, dove oggi si trova l’arrivo della piccola funicolare e nel tempo si abbassò in pianura oltre il fiume a sud, soprattutto in epoca romana quando il Ponte, ancor oggi ben visibile nella sua parte originale, Ponte Pietra, collegava appunto i due insediamenti: quello primordiale celtico e quello romano appunto.
Il territorio di Verona
Il Comune di Verona conta un numero di abitanti pari a 255 121. La sua estensione va dai territori a sud, industriali e popolosi e, a nord, sulle colline, arrivando fino a circa 600 metri di altitudine. Un luogo ideale per l’allevamento della vite e la produzione dei vini caratteristici locali.
Oltre Borgo Trento e Valdonega, salendo sulle colline delle Torricelle si inizia a scorgere i primi timidi vigneti, mentre rimane molto estesa la coltivazione dell’olivo, forse la pianta più antica della storia di questi territori. I terreni delle prime colline a nord della città sono molto ricchi di calcare e hanno una bella friabilità dovuta alla presenza di scisti e di argille compatte. Sono terreni che un tempo erano dedicati alla produzione di ciliegie e i grandi castagnacci che ancora oggi ornano maestosi i piccoli boschi ancora rimasti.
Sempre più a nord il comunque di Verona si estende nelle frazioni di Avesa, Parona, Quinzano, Quinto, Marzana, Poiano, Santa Maria in Stelle, Mizzole, Montorio.
Tutte queste piccole frazioni, fino a una trentina di anni fa completamente sconosciute alla produzione di vino, si sono riscattate negli ultimi anni e hanno visto un continuo crescere degli impianti, anche se con una corretta inclusione nell’ambiente, senza particolari intensità. La biodiversità di questi luoghi e la presenza importante degli olivi, in modo particolare, ha reso più armonica la variabilità colturale delle coltivazioni.
La dimensione vitivinicola e le cantine
Sono tante le cantine che sono nate in questo ultimo decennio e tutte si sono distinte per la loro capacità di sapere governare il territorio e rispettarlo con impianti di vigneti di medio-piccole dimensioni perfettamente integrati nel territorio.
Le cantine stesse non hanno deturpato le colline ma, anzi, sono sempre state concepite per valorizzare l’ambiente circostante e la sua funzionalità agricola. In alcuni casi sono state riprese antiche cantine già facenti parte delle strutture di palazzi appartenuti ai nobili Scaligeri, come ad esempio Torre di Terzolan. In altri casi si sono studiate strutture architettoniche affascinanti che hanno cercato di usare gli stessi materiali della collina circostante per la loro impostazione. Una di queste è proprio la nostra nuova tenuta sulla collina di Montorio dove la struttura si eleva dolcemente tra le vigne compenetrandosi perfettamente sia da un punto di vista cromatico, sia da un punto di vista architettonico con l’intero ambiente circostante.
La superficie coltivata e i suoli
La superficie coltivata in queste frazioni e nel comune di Verona è pari a 1292 ettari ed è il primo comune della provincia, per quel che riguarda la produzione di vino Valpolicella. Dopo di lei viene Negrar con 1154 ettari vitati. Quindi dobbiamo considerare la città degli Scala come la regina del Valpolicella, non quindi solamente un’entità scoordinata dalla zona classica. Questa forte integrazione e il salto produttivo è stato fatto perchè le colline dietro la città sono un ambiente ancora sano, con una ottima biodiversità, con un sottosuolo calcareo ideale per la produzione dei grandi vini rossi della denominazione.
I vini di Verona
Lo stile dei vini che emerge in quasi tutte le produzione di questo territorio è di quelli un pò più moderni e contemporanei. Innanzitutto si tratta di vini con un buon tasso alcolico e una importante struttura. Sono vini che vanno domati un pò ma che regalano forti emozioni. Abbastanza estrattivi si avvicinano di più alle produzioni delle colline orientali veronesi che alla zona classica occidentale.
Hanno profili sensoriali ben marcati con una complessità olfattiva sempre particolarmente evidente e un palato ampio con un tannino morbido e una acidità sostanziale che permette di ottenere dalle bottiglie buona longevità e propensione ai lunghi affinamenti in bottiglia.
Ciliegia, pout pourri di fiori rossi passiti e spezie sono il profilo aromatico più comune. La tendenza, soprattutto per quanto riguarda Ca’ dei Frati presente in Valpolicella orientale nella zona di Marcellise per la produzione dell’Amarone della Valpolicella DOCG con circa 20 ettari di proprietà, è quella di mantenere potenza e sostenere sempre l’eleganza di cui questi vini sono dotati, trovando l’equilibrio tra le componenti offrendo possibilità di ottenere armonie gustative negli anni.
Non ti resta che provare l’Amarone della Valpolicella DOCG Pietro Dal Cero (lo trovi qui anche online) per assaporare il territorio veronese in tutte le sue sfaccettature.
Bernardo Pasquali
Wine & Food Journalist & Specialist
Premio Brand Ambassador Agroalimentare Italia 2019
Maestro Assaggiatore di Formaggi ONAF Delegazione di Bergamo
I Classificato, Premio Internazionale Poggi Venezia 2009, Giornalismo e Letteratura Enogastronomica
Eccoci al secondo appuntamento con gli abbinamenti ricercati tra cibi vegetali e i nostri vini. Il focus questa volta riguarda i vini rosati e rossi: Rosa dei Frati, Ronchedone e Amarone della Valpolicella DOCG Pietro Dal Cero sono i protagonisti degli abbinamenti studiati dallo chef Edoardo Nizzola, alla ricerca di sapori e sposalizi enogastronomici eleganti e sopraffini.
Chi desidera sperimentare un’esperienza multisensoriale non ha altro da fare che mettersi ai fornelli e provare le ricette e i consigli dello chef studiati appositamente in abbinamento ai vini prescelti. Non si tratta di semplici abbinamenti dove il vino viene scelto come secondo partner in questa unione gustosa, ma bilanciamenti esatti realizzati per realizzare gli ingredienti di stagione con le tonalità sensoriali e olfattive dei rispettivi vini.
Un lavoro fine e sensibile, riuscito grazie ai tanti anni di esperienza dello chef bresciano che da anni si cimenta specializzandosi maggiormente nella cucina vegetale e, come la definisce lo stesso, “dal Colore buono”.
Ecco qui le proposte studiate in versione invernale.
Risotto Carnaroli, cotto nel latte di mandorla, dadolata di mela verde e polvere di rosa mosqueta
Abbinamento con la Rosa dei Frati – Marzemino, Sangiovese, Groppello e Barbera
Ingredienti per 4 persone:
Riso Carnaroli 220 gr
Olio EVO di Ca’ dei Frati 4 gr
Latte di mandorla 200 gr
Mela verde n1 30 gr
Polvere di rosa mosqueta 4 gr
Brodo vegetale 300 gr
Carota, Sedano, Cipolla 80 gr
Vino Rosa dei Frati 20 gr
Sale 6 gr
Grana padano 10 gr
Burro 5 gr
Mettete l’acqua in una pentola, aggiungete le verdure e fatele bollire per qualche minuto in modo che le verdure rilascino i propri sapori e poi spegnete per farle riposare.
Prendete una casseruola piccola e metteteci il riso con l’olio EVO e fate tostare finché i chicchi non diventano leggermente trasparenti. Sfumate con il vino Rosa dei Frati e una volta evaporato cominciate ad aggiungere il latte di mandorla e il brodo vegetale filtrato finché non verrà assorbito completamente. A questo punto saranno passati circa 15 minuti. Togliete dal fuoco e cominciate a mantecare con il burro, il formaggio e il sale: incorporate bene tutti gli ingredienti così da ottenere come risultato un risotto molto cremoso.
Prendete la mela, tagliatela a cubetti e conditela leggermente con l’olio EVO. A questo punto potete impiattare: mettete il risotto in un piatto piano, accomodate la vostra mela in modo uniforme sul risotto e cospargete il tutto con la polvere di rosa mosqueta per creare infine un sentore profumato intrigante.
Indivia belga brasata al vino Ronchedone di Ca’ Dei Frati, crema di carruba e bacche di mirtillo nero
Abbinamento con il Ronchedone – Marzemino, Sangiovese e 10% Cabernet
Ingredienti per 4 persone:
Indivia belga n4 pezzi
Olio EVO di Ca’ dei Frati 40 gr
Vino Ronchedone 100 gr
Timo, salvia, alloro 5 gr
Polvere di carruba 10 gr
Latte di soia 50 gr
Olio di girasole 130 gr
Succo di limone 6 gr
Sale 3 gr
Bacche di ribes 40 gr
Prendete l’indivia belga, togliete le prime foglie e mettetela in una teglia con sale e olio EVO, fatela cuocere in forno per circa 40 minuti a una temperatura di 140 gradi.
A parte fate bollire il vino Ronchedone con timo, alloro e salvia e lasciatelo ridurre. Prendete poi il latte di soia e, con l’aiuto di un minipimer, andate a montare la crema aggiungendo il succo di limone, la polvere di carruba e il sale e versate a filo l’olio di girasole. Una volta ottenuta la crema, mettetela in un biberon da cucina che vi servirà per impiattare. A questo punto finite la cottura della vostra indivia mettendola nella pentola con la riduzione di vino fino a una completa glassatura, così da ottenere come risultato una salsa avvolgente e l’indivia morbida.
Impiattate creando un cerchio sul fondo del piatto con la crema di carrube, in modo da formare il perimetro che possa contenere la salsa che andrete a versare sulla vostra invidia belga. Ultimate il piatto con le bacche di ribes che andrete a lucidare leggermente con olio EVO.
