La vendemmia rappresenta uno dei momenti più importanti nella produzione del vino, un processo che unisce tradizione e conoscenze tecniche per garantire il massimo della qualità e i migliori risultati dopo tanto lavoro e fatica nel vigneto. La raccolta delle uve è davvero una fase cruciale, che influisce direttamente sul risultato finale del vino, sia esso rosso, bianco o rosato.
Ma quali sono le varie fasi della vendemmia? Come si decide il momento giusto per raccogliere le uve? E cosa succede dopo la raccolta?
Quando raccogliere: il momento ideale
La vendemmia inizia con una domanda fondamentale: quando raccogliere l’uva? La scelta del momento giusto dipende principalmente dalla maturazione del frutto stesso, che a sua volta è influenzata da diversi e numerosi fattori, spesso dipendenti dalle condizioni della natura del luogo:
Varietà dell’uva: ogni varietà di vite ha il suo periodo ideale di maturazione, ancor più se si tratta di uve “autoctone” che crescono e rendono particolarmente bene nell’ambiente in cui si trovano.
Condizioni climatiche: sole, pioggia, temperatura e ventilazione influiscono moltissimo sullo sviluppo dei grappoli. Anche il meteo della stagione in corso influisce sia sulla maturazione delle uve, sia sulla vendemmia stessa (in caso di numerosi giorni di pioggia la vendemmia potrebbe prolungarsi molto, con il rischio di oltrepassare il grado perfetto di maturazione e quindi il momento migliore della raccolta).
Condizioni del suolo: il tipo di terreno (nel caso del Lugana si tratta di suolo argilloso, sabbioso e calcareo) può favorire o rallentare la maturazione.
La maturazione dell’uva invece viene valutata dagli agronomi tramite l’osservazione di tre aspetti chiave:
Maturazione zuccherina: misurata tramite il contenuto di zucchero (fruttosio) nell’uva, che influisce sul futuro grado alcolico del vino.
Maturazione fenolica: riguarda la presenza di tannini e polifenoli, particelle contenute negli acini, fondamentali per il colore e la struttura dei vini, soprattutto rossi.
Acidità: un’adeguata acidità assicura freschezza ed equilibrio al vino, soprattutto nei bianchi e in modo particolare nel Lugana DOC.
Per determinare il momento esatto della raccolta, i viticoltori utilizzano strumenti specifici, come il rifrattometro per misurare il grado zuccherino del succo d’uva e l’acidimetro per valutarne invece l’acidità. Una volta che l’uva ha raggiunto l’equilibrio ideale tra questi fattori, solo allora si procede alla raccolta, che nel caso di Ca’ dei Frati è svolta totalmente a mano per poter selezionare solo i migliori grappoli e per poter tornare due volte in vigna per raccogliere nello stesso vigneto uve con gradi di maturazione differenti.
La raccolta manuale: un’arte di qualità
Anche se esistono numerose possibilità e tecniche di raccolta meccanizzata, la raccolta a mano è considerata la migliore per garantire la qualità del futuro vino. Questo metodo permette una selezione accurata dei grappoli, scartando quelli non perfettamente maturi o danneggiati. L’uva inoltre viene raccolta delicatamente per evitare rotture premature degli acini, che potrebbero compromettere la qualità del mosto a causa di fermentazioni che possono partire spontaneamente. Inoltre nel caso di Ca’ dei Frati dopo una prima raccolta, si torna nello stesso vigneto circa 45 giorni dopo, per raccogliere le stesse uve a un grado di maturazione diverso, per donare al vino una maggiore struttura e un migliore equilibrio tra naso e palato.
Dopo la raccolta: cosa succede alle nostre uve
Una volta raccolte, le uve vengono immediatamente trasportate in cantina per la fase successiva: la pressatura. In questa fase, si estrae il dolce succo dagli acini, attraverso una pressatura soffice del frutto, ottenendo così un mosto con il quale poi avviare immediatamente il processo di fermentazione, per trasformarlo in vino.
La pressatura: cos’è e come funziona
La pressatura consiste nello schiacciare gli acini per estrarne il succo, chiamato appunto mosto, che diventerà poi vino attraverso il processo di fermentazione. L’obiettivo è ottenere il mosto senza rompere eccessivamente i semi e le bucce, che potrebbero rilasciare sostanze indesiderate, percepibili di conseguenza nel vino.
Esistono in particolare tre tipologie principali di pressatura, a seconda del tipo di vino che si vuole ottenere:
Pressatura per i