Cavolfiore giallo dei Ronchi laccato con riduzione di Amarone della Valpolicella DOCG Pietro Dal Cero, cioccolato e tabacco, semi di anice e menta essiccata
In abbinamento con l’Amarone della Valpolicella DOCG Pietro Dal Cero – Corvina, Corvinone e Rondinella
Ingredienti per 4 persone:
Cavolfiore violetto 300 gr
Vino Amarone della Valpolicella DOCG Pietro Dal Cero 100 gr
Cioccolato fondente 80% 40 gr
Tabacco da sigaro 6 gr
Latte mandorla 50 gr
Semi di anice 3 gr
Menta essiccata 1 gr
Sale 2 gr
Olio EVO di Ca’ dei Frati 20 gr
Prendete il cavolfiore e tagliatelo in parti uguali in modo da ottenere 4 spicchi. Conditelo con sale e olio EVO e cuocete in forno per 50 minuti a una temperatura di 130 gradi.
Per la salsa: mettete il tabacco nel latte così da aromatizzarlo, mettetelo poi sul fuoco e portatelo a ebollizione. Spegnete il tutto e filtrate con un colino dalla maglia fine. Una volta filtrato tutto, versate sul cioccolato in modo da farlo sciogliere con il calore.
Prendete l’Amarone e mettetelo a bollire così da ridurlo; a questo punto incorporate la cioccolata nel vino, fatela cuocere ancora fino a ottenere una salsa lucida e poi mettetela da parte. Prendete il vostro cavolfiore cotto, adagiatelo in mezzo al piatto e andate a laccarlo con la salsa. Ultimate il piatto con semi di anice e foglie di menta essiccata per dare una parte balsamica e fresca al vostro piatto.
Se volete rifornirvi dei nostri vini in tempo per organizzare il vostro pranzo o la vostra cena con le nostre ricette, li trovate qui.
Vi auguriamo buon appetito!
Lo Chef Edoardo Nizzola “La mia esperienza lavorativa inizia al Gambero di Calvisano con una cucina tradizionale ma innovativa; sono stato per 8 anni proprietario e socio del ristorante Fiamma Cremisi a Viadana di Calvisano con cucina tradizionale rivisitata, poi bancheting e ristorazione al Monastero a Soiano del Lago cucina di carne e di pesce, infine ritorno a Brescia al Castello Malvezzi con cucina mediterranea innovativa. Decido di ritornare sul lago prima su una sponda a Rivoltella presso la trattoria Dall’abate con cucina di pesce e poi sull’altra sponda a Padenghe per aprire il ristorante Miralago con cucina di carne e di pesce dal taglio innovativo, infine a Castiglione da Mutty con una proposta solo vegetale dopo un percorso dallo chef Pietro Leeman, cucina che a me piace chiamare cucina dal Colore Buono”.
In occasione della Verticale Storica di Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero DOCG avvenuta presso la nostra sede il 25 marzo 2023, abbiamo confrontato tutte le annate di questa prestigiosa referenza e ne abbiamo tratto alcune conclusioni in questa sede, riportando le considerazioni principali emerse per ogni annata dalla 2016 alla 2008 grazie alla discussione avvenuta tra quattro prestigiosi relatori di fronte ad un pubblico numeroso presente in sala: Igino Dal Cero, enologo e produttore di Ca’ dei Frati, Carlo Callari, enologo presso la nostra sede con un’esperienza quindicinale di produzione nella Valpolicella, Bernardo Pasquali, gastronomo e Gianpaolo Giacobbo, giornalista ed esperto di vino. Una bella squadra di veneti per analizzare una referenza così legata al territorio e che parla attraverso la struttura e i sapori della tua terra.
Luxinum: il nostro vigneto a Marcellise
Il vigneto con cui produciamo il nostro Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero ha una caratteristica molto importante per la produzione dell’uva: si trova a 350 m sul livello del mare ed è rivolto verso sud, con un clima ed un orientamento pregevole. L’investimento fu fatto nel 2002 in onore del papà dei tre attuali proprietari, Pietro Dal Cero, a cui poi è stata dedicata questa referenza. Pietro infatti, figlio di Felice Dal Cero, fondatore dell’azienda, è stato l’unico dei figli a continuare l’attività agricola dando una svolta decisiva con la specializzazione nell’ambito enologico. La produzione di Amarone sembrava un sogno dietro l’angolo, un tributo fortemente voluto dalla famiglia per celebrare l’origine veneta dei Dal Cero, provenienti da Montecchia di Crosara, spostatisi sul lago nel 1939, dopo la prima guerra mondiale. Da momento dell’acquisto di alcuni ettari in Valpolicella ad oggi sono ormai passati più di 20 anni e il sogno è diventato realtà, reso ancora più reale oggi dall’ascolto di questo vino potente e narrativo nella sua evoluzione di annata in annata.
Il territorio è quindi molto importante: essendo un appezzamento unico in collina a 350 metri sul mare, è stato realizzato con dei terrazzamenti che vengono raggiunti da un sole mai caldissimo – il nome Luxinum deriva proprio dal latino lux, luce, raccolta dodici ore al giorno – donando un forte sbalzo termico tra il giorno e la notte, ideale per le uve. Nella parte più alta del suolo affiora la roccia, la calce. Per realizzare l’impianto c’è stato uno spostamento di circa 60.000 metri cubi di terra per creare il vigneto senza recidere alberi già presenti in loco e il bosco che circonda tutt’ora il vigneto. L’altro elemento importante è l’acqua: infatti se la vigna non ha il giusto equilibrio e la perfetta idratazione essa fornisce un frutto squilibrato e ciò ripercuote nel vino. In questo luogo graziato da madre natura l’uva matura molto bene, mantenendo un’acidità molto alta che ci garantisce una certa longevità in bottiglia.
La nostra Corvina, il nostro Amarone
Per l’Amarone di Ca’ dei Frati si utilizzano uve tutte provenienti da un solo ed unico vigneto. Le uniche differenze presenti quindi sono piccole variazioni del periodo di raccolta di anno in anno, mantenendo però lo stesso stile di vinificazione, in annate diverse. Con la verticale, si ha la possibilità di assaggiare quindi un unico cru, lo stesso frutto dato dalle stesse piante anno per anno, valutando così cosa la natura ci ha regalato nel corso dei suoi cicli stagionali nel corso degli anni. Un assaggio svolto in questo modo serve per capire l’evoluzione della vigna, ma anche la maturazione delle vinificazioni svolte in cantina, nonché l’evoluzione del frutto ovvero la giovinezza del vino. E’ un vero e proprio archivio per la memoria gustativa nostra, di oggi, ma anche per i degustatori del futuro che si troveranno a mettere il naso (si spera deliziati) su questo nettare potente e sanguigno.
Marcellise: un salto all’indietro nel tempo
Si tratta di un luogo davvero particolare dove dimora il nostro vigneto: solo circa 500 abitanti ancora oggi ci vivono, di cui 274 donne, più della metà, a testimoniare come la campagna parli ancora al femminile.
Si trova nel Comune di San Martino Buonalbergo – per intendersi, l’uscita autostradale di Verona est – da lì si incontra questo luogo guardando in alto: le colline che compaiono sono quelle di Marcellise. È una delle vallate più piccole della Valpolicella orientale che si estende da Verona verso est, a Vicenza.
La sua caratteristica principale è quella di essere un vero e proprio biotopo: si tratta di una localizzazione geografica molto circoscritta dove c’è vigna, olivo, ciliegi e una grande biodiversità. Si possono ancora vedere piccoli casali, spesso antichi anche valorizzati e ben ristrutturati, e tanta crescita dei vigneti in lungo e in largo. Macellise infatti è molto vocata alla produzione di vino rosso. Trova i natali su due placche di marna profondissime, dette dorsali, nate da fusioni calcaree. Queste presenze fanno sì che si tratti della situazione migliore per un’uva rossa come la Corvina per poter crescere, tra marne profonde e poi affioranti. La valle infatti sarebbe alla vista completamente bianca, se non fosse ricoperta dalle vigne perchè la roccia emerge dalle profondità spesso e in vari punti del suolo. È impegnativo inoltre impiantare qui un vigneto perchè le vigne poggiano direttamente sulla roccia, ma tutto questo dona complessità, finezza ed eleganza ai vini.
Vino di territorio e vino di stile
La tradizione dei veronesi è nel fare vino è quella dell’appassimento. Inoltre nel Veneto non ci sono vini realizzati con un’uva sola: tante uve rosse e bianche sono chiamate alla realizzazione delle referenze di questa regione e per questo motivo i veronesi in particolare sono grandi esperti di blend, veri esperti di mixology nel vino. Questa è la vera storia del Veneto e non cambia per la Valpolicella. Qui infatti si trovano – permesse da disciplinare – la Corvina, il Corvinone, la Rondinella che concorrono alla realizzazione dello stesso vino. Per questa ragione quindi l’Amarone è un grande vino di territorio, dove esso è in grado di emergere fortemente; ma è un vino anche di stile, poiché l’idea del vino finale sta tutta nelle mani di chi lo produce. Da questo punto di vista infatti il pregio della denominazione è di non avere Amaroni tutti uguali, la tradizione enologica veronese valorizza la diversità come virtù. Il vino di ogni cantina viene segnato in modo definitivo dalla storia di chi lo ha fatto nascere e questa è la sola chiave per entrare nel mondo di quella specifica famiglia.
“Dal 2008 in Ca’ dei Frati è partita una storia bellissima di interpretazione del territorio rigorosa e svolta con grande umiltà e rispetto del territorio stesso, tirando fuori qualcosa di molto interpretativo ed eccezionale” afferma Bernardo Pasquali.
Un vino di necessità
In passato bisognava concentrare il vino realizzato con la Corvina e con altre uve tipiche della zona. Queste infatti davano un prodotto di circa 11 gradi alcool, così a partire dagli anni Trenta si è voluto concentrare il prodotto, renderlo più strutturato; al tempo l’unica possibilità di fare questo era di prendere l’uva, tagliarla con diverse tipologie e metterla sui graticci per appassimento. Significava in sostanza disidratare l’uva per aumentare la concentrazione zuccherina e ottenere infine un vino dall’alto grado alcolico.
Prima è nato il Recioto (la versione dolce dell’Amarone) e poi l’Amarone, si dice come errore, essendo diventato amaro durante il processo di produzione del classico Recioto. Oggi però predomina la versione secca.
Carlo Callari sostiene che l’Amarone sia “un vino giovane rispetto per esempio al Barolo che ha una storia alle spalle di più di 200 anni. Le prime bottiglie di Amarone sono degli anni Trenta o Quaranta. Solo dalla metà degli anni Novanta la produzione diventa importante e il successo è stato rapido. Difficoltà è portare nel bicchiere il territorio perchè il processo di appassimento tende a uniformare la tipologia. La disidratazione è infatti un fenomeno molto invasivo e la perdita di peso delle uve è notevole e con questa si perdono anche i caratteri specifici dell’uva. Diventa più un vino di processo così. La difficoltà principale quindi è valorizzare il territorio, facendo parlare il prodotto mantenendo un processo produttivo del tutto tradizionale”.
Per il nostro Amarone si utilizzano botti di rovere francese nuove che cedono tannino, ma è pulito, ovvero non cede i caratteri del vino che c’è stato a contatto precedentemente: è importante questo dettaglio se si vuole evidenziare l’annata e soprattutto se si vuole far parlare il territorio. Le barrique nuove infatti vengono scelte proprio per non incidere sul vitigno con il vino dell’anno precedente: ogni annata parla per sé, il territorio cambia e con esso il clima. L’uva è la stessa ma cambia nelle sue vibrazioni naturali profonde di anno in anno. Inoltre un legno riutilizzato molte volte può avere delle problematiche e durante l’utilizzo potrebbero danneggiare il vino contenuto. Soprattutto se l’annata nuova è migliore della precedente preferiamo come scelta filosofica aziendale utilizzare solo legni nuovi per la permanenza dell’Amarone.
Inoltre su tutto questo processo intervengono anche le tecniche d’avanguardia relative alla cantina come l’ossidazione evitata in fase di pigiatura e di vinificazione già nel suo momento iniziale, la saturazione delle vasche con l’anidride carbonica e il controllo costante della temperatura. La pigiatura delle uve per l’Amarone inoltre è generalmente svolta tra dicembre e febbraio in periodo generalmente sempre freddo e per tradizione vengono fatte macerazioni lunghe a freddo. In Ca’ dei Frati la macerazione viene invece svolta a caldo per estrarre più colore e più tannino dalle uve: questo passaggio però si rende necessario perchè si tratta di un vigneto con un’alta acidità naturale. Per la stessa ragione cerchiamo di prolungare la maturazione in pianta e poi lasciamo maturare il vino a lungo con 2 anni di barrique, 1 anno di acciaio e poi ancora altri anni di affinamento in bottiglia.
Macchina del tempo dal 2016 al 2008: torniamo alle origini con il nostro naso
Annata 2016
Si presenta croccante, fine e di grande eleganza. Ha una grande tensione olfattiva e gustativa che mostra tutto il suo potenziale di affinamento ancora per lungo tempo. Non mancano infatti freschezza e una leggera sapidità caratteristica della marna su cui nascono i vigneti. Il 2016 fu un’annata particolarmente fresca per cui la grande sfida fu quella di preservare questa freschezza donataci dalla natura. In queste situazioni infatti il vino tende ad ossidare facilmente. La sfida è stata felicemente vinta e oggi si presenta come un vino dal grande potenziale, forse una delle annate migliori di sempre.
Annata 2015
Valutata molto bene in generale dai produttori della Valpolicella, ma solo il tempo definisce il valore del vino e delle sue annate. La vigna qui ha più anni e non è poco nel risultato finale, infatti acquisisce nel tempo un materiale linfatico di maggiore pregio. Cosa aspettarsi nel 2015 da Marcellise? Abbiamo già detto che l’appassimento tende a uniformare i vini, ma il territorio ha una sua piacevolezza intrinseca: L’Amarone di Marcellise è diverso da quello di Negrar o Fumane, ad esempio. Il clima e i caratteri sono molto diversi tra loro. Marcellise ha di intrigante sempre la sua acidità strutturale, che aumenta e migliora in termini di equilibrio negli anni. Si avvicina sempre di più ad un equilibrio tra parti forti e molli che è fondamentale nel vino: le parti dure del vino si avvicinano in modo virtuoso alle parti morbide. Questo è il potenziale di Marcellise e di questa annata in particolare.
Vale la pena soffermarsi sul frutto in questa annata, perchè esso è tipico della Valpolicella: la ciliegia in varie sfumature, in varie tipologie ed è curioso percepire da diverse vallate di produzione il cambiamento delle ciliegie nell’Amarone. È la marasca o l’amarena tipica delle vallate: richiama la confettura, quasi dolce, nelle vallate che si trovano più in basso; sulle parti dorsali invece diventa marasca, con un finale quasi amandorlato, quasi acerbo. Nel nostro caso la ciliegia è più dolce, ma il carattere di fondo resta rivolto alla freschezza e all’acidità. Inoltre anche la sapidità salina è molto forte e davvero tipica di Marcellise: i cristalli di sale percepiti nella cavità orale emergono spesso, soprattutto in annate come la 2008.
Si traduce quindi in un’annata che ha grande profondità, con la capacità di un percorso davanti ancora molto importante.
Annata 2014 (non prodotto)
Fu un’annata molto piovosa e fredda, scura, con tante nuvole e la luce è un elemento fondamentale per la crescita della Corvina; quindi l’azienda ha rinunciato all’annata. È unica annata finora non prodotta.
Annata 2013
Annata buona ed equilibrata. Succulenta, piena e gustosa. I tannini sono allineati e dolciastri. Siamo già a qualche anno di distanza dalla vendemmia e per questa ragione emerge di più una nota evolutiva. Il colore tende verso un’evoluzioni positiva, mai tendente al color mattone perchè l’estrazione viene svolta ad alta temperatura invece che a bassa temperatura: questo dettaglio fa sì che i tannini non tendano mai al giallo aranciato, ma alla componente più rivolta al rosso e al viola, anche con un affinamento in bottiglia di più anni.
Annata 2012
Il clima ha alternato momenti siccitosi a momenti più piovosi. E’ stata quindi un’annata piuttosto difficile.
Fu complesso trovare l’equilibrio per la sua acidità naturale sempre molto spiccata: per questo motivo serve conoscere e prevedere il periodo giusto di raccolta per non degradare troppo l’uva matura in previsione dell’appassimento successivo. Al contempo il punto fondamentale però è di lasciare in pianta a maturare il frutto il più possibile per limitare la sua naturale acidità. Infatti se il vitigno ha un’acidità molto alta bisogna cercare di riequilibrarlo con la sua struttura. L’annata 2012 ha donato così longevità al vino, grazie al contrasto tra acidità alta con la sua maturazione più possibile prolungata in vigna.
Stiamo parlando ormai di un’annata che fa parte dei vini da decennio. Come si traduce quindi dal punto di vista organolettico? Si inizia a percepire la ciliegia mora, succosa e nera, la prugna, il rabarbaro che peraltro si trova nella valle di Marcellise in modo particolare, spezie dolci, anche un po’ orientaleggianti. È la bellezza dell’evoluzione che fa emergere tutti questi sentori, spontanei e riconoscibili. Il tannino dell’uva perde qui forza rispetto al tannino donato dal legno che diventa nel tempo più significativo, tanto che si arrivano a percepire diverse nuance anche viranti al cioccolato. Si sente molto infine la bacca di ginepro, intrigante nel vino e anch’essa tipica della valle di Marcellise.
Una nota importante: si tratta dell’ultimo imbottigliamento con il tappo di sughero (da qui in poi si utilizza il tappo Nomacorc in polietilene di canna da zucchero, 100% green). La ricaduta di questo è diretta su una maturazione diversa, per un passaggio di ossigeno regolamentato diversamente all’interno della bottiglia.
Annata 2011
Si tratta di un Amarone vecchio stile, si sente tutta la sua finezza. Anche questa fu un’annata piovosa e più fresca delle precedenti che ha espresso nel vino tutto il suo andamento climatico. Qui quindi torna una buona freschezza, nonostante l’annata sia più vecchia delle precedenti assaggiate finora. Si sente più freschezza e mineralità nonostante il frutto sia più maturo. Sembra una situazione un po’ strana, ma si trova lo stesso riscontro anche dal punto di vista del colore: è più fresco, più chiaro rispetto al 2012, ad esempio. Per fare questi confronti è fondamentale considerare che si tratti di uva che proviene dallo stesso vigneto. Infine da non dimenticare un accenno di balsamicità dovuta alla maturazione dei sentori terziari negli anni e da questo punto di vista il vitigno Corvinone conta molto nello sviluppo di queste note.
Annata 2010
Si colloca tra gli Amaroni di Ca’ dei Frati più evoluti: si percepisce una ciliegia appassita sotto spirito, ricoperta da un velo di cioccolato, la spezia si mostra di più, in particolare il pepe nero tipico della Valpolicella. Si avverte una presenza elegante del legno; i tannini sono più terziari rispetto a tannini evidenti della pianta che è abbastanza giovane nel momento della raccolta nel 2010. In generale però riemergono equilibrio e freschezza: Marcellise fornisce l’impalcatura naturale per aggrappare le caratteristiche del vino – ph, sapidità e freschezza – e lascia al produttore la possibilità di gestire in parte la sua maturazione. A Marcellise in passato si pascolavano gli animali, era la Lessinia destinata a pecore e a vacche, oggi è diventato tutto vigneto su una terra vergine, una terra non consumata, rocciosa e affiorante. L’unica cosa che si faceva era il pascolo con conseguente naturale concimazione. L’eleganza qui diventa suadenza con un tannino sinuoso e vellutato. Perde totalmente la sua parte più rude.
Annata 2009
Paragonato al 2003 e al 2022 per le temperature medie, con picchi importanti di quasi 40 gradi Centigradi.
Il vigneto essendo in altitudine non soffre grandi problematiche relative al caldo. C’è sempre un’aria fresca che scorre tra le foglie delle viti. Questa tuttavia è stata un’annata molto calda e corrisponde esattamente a quel calore: ne emerge un frutto molto maturo con un effetto cioccolato, suadente e un po’ goloso. È il momento di coglierlo.
Ha forse una vita più corta rispetto agli altri Amaroni di Ca’ dei Frati. Ha tuttavia note ancora un po’ verdi nonostante tutti questi anni in bottiglia: è proprio così, un’annata fresca che porta tannini non molto maturi, lascia che restino crudi anche dopo tanti anni trascorsi in bottiglia. Alla fine del sorso però diventa quasi una marmellata, una crema, risultando un vino molto concentrato.
Igino Dal Cero dice: “È stata un’annata molto particolare. È stata la seconda annata che verificavo, con delle analisi totalmente opposte rispetto al 2008 che era la prima annata da noi prodotta, molto acida, la 2009 invece era molto morbida. Il produttore di fatto può cercare di correggere, ma l’annata e la sua portata climatica emerge sempre. Io sono innamorato del 2008 che è stata la prima annata, il 2009 mi sembrava meno longevo; ora invece la 2008 ha una morbidezza quasi da cioccolato fuso. Il 2009 sembrava più molle con un’acidità più bassa. Invece è ancora qui che vive e lo fa bene: ha una sua sensazione più tipica forse come Amarone, più simile alla media degli Amaroni delle parti più basse della Valpolicella in termini di acidità”.
Il territorio forse qui – inteso come microarea – potrebbe un po’ sentirsi lontano: l’acidità e l’impalcatura che sostiene le morbidezze risultano un po’ molli e meno caratteriali, ma dal punto di vista strutturale queste sensazioni sono mitigate, da una bellissima acidità tipica.
Annata 2008
Tanta esuberanza, è stata la nostra prima indimenticabile esperienza. E’ stata segnata molto dal territorio di Marcellise, cosa a cui abbiamo da sempre teso l’occhio e la nostra attenzione per far emergere lo stesso nelle annate successive.
L’annata 2008 oggi ha ovviamente perso l’esuberanza giovanile tipica della Corvina, ma ha ancora scosse e vibrazioni da ascoltare, quasi in meditazione, che scorrono tra le morbidezze del vino. Sono passati ormai parecchi anni dalla sua vendemmia, ma nonostante ciò, sembra avere una prospettiva di vita ancora lunga.
Uno degli abbinamenti più azzardati che si possono fare con il vino è accompagnarlo con il cioccolato. Bisogna certamente distinguere tipologie di vino e tipologie di cioccolato: sono infatti due mondi incredibilmente vasti e molto interessati da approfondire. Se sei curioso (e goloso!) non ti resta che procedere nella lettura e scoprire come sbalordire i commensali a fine serata.
Partiamo dal vino. Nella gamma di referenze di Ca’ dei Frati sposano l’accompagnamento con il cioccolato l’Amarone della Valpolicella DOCG (blend di Corvina, Corvinone e Rondinella), soprattutto nelle annate più longeve e con qualche anno di maturazione, quando diventa “vino da meditazione”, il Tre Filer, passito di Turbiana, Chardonnay e Sauvignon Blanc che per la sua dolcezza non troppo ostentata rimanda ad alcune note di miele e frutta secca, e le grappe, in particolare quella ricavata da vinaccia di Amarone. Queste tipologie di vino si abbinano al meglio ad alcuni tipi di cioccolato (diversi a seconda del vino selezionato) per le caratteristiche intrinseche e per la composizione e struttura del prodotto stesso, vale a dire: morbidezza, dolcezza e presenza di sentori affini al cioccolato per un abbinamento svolto per analogia di sensazioni.
Il cioccolato invece – quello vero, ricavato dalla cabosside, ovvero la fava di cacao – si divide in tre grandi famiglie: il Criollo che è il più pregiato, il più delicato, ma fornisce solo meno del 1% del cacao mondiale; il Trinitario che è un ibrido tra il precedente e il Forastero, di cui si parlerà tra poco. Rappresenta circa l’8% del cacao dell’industria cioccolatiera e ha caratteristiche intermedie tra i due. Infine il Forastero, la varietà meno pregiata, da cui si ricava il 90% del cacao mondiale, è quindi la varietà più diffusa e coltivata al mondo.
Per il cioccolato, come per il vino, si può parlare di blend o di monovarietà (perfino di cru, con un termine condiviso con il mondo della vite). Nel primo caso, che è anche quello più comune, si miscelano diverse tipologie di cacao per ottenere una tavoletta con un buon bilanciamento tra qualità e costi della materia prima, con caratteristiche costanti nel tempo. Il cru invece indica che la tavoletta è ottenuta da un solo tipo di cacao, oppure da un cacao proveniente da un’unica zona. In questo caso la qualità quindi sarà maggiore.
Nella degustazione che proponiamo di seguito comparando i vini selezionati ad alcune tipologie di cioccolato si tiene conto anche del sistema di degustazione dei due prodotti. In entrambi i casi, sia per il cioccolato sia per il vino, la degustazione si divide in tre momenti: l’osservazione del colore (nel caso del cioccolato più è chiaro più indica che è di qualità; nel caso del vino le tinte più scure indicano che è un vino pronto o addirittura maturo), l’olfazione diretta e il ritorno retrolfattivo dopo la deglutizione (nel caso del cioccolato lo si lascia sciogliere in bocca; per il vino invece si prende un sorso e si cerca di farlo aderire al meglio su tutte le pareti della bocca) e infine la valutazione gustativa dove, in sintesi, si valuta la dolcezza, l’amarezza, l’acidità, l’astringenza e l’aspetto della piacevolezza complessiva. Si può anche aggiungere un ulteriore modalità di ascolto del prodotto: quella auditiva, dove letteralmente si ascolta il suono del cioccolato che viene spezzato per capirne la consistenza. D’altra parte anche il vino suona e canta quando viene versato nel calice! Ad ogni parametro quindi viene dato un punteggio, la cui somma definirà la categoria qualitativa dei due prodotti.
Vediamo allora gli abbinamenti che abbiamo provato con i loro punti di forza. Attenzione: non adatto ai troppo golosi!
Con l’Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero 2016 abbiamo abbinato un cioccolato Chuao dal Venezuela con il 75% di cacao (consigliamo la ditta Maglio): i sentori che emergono rimandano alla frutta secca, con tendenza quasi lattea e verso sensazioni di panna. E’ un abbinamento chiaro ed elegante, da conclusione di serata, quasi meditativo. In questo caso l’acidità ancora presente nell’Amarone 2016 si sposa con quella presente nel cioccolato.
Con l’Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero 2008 abbiamo abbinato un cioccolato Carenero el Clavo proveniente dal Venezuela con il 72% di cacao (sempre della ditta Maglio). In tal caso la granella di cacao presente sulla superficie del cioccolato ci rimanda direttamente ai sentori terziari sviluppati nel vino nel corso degli anni in bottiglia. L’aspetto quindi più grezzo del cioccolato rimanda al naso e al palato sensazioni più intense e robuste, con una grande e perfetta fusione tra i due prodotti. E’ in assoluto l’abbinamento che abbiamo apprezzato maggiormente.
Con il passito Tre Filer abbiamo scelto un blend delle zone caraibiche, il Caraibe con il 66% di cacao della ditta Valrhona. In questo caso si esaltano l’equilibrio, la grazia e la dolcezza leggermente aromatica tendente al miele e ai fiori bianchi.
Con la grappa ottenuta da vinacce di Amarone abbiamo pensato di unire un blend di Criollo con l’80% di cacao della ditta Domori il cui cioccolato non contiene alcuna percentuale di burro di cacao, ma solo cacao in purezza e un 20% di zucchero. I sentori che emergono rimandano alla frutta secca, alla nocciola e alla mandorla. Con un cioccolato importante come questo ci siamo affidati ad una grappa sostenuta e potente per esaltare la dolcezza e l’armonia.
Infine un ulteriore consiglio per qualche dolce per una chiusura con eleganza. Nella serata che abbiamo tenuto in cantina dove abbiamo provato in prima persona questi bizzarri abbinamenti, abbiamo pensato di concludere la degustazione con due mignon artigianali della nostra Pasticceria La Fenice abbinati al Tre Filer, ideale con pasticceria cremosa e anche secca. La prima è una creazione dal titolo “Oro giallo” dove una bavarese allo zafferano si unisce ad un cremoso di cioccolato al latte; la seconda invece è per i veri amanti del cioccolato fondente: uno yo-yo di cioccolato realizzato con spuma di cioccolato araguani al 72% e frollino al cacao.
Si ringrazia Roberto Caraceni
vice-presidente dell’Associazione Compagnia del Cioccolato
Siamo nel 1967 a Lugana, una zona di campagna contadina, con molte meno case di quelle che si possono vedere oggi. Pochissime automobili, piuttosto carriole per trasportare alimenti, viveri, acqua e qualche damigiana di vino.
Ad un chilometro in linea d’aria dalle coste del lago di Garda si trova una piccola azienda con non più di 5 ettari di campagna attorno, animali da cortile e un grande fienile accanto ad una vecchia casa colonica. Si produce anche vino, un vino bianco contadino, agreste e forse poco raffinato, ma già allora aveva del potenziale.
Era la colazione, l’aperitivo, il pranzo e la cena delle famiglie del luogo che abitavano in Lugana.
Una lunga strada sterrata connetteva la famiglia Dal Cero che qui abitava, lavorava e viveva, con il centro del paese. Un via vai di amici, conoscenti e parenti solcava a piedi quella stradina chiedendo vino sfuso in damigiana per rispettare la tradizione del luogo. Dal lunedì al sabato. Gli orari di apertura erano solo un modo di dire. Rosa e Pietro accoglievano con ancor più gioia i passanti della domenica, quando, lontani dal lavoro in vigna solo per qualche ora, mostravano con voglia di condivisione e qualche bicchiere di vino la loro tenuta.
Qualcosa cambia
È forse proprio da questo interesse verso il vino sempre più profondo da parte della gente a far emergere in Pietro la volontà di dare un riconoscimento a quel prodotto, cercare di raffinarlo, migliorarlo, rendendolo più appetibile con i piatti locali contadini.
Vedeva che il territorio del Lugana poteva avere del potenziale se ci si metteva in ascolto della Natura del luogo.
Una zona paludosa (anticamente silva lucana) e ricca di acquitrini fino al medioevo, bonificata dai frati, resa coltivabile e da allora sempre sfruttata. Il lago non poteva che essere d’aiuto: la sua origine glaciale ha da sempre fornito ricchi minerali e grande freschezza. Il clima del Lugana è un altro punto a suo favore: una baia a cavallo tra due regioni sempre riparata e ventilata al punto giusto.
La vite non poteva che risorgere qui dopo gli attacchi di peronospora e oidio. La composizione del suolo sabbiosa in collina e argillosa verso il lago ha giocato un ruolo notevole.
Il disciplinare: un documento nato dal niente
Pietro Dal Cero, insieme ad altri contadini lungimiranti della Lugana, è stato tra i firmatari del primo disciplinare per la DOC del Lugana nel 1967. Nasce così la prima Denominazione di Origine Controllata della Lombardia.
Solo due anni dopo Ca’ dei Frati rivoluziona il suo mercato vinicolo trasformando la produzione: da vino sfuso si passa alla bottiglia di Lugana I Frati. Una bottiglia renana verde scura, allungata, come era in uso all’epoca. L’etichetta rappresentava il marchio lasciato dai Frati Carmelitani che abitavano la tenuta nella metà del XV secolo. Già si notava la volontà di riconnettersi con le antiche radici del territorio e con la sua storia strettamente locale e artigianale.
La DOC oggi
Nella DOC oggi rientrano cinque comuni del lago e dell’entroterra: Sirmione (sotto cui rientra la frazione di Lugana), Peschiera del Garda, Pozzolengo, Lonato e Desenzano del Garda. Si tratta di un areale di 2500 ettari vitati con una produzione di circa 25 milioni di bottiglie all’anno in totale. Sono otto le cantine che si impegnano nella produzione di questa DOC nel comune di Sirmione: la posizione strategica vicina al lago, pur restando in campagna, attira turisti e curiosi, soprattutto in anni più recenti.
Il vitigno principe per questa produzione è la Turbiana, facente parte della grande famiglia dei Trebbiani italiani, con un DNA studiato a lungo dal professor Attilio Scienza e dall’Università di Milano. Ne è emersa una vicinanza a vitigni bianchi tipici di zone poco distanti come il trebbiano di Soave e il Verdicchio, suoi fratelli.
La sua freschezza e tipicità nel bicchiere al naso e al palato sono state esaltate da scrittori e poeti non solo in anni recenti, come nella celebre poesia di Luigi Veronelli, che elogiava il Lugana con qualche anno sulle spalle, ma anche in passato. Tra le più antiche citazioni, insieme a quella di Agostino Gallo del XVI secolo nelle “Venti giornate dell’agricoltura”, ricordiamo quella della fine del Cinquecento di Andrea Bacci che esaltava proprio “i trebulani” prodotti nelle nostre zone, dove “trebula” indicherebbe anticamente un vino casereccio e di paese.
Per scoprire ulteriori curiosità sulla storia della famiglia Dal Cero, presente in Lugana dal 1939, e sulla produzione di questa DOC così speciale e delimitata territorialmente ti invitiamo a partecipare a uno dei tour gratuiti della tenuta prenotabile online da qui.
Formaggi e vini: quale abbinamento più goloso ed enogastronomicamente perfetto? Dopo la serata avvenuta a settembre in cui ci siamo focalizzati sull’abbinamento tra formaggi e vini in cantina con una serie di numerosi assaggi, traiamo qui le somme e vi proponiamo alcuni abbinamenti gustosi e geniali con i nostri vini.
Innanzitutto c’è da distinguere due tipologie di abbinamenti: quelli per assonanza, in cui il grasso del formaggio si sposa alla dolcezza e alle morbidezze del vino, e quelli per dissonanza, dove un formaggio più amaro, ad esempio, viene smussato dall’alcolicità del vino. Nel primo caso le due referenze abbinate vanno “d’amore e d’accordo”, nel secondo caso invece si bilanciano, sono tra loro complementari. In linea di massima infatti è necessario che i due protagonisti dell’abbinamento non si sovrastino a vicenda: nessuno deve uscire totalmente vincitore al palato. Quando il pairing risulta perfetto lo si percepisce perchè tocca e fa esplodere le emozioni giuste, facendo emergere entrambe le espressioni alimentari.
Durante la degustazione del formaggio inoltre si usano le mani: il formaggio va spezzato e osservato: come sono le sue occhiature? Come è il suo colore? Ma soprattutto si analizza il sottocrosta, il cui colore è forse ancora più importante della crosta stessa. Per questa ragione quando si abbina il formaggio al vino si forniscono pezzi di formaggio sempre muniti di crosta. Il formaggio poi si annusa per qualche istante, poi lo si porta alla bocca (tralasciando la crosta, ma non sempre! Dipende dalla tipologia di formaggio) e solo a questo punto, si beve un sorso di vino per provarne l’abbinamento. Si consiglia inoltre di fare una breve analisi sensoriale del vino in precedenza, osservando colore, persistenza e bouquet al naso e infine caratteristiche al palato e resto-olfattive dopo aver deglutito.
Di seguito quindi potrai prendere spunto per le prossime tue cene famigliari e in compagnia di amici per esaltare al meglio il prodotto morbido e gustoso del latte abbinato al nostro nettare bacchico.
COMTE’ AOP
Consigliato con l’Amarone della Valpolicella DOCG Pietro Dal Cero. Si tratta di un formaggio proveniente dalla Francia, con oltre 24 mesi di stagionatura. Sebbene con l’Amarone il tipico abbinamento sia con il Monteveronese stravecchio di malga, in questo caso ci lanciamo in un abbinamento davvero originale e saporito.
Di questo formaggio se ne producono forme piuttosto grosse e lo si può trovare in tante e diverse stagionature perchè va abbinato a cibi diversi di solito appartenenti alla tradizione francese. Proprio per questa ragione il sottococrosta ha tante e diverse sfumature, al tatto pare perfino seta: questo è proprio il suo valore, la sua caratteristica. In bocca ha un finale molto vegetale, quasi ricorda il minestrone o la vellutata di verdure, ma anche il porcino e il caramello. Ed è proprio con queste particolari note che si può avvicinare senza troppa timidezza ad un Amarone anche un po’ maturo, come il nostro 2011. Il loro abbraccio infatti fa percepire sensazioni fumè, in seguito speziate, anche che guardano all’oriente, e anche una leggera percezione di zenzero.
OTTO PETALI
Consigliato con il nostro Brolettino per la pienezza e la rotondità, la persistenza e il bouquet intenso che presenta il formaggio. Il suo tipico sentore è quello della mela che risalta in questo abbinamento: il Brolettino infatti, trattandosi di un 100% Turbiana, ha tra i suoi sentori più caratteristici quello della mela appena tagliata, fragrante. La forte intensità aromatica tra i due elementi permette loro di equilibrarsi alla perfezione.
L’Otto Petali che abbiamo scelto viene dal caseificio Koch da Gonten, Appenzeller, in Svizzera, che è una zona tipica di formaggi amari e dalle grosse dimensioni. Ha alle spalle almeno 40-50 giorni di stagionatura poi la forma viene immersa in ben otto tipi diversi di fiori e corolle: il formaggio e i petali restano così sigillati insieme per almeno 2 o 3 mesi. Sulla crosta del nostro formaggio alla fine si trovano proprio i medesimi petali di fiori perchè durante la sua realizzazione viene posto in contenitori con adatti a contenere poco ossigeno, il formaggio quindi si allarga e assorbe l’olio essenziale rilasciato dai fiori durante questo lungo periodo. La forma viene poi asciugata e messa in vendita. I petali depositatisi sulla crosta donano al naso sentori di fiori, spezie, anche di sesamo, inoltre tipiche sensazioni vegetali e di glutammato (più noto come umami).
CRABEI
Consigliato con La Rosa dei Frati per la sua grande sapidità, salinità e tanta frutta rossa. In questo caso si tratta di un abbinamento complementare di aromi che stanno bene insieme, arricchendosi vicendevolmente.
Il Crabei che abbiamo scelto proviene dal caseificio Picciau, in Sardegna, nella zona di Cagliari dove usano il latte di pecore e capre per fonderne poi insieme il latte. È stato nel 2012 perfino il miglior formaggio al mondo: se ti capita di trovarlo quindi vale assolutamente una degustazione! Per realizzare questo formaggio si utilizza il latte delle tipiche pecore sarde, caratterizzate da un pelo molto lungo. Tuttavia la regola vuole che durante l’inverno il Crabei sia realizzato con il solo latte di pecora, durante l’estate invece vada aggiunto un 15% di latte di capra, il cui tipico sentore è quello di yogurt. Il latte di pecora, in particolare, ha tanti grassi concentrati, ed è sotto solo alla bufala, regalando così un colore particolare al latte e al formaggio.
Il Crabei è considerato un formaggio speziato: si sente molto bene all’assaggio il pepe nero e il mirto. Con un calice di Rosa dei Frati andiamo ad infittire queste percezioni di frutti di bosco e sottobosco in un’unione perfetta.
PECORINO FRESCO
Consigliato con il Lugana I Frati perchè si abbinano e si mettono a confronto due prodotti iconici di due territori autentici. Inoltre si tratta di un abbinamento “rispettoso” nel nostro caso, perchè esalta di più il vino Lugana che è tipico delle nostre zone, sostenendolo in struttura e limando la perfezione dell’alcool.
Il pecorino fresco che abbiamo scelto arriva dalla società agricola Cau & Spada da Sassocorvaro Auditore (PU) nelle Marche, un luogo che dal 1970 ha pascoli davvero molto importanti e riconosciuti. Dal formaggio, grazie a questa specifica territoriale, emergono sia dolcezza sia una percezione molto floreale perchè il territorio dei pascoli è ricco di fiori e piccoli frutti. E’ incredibile come già al naso si possa percepire il profumo del campo e delle campagne da dove proviene. Entra timido e si fa largo piano in bocca: questa caratteristica si sposta in modo eccellente con le note sapide e fresche del Turbiana. Tipica del formaggio è inoltre la dolcezza, cui segue una marcata sapidità, che poi esplode in una percezione di miele millefiori e miele di ailanto, banana e agrumi esotici, cui fanno da controparte le note fruttate e floreale di mela verde, pera e gelsomino del Lugana I Frati.
BARON BIGOD
Con questo formaggio consigliamo il Pratto perchè ha un equilibrio perfetto grazie alla sua frutta esotica e matura derivata da una vendemmia tardiva di Turbiana, unitamente al blend di Chardonnay e Sauvignon Blanc.
Più che un di formaggio in questo caso dobbiamo parlare di crema. Il nome è fuorviante: ha un nome francese, ma la sua provenienza è inglese. Quello che abbiamo scelto è di Wales & Central Scotland dalla Fen Farm Dairy, a Bungay, Suffolk nel Regno Unito. Le vacche con cui è prodotto sono francesi e producono davvero poco latte, ma ricco di grassi che quasi può essere paragonato a una crema Chantilly di pasticceria, non solo per la sua cremosi, ma anche per il colore giallo molto intenso.
È proprio una carezza per il palato, pur con una leggerissima nota amaricante. I sentori tipici sono quelli che riguardano la sfera dell’erbaceo e dell’agrumato (soprattutto si sente la scorza di arancia) che vengono bilanciati dalla percezione di frutta esotica matura del Pratto.
CLACBITOU
Consigliato con il Cuvèe Rosè dei Frati perchè la spezia del Groppello si sposa perfettamente alle note dolci di questo formaggio.
In questo abbinamento andiamo a avvalorare il contrasto tra l’acidità tipica del Metodo Classico e delle sottili bollicine del vino e la dolcezza proveniente da questo formaggio. Il Clacbitou La Racotière viene da Genelard, in Borgogna. E’ un formaggio talmente locale che perfino il suo nome è una parola dialettale del luogo, quasi a farsi marca distintiva. Di norma ha circa 30 giorni di stagionatura nei quali sviluppa un aroma tipico: il ribes rosso e piccoli frutti rossi sono caratteristici del suo bouquet al naso.
In questo caso in fase di produzione viene aggiunta della panna all’impasto del formaggio per dare più cremosità. Sono formaggi di forma piccola con una muffa bianca molto burrosa sulla crosta, anche questa caratteristica del luogo. Si aggiunga anche un’altro parametro tipico di questo formaggio: è la proteolisi del sottocrosta, ovvero molecole più piccole che compongono il formaggio, si uniscono tra loro dando forma a consistenze incredibilmente cremose.
In questo abbinamento la bollicina fine e sottile dello Spumante è in grado di ripulire il palato dopo l’esperienza della cremosità e morbidezza del formaggio, in un connubio perfetto e funzionale.
CACIOTTA CAMMARATA
La Caciotta di Luca Cammarata trova perfette condizioni in abbinamento al nostro Cuvèe dei Frati Spumante Metodo Classico.
Si tratta di un formaggio che proviene da San Cataldo, dal centro della Sicilia dove si incontrano zone aride e povere, in cui la pastorizia è ancora molto attiva e è rimasta integra da tempi immemori. Le capre, che vengono fatte pascolare e da cui si ricava il latte per questa eccellenza, sono di razza maltese, con le tipiche orecchie nere lunghe e basse. Il latte che regalano è dolcissimo, molto grasso e risente moltissimo dell’alimentazione dell’animale. Il formaggio quindi avrà note acidule, lattiche, vegetali (come il sentore di fieno) e anche di brodo leggero. Il Cuvèe dei Frati è in grado di ripulire il palato dal grasso di questo formaggio apportando però sentori molto affini quali quello del fieno, del lievitato, di biscotto e di pane.
ROBIOLA DI CAPRA
L’abbinamento che consigliamo è con il Cuvèe dei Frati Dosaggio Zero, perchè con la sua bollicina setosa crea una percezione cremosa al palato molto piacevole durante la degustazione. La Robiola che abbiamo selezionato è prodotta dal latte delle capre girgentane la cui caratteristica è quella di produrre pochissimo latte. L’azienda di cui abbiamo apprezzato l’eccellenza è l’Azienda Agricola Montalbo, situata ad Agrigento.
I sentori che emergono prepotentemente da questo abbinamento in perfetto equilibrio sono: agrumi (tipici di Sicilia), le noci e la frutta secca in generale, con note anche di frutta tostata.
GRANA PADANO
Non poteva mancare nella nostra selezione, abbinato divinamente al nostro Ronchedone.
Per provare questo semplice ma incredibile abbinamento consigliamo di fare delle scaglie di formaggio piuttosto sottili così da lasciare che si sciolga facilmente sulla lingua mentre beviamo un sorso di Ronchedone e ne testiamo la finezza. Il formaggio che abbiamo scelto ha trentasei mesi di stagionatura, Grana Padano Biologico solo fieno da San Pietro, a Brescia. Alla vista è marmoreo a causa degli amminoacidi che creano dei piccoli pois, segno che il latte è di altissima qualità. Le vacche da cui si ricava sono soprattutto le classiche pezzate rosse e anche qualche bruna alpina (la cosiddetta “regina del latte”) con le frisone.
E’ un formaggio molto secco, già nella percezione che se ne ha nelle mani. Il vino però ha una grande morbidezza, un corpo ben strutturato e un intensità elevata ed è quindi capace di apportare quando manca al formaggio. Dal punto di vista aromatico il Marzemino ci porta alla memoria note di piccoli frutti rossi, con una parte minerale caratteristica delle zone del basso lago. Il Sangiovese invece porta tannino e il Cabernet un’elegante sensazione erbacea. Tutti e tre questi vitigni sanno legarsi perfettamente al Grana Padano che, proprio grazie alla sua avanzata stagionatura, richiede vini strutturati cui essere abbinato.
GRUYERE ALPAGE VOUNETZ RESERVE 2019
L’abbinamento che questo formaggio richiede è con il nostro passito Tre Filer, dove la sapidità del Turbiana e la dolcezza dell’uva surmatura si trovano in un perfetto connubio con questo formaggio svizzero.
Il Tre Filer infatti è un vino passito intenso, ma con una dolcezza molto delicata e assolutamente non stucchevole che rimanda sensazioni di frutta esotica, anche ben matura, in particolare albicocca, mango e banana. Il formaggio, dal canto suo, ha le note caratteristiche al naso di rosa, ananas, agrumi ed erbe aromatiche, contribuendo a quanto già percepito nel vino.
Si tratta di un formaggio compatto e gessoso, molto grasso. E’ da qui che emergono sentori di frutta esotica, soprattutto dopo qualche anno di stagionatura.
Speriamo di averti fatto incuriosire con questi abbinamenti speciali e di averti fatto scoprire nuove eccellenze italiane e non che ben si sposano con le nostre referenze.
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E’ estate e tanto si discute sulle temperature di servizio più corrette per servire il vino ad amici e parenti in occasioni speciali, spesso temendo la lamentela del “sommelier” tra gli invitati che commenta il vino sul tavolo lamentando il grado di servizio.
Alla fine, si pensa, è proprio quel grado in più o in meno che fa la differenza? In parte sì, perché è proprio la temperatura di servizio che incide sulla degustazione, sulla percezione delle morbidezze e delle durezze del vino, in particolare di quelli molto alcolici. Senza esagerare con l’ossessione della temperatura perfetta, si può tuttavia con qualche pratico consiglio trovare un equilibrio utile per servire il vino in occasioni di svago e divertimento senza rovinare la percezione del prodotto e coronare così un bell’incontro. Perchè si sa, quando c’è un vino buono e gradito sulla tavola, servito come si deve, tutta la compagnia apprezza, anche i non intenditori.
Innanzitutto un buon metodo per servire il vino alla giusta temperatura in estate è metterlo in frigo a qualche grado in meno rispetto alla temperatura di servizio consigliata, cosicché, una volta portato in tavola, il caldo estivo dell’ambiente vada velocemente ad alzarne la temperatura, portandola quindi al grado corretto per la bevuta.
Vediamo quindi le temperature consigliate per ogni tipologia di vino.
Partiamo dall’aperitivo che si associa generalmente alle bollicine, un modo scoppiettante per iniziare la festa. Per le loro caratteristiche intrinseche, questi vini richiedono le più basse temperature a cui si serve il vino: circa 6-8 gradi centigradi. In questo modo si esalta la freschezza e l’acidità di questa tipologia di vini, in particolare per il metodo classico in cui viene esaltata la bollicina, così fine da far percepire sulla lingua punture di piccoli aghi. Nel caso di Ca’ dei Frati a questa temperatura di servizio vanno serviti lo spumante Cuvée dei Frati Dosaggio Zero, il Cuvèe dei Frati bianco e il Cuvèe Rosè. Si aggiungano anche la freschezza, la mineralità e la sapidità intrinseche al Turbiana, il vitigno autoctono con cui vengono realizzati i vini dell’azienda, esaltate ancora di più da una temperatura di servizio piuttosto bassa.
A 10-12 gradi centigradi vanno serviti vini bianchi leggeri: è il caso del nostro Lugana I Frati, che, pur avendo poco di “leggero” con un grado alcolico che tocca i 13 gradi, tuttavia per una bevuta rinfrescante al palato può essere servito proprio intorno ai 12 gradi centigradi. Anche il vino rosato La Rosa dei Frati, realizzato in acciaio con uve Marzemino, Sangiovese, Groppello e Barbera può rientrare in questa categoria, che fa esaltare i suoi profumi di rosa e fragolina di bosco e la sua facile beva.
La temperatura di 12-14 gradi centigradi è consigliata invece per bianchi più corposi e strutturati, che prevedono magari anche un passaggio in botte. E’ il caso del nostro Brolettino, realizzato con il vitigno Turbiana e affinato in barriques di rovere francese nuove per circa 8 mesi. La texture più vellutata e i profumi viranti su note di frutta matura, anche esotica, si prestano ad una temperatura un poi più alta rispetto ai classici vini bianchi. In questa categoria rientra anche il Pratto, un blend di vitigni internazionali, Chardonnay e Sauvignon, uniti al vitigno autoctono del Lugana, il Turbiana, di cui vi si trova la percentuale maggiore. In questo caso l’aromaticità che emerge dai vitigni internazionali unitamente alla struttura sapida e minerale del Turbiana rendono questo vino adatto ad una temperatura di servizio che si aggira attorno ai 13 gradi centigradi.
Per vini rossi non da lungo affinamento la temperatura di servizio più adatta è tra i 16-18 gradi centigradi, dove l’alcolicità viene un po’ smorzata dal mantenimento di una temperatura ancora piuttosto fresca. E’ il caso del Ronchedone, il vino rosso che produciamo con uve locali, in una zona tuttavia più votata ai vini bianchi. Il Marzemino, il Sangiovese e il Cabernet che compongono questo vino esprimono il meglio attorno ai 15 gradi centigradi, che permettono di esaltare le note di frutti rossi e la texture arrotondata dovuta ad un passaggio in barriques di rovere francese per circa 14 mesi.
Per i vini rossi corposi come l’Amarone Pietro Dal Cero la temperatura ideale si aggira attorno ai 18-20 gradi centigradi che sono necessari per smorzare la percezione della forte alcolicità tipica dei vini da lungo affinamento. Questa temperatura esalta al naso il profumo della marasca, caratteristico dell’Amarone, ma anche di frutti rossi in composta, facendo percepire in questo modo la firma dell’enologo Igino Dal Cero nel valorizzare in tutti i vini i sentori primari, proprio quelli che derivano dal frutto.
Per i vini dolci e i passiti si consiglia invece la temperatura che varia tra i 12 e i 14 gradi centigradi. Il nostro Tre Filer, passito a base di Turbiana, dolce ma non stucchevole, viene valorizzato da una temperatura che si aggira attorno ai 13 gradi centigradi, anche nelle stagioni più fresche, magari abbinato ad una torta morbida e delicata ricca di burro o ai classici Cantucci.
Se dobbiamo osare facciamolo fino in fondo! Si potrà mai bere Amarone con 35°C all’ombra? Sembra quasi una provocazione eppure non possiamo pensare che un grande vino come il re della Valpolicella possa essere lasciato nello scaffale della cantina per tre mesi e poi ripreso solo quando la temperatura inizia ad essere più piacevole.
Non si spiegherebbe perché migliaia e migliaia di persone che visitano la Valpolicella si fermano in cantina a degustare questa prelibatezza delle colline veronesi.
La cucina, come il vino, possono essere estremamente versatili e questo è il bello dell’enogastronomia. Fissare dei paletti e imprigionare nei pregiudizi o nelle teorie assolute cibo e vino fa male al desiderio di scoperta che è insito nell’uomo.
Proveremo dunque a suggerire alcune tipologie di abbinamenti per questa estate che quest’anno è partita molto in anticipo e che si sta prospettando veramente molto tosta.
Prima di tutto!
Parliamo di tipologia di Amaroni. Fondamentalmente ce ne sono di due categorie: Amaroni stilisticamente di grande corposità ed estrattivi con valori sempre importanti di alcool, tannino e comunque eccellente acidità (la nostra annata 2008); Amaroni più “sottili” con una minor concentrazione e una alcolicità meno pronunciata. Si tratta di due espressioni da annate diverse che accolgono l’interesse di pubblici differenti e comunque molto ampi. Meglio i primi o i secondi per l’estate? Tutto ciò non dipende dai gradi di temperatura esterna ma, semplicemente, dai gusti delle persone che scelgono i vini. Questa è una variabile insindacabile.
Il fattore S
Parliamo ora di una cosa molto importante. Il servizio del vino. A quale temperatura di servizio è meglio presentare in tavola un Amarone durante il periodo estivo? Si sa che normalmente il vino dovrebbe essere sempre servito ad una temperatura più bassa di quella indicata nei libri dei Sommelliers. Per un motivo molto semplice: dal momento che il vino esce della bottiglia inizia subito a risalire di temperatura, avvicinandosi a quella dell’ambiente. Nei periodi estivi, quindi, soprattutto per vini rossi di grande struttura, sarebbe meglio uscire a temperature ancor più basse del solito. Il consiglio quindi è di uscire ad un valore di 10 – 12°C. Il tempo di permanenza a questa temperatura da parte del vino, soprattutto quello con un grado alcolico più elevato, è di pochi minuti. Già dopo tre o quattro minuti il vino riconquista due gradi di temperatura nel bicchiere. Per questo se si è all’esterno e si apre una bottiglia sarebbe sempre meglio usare delle eleganti glacette prerefrigerate.
Partiamo dai salumi
Tutto si gioca sul filo delle temperature. Anche i salumi hanno le loro regole di servizio, ma in estate dobbiamo capire che servire in esterno un salume con troppo caldo potrebbe creare grosse problematiche di tenuta della fetta e, soprattutto, passare inesorabilmente da uno stato solido aduno liquido in brevissimo tempo. Consigliamo quindi anche per i salumi una temperatura più bassa di quella normale e una temperatura del piatto molto fredda.
Culatello, Coppa e Amarone. Se dovessimo scegliere un salume di grande profilo organolettico con intensità, persistenza e rara piacevolezza adatto ad un vino con una grande personalità il Culatello di Zibello DOP sarebbe ottimale. Se avesse una stagionatura oltre i 24 mesi, meglio ancora. Un altro salume ideale da abbinare al grande vino della Valpolicella in estate è la Coppa Piacentina DOP, anche qui molto stagionata che sprigiona tutta la sa potenza aromatica e intensità organolettica.
Metti un Pietro Dal Cero con un Maiale Tranquillo. Quando in salumeria si utilizzano maiali pesanti che vanno oltre i 300 kg e che hanno vissuto una vita da nababbi in spazi molto ampi, bradi, con una alimentazione “stellata” o da grande trattoria tipica di territorio, vale la pena pensare a un Amarone opulento con una bella acidità. Quando si parla di salumi di questa tipologia non si può non pensare al Salumificio Bettella unico nel suo genere in Italia con le sue Coppe XXL, il Crudo di Spalla e il Lombo Stagionato XXL.
Che Cacio Bevi?
Il formaggio risente moltissimo delle alte temperature. Soprattutto se è a latte crudo e di stagionatura importante. Per questo motivo se, in inverno è sempre meglio tirarlo fuori dal frigo qualche minuto prima, d’estate è sempre meglio servirlo in contenitori raffreddati in frigorifero che mantengano il più possibile la temperatura del prodotto. Per evitare che si surriscaldino in fretta anche in questo caso è meglio presentarli sempre più freddi del solito. Vedere un formaggio che si squaglia e rilascia il suo olio è semplicemente rivoltante.
Amarone giovane? Monte Stravecchio! C’è un formaggio che proviene dai Monti Lessini e si produce solo nei mesi estivi quando le vacche bruno alpine sono al pascolo. E’ un presidio Slow Food e sono ormai pochi i produttori che lo stagionano per almeno due anni. Ha una piacevolissima cremosità al palato data dalla sua componente grassa che si fonde piacevolmente con un Pietro Dal Cero un po’ più giovane e fruttato.
Amarone in Riserva. Per un amarone Pietro Dal Cero in versione particolarmente affinata e la sua ottima speziatura, si consiglia uno dei più grandi formaggi pecorini al mondo he viene prodotto in Toscana: La Riserva delFondatore di Angela e Simone del Caseificio Il Fiorino. Un’esperienza sensoriale unica, emozionante, d’assaggiare a bordo piscina.
Amarone in Primis
Cacio & Pepe per un Amarone dinner. Il contrasto a caldo tra la forza del pepe nel pecorino stagionato e un Pietro Dal Cero a temperatura più fresca dove fusione delle spezie crea una particolare suggestionearomatica. Una soluzione per una degustazione più finger food è l’utilizzo della crema cacio & pepe fredda su un crostone di pane nero e un sorso dello stesso Amarone a bassa temperatura.
Tagliolino al Tartufo bianco con della stracciatella fredda in uscita. Tutta la suadenza della crema di latte che avvolge l’aromaticità del tartufo e la rende ancora più morbida per l’abbinamento morbido con l’Amarone.
Fuori i secondi
Tartare di Angus femmina allevata allo stato brado con tartufo nero estivo e Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Reggio Emilia. Estasi assoluta da sostenere con un sorso di Amarone Pietro Dal Cero.
Guancia di Maiale croccante con una salsa ottenuta dalla riduzione di Amarone della Valpolicella e spezie tra cui Pepe di Lampong, chiodi di garofano e cannella, quest’ultima servita fredda.
Dolce, Amaro, Amarone
Se c’è un prodotto dolce che funziona benissimo con l’Amarone Pietro Dal Cero è il Cioccolato! Perché?
Sono entrambe afrodisiaci e contengono quantità simili di tannini e flavonoidi.
Per questa tipologia di prodotto si consiglia di abbinarlo semplicemente a delle barrette di un cioccolato fondente almeno al 55% fino ad un 80%, oltre non è consigliato perché potrebbe diventare troppo amaro.
Si consiglia del Criollo del sud America oppure del Chuao Venezuelano. Per gli amanti delle spezie delle tavolette di Cioccolato di Modica alla Cannella oppure per chi ama un tasting vintage, l’intramontabile boero alla ciliegia sotto spirito.
Per una mousse, scegliete una polvere di cacao Criollo Porcelana morbido, rotondo e molto intenso.
Bernardo Pasquali
Premio Brand Ambassador Agroalimentare Italia 2019
Alumno Corso Alta Formazione in Legislazione Alimentare Università del Piemonte Orientale
Maestro Assaggiatore di Formaggi ONAF Delegazione di Bergamo
Wine & Food Brand & Trade Manager
Chevalier de la Confrerie Embrasseur du Fin Goulot de Montagny, Bourgogne
www.italianwinejournal.it
Scrittore
Donne in vigna, 2010 – Biblioteca Vinibuoni
I Vini d’Europa, 2010 – Gambero Rosso e Gazzetta dello Sport
Con la terra tra le mani, 2011 – Cierre
Scintille, 2013 – Zeni. Bernardo Pasquali & Giò Martorana Photographer
Sparkling Italy, 2013 – Electa Mondadori. Introduzione al libro di Giò Martorana Photographer
Storia Moderna del Vino Italiano, 2016 – Skyra. Walter Filputti, Attilio Scienza, Carlo Petrini e AA.VV.
I Classificato, Premio Internazionale Poggi Venezia 2009, Giornalismo e Letteratura Enogastronomica
Il periodo della vendemmia è ormai molto lontano: settembre, con le sue tinte verdi quasi gialle ci regala l’emozione della raccolta, delle api attratte dal dolce mosto nato dalla pigiatura, dei canti popolari sotto il sole e delle mani grinzose che regalano le ultime carezze ai grappoli. In gennaio pare un lontano ricordo ormai, ma l’Amarone è in grado di rievocare ancora le medesime emozioni con la sua pigiatura “in ritardo”.
A metà gennaio infatti la nostra attenzione è rivolta alla Valpolicella quando le uve tenute in fruttaio sono pronte per essere pigiate e otteniamo così un mosto dolcissimo e scuro, derivato dalla nota e celebre Corvina.
Ma andiamo con ordine e scopriamo un viaggio lungo e ricco di passione tra uomo e natura.
Le uve per la produzione dell’Amarone vengono raccolte verso la metà di ottobre, quando la maturazione è già avanzata. Si tratta infatti di uve rosse che necessitano di molto calore e di molta luce per maturare al meglio e la Valpolicella è una terra in grado di fornire tutto questo nel migliore dei modi. I vitigni che vengono coltivati per l’Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero sono la Corvina, uva principe dell’Amarone, il Corvinone, la Rondinella e la Croatina, tutte uve permesse dal disciplinare di produzione. Già con una spensierata passeggiata in vigna verso fine settembre si può gustare un’uva ricca di dolcezza, dal grappolo ricco, forte e compatto che allude alla forza che sarà in grado di donare dopo parecchi anni nel bicchiere. Queste uve inoltre nascono su un terreno molto particolare: la marna, una roccia sedimentaria che contiene una parte di argilla in grado di rinfrescare il calice e portare grande struttura al vino.
La vendemmia avviene verso la fine del periodo ad essa normalmente dedicato, quando le uve sono ormai ben mature dopo essere state baciate svariati giorni dai raggi del sole. E’ questo che le trasforma: da verdi maturano e crescono a vista d’occhio, sempre più timide, arrossiscono a tal punto da diventare di un rosso scuro, quasi nero. E’ solo allora che il vignaiolo inizia la sua raccolta svolta rigorosamente a mano.
Nel caso di Ca’ dei Frati, le uve vengono colte dalla pianta dalle amorevoli “balie dell’Amarone”: le mani calde e maestre di un gruppo di donne venete regalano gli ultimi abbracci a questi grappoli pronti a dare il meglio in cantina. Lo sguardo vigile femminile sceglie in vigna quali grappoli raccogliere: i più belli, i più formosi, i più maturi. Le uve poi non subiscono immediatamente il processo di pigiatura per estrarre il dolce nettare, ma vengono lasciate riposare per qualche mese in un grande ed accogliente fruttaio, da ottobre fino alla metà di gennaio.
In questo lungo sonno i grappoli si rilassano, perdono acqua e concentrano la loro parte zuccherina, si raggrinziscono, maturano col tempo e forse diventano un po’ più saggi, motivo per cui l’Amarone è un vino da meditazione. I venti della zona, provenienti dal parco boschivo della Lessinia, favoriscono questo processo di naturale disidratazione con il loro flusso, entrando ed uscendo dal fruttaio, dando il buongiorno e augurando buona notte alle nostre uve. Lo sguardo costante e attento dell’agronomo permette loro di abbassare le difese e di darsi totalmente a madre natura.
E poi arriva ogni anno sempre puntuale gennaio. Un mese freddo, il mese della ripresa delle attività dopo le feste, il mese in cui il produttore si ricorda di quei dolci grappoli scuri raccolti a ottobre, lasciati in Valpolicella a svolgere il loro corso. Il fruttaio è allora una gioielleria di piccoli zirconi scuri incastonati attorno ad un raspo magro che ha terminato da tempo la sua funzione. Inizia così la pigiatura di questa uva fragile e rara: durante il suo lungo sonno la parte zuccherina si è concentrata sempre di più, perdendo una grande percentuale di acqua contenuta originariamente nei turgidi acini. Una vera e propria disidratazione. Una volta ottenuto così il mosto questo viene trasformato in vino grazie all’azione dei lieviti che con il loro chiacchiericcio portano a fermentazione il nettare bacchico. La vera magia sta proprio in questa trasformazione: il mosto diventa vino e lo zucchero concentratosi nell’uva lasciata appassire viene svolto in alcool, donando struttura e consistenza al vino.
Ma non è finita qui la storia del nostro Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero DOCG. Per parlare al meglio di sé l’Amarone richiede ancora qualche anno di permanenza in cantina per imparare l’abc e diventare un vero adult0. Quindi si accinge ad intraprendere un viaggio formativo di almeno due anni, diciamo un bel Grand Tour, in legno francese, in ruvide barrique di rovere nuovo che restano in Valpolicella durante tutto il periodo. Infine il suo percorso termina in una nuova culla: la bottiglia, in vetro, resistente, scura e robusta per contenere amorevolmente negli anni il vino. E’ qui che sviluppa il suo vero carattere. Nel caso di Ca’ dei Frati, il vino viene lasciato in bottiglia per almeno tre anni o anche più: questo periodo di riposo smusserà i tannini astringenti della Corvina, regalerà ricche note al naso e al palato e una maggiore struttura: sarà una vera sorpresa stappare una di queste bottiglie!
I frutti del viaggio che l’Amarone compie dal grappolo al vino fino alla bottiglia è lungo ed impegnativo, a tratti tortuoso e spesso molto delicato. Sono bottiglie che chiedono un grande rispetto e che sanno donare e raccontarsi molto nel bicchiere: hanno una storia da narrare, un luogo, una terra, una passione, tutto nell’avvolgente e setosa carezza di un sorso di vino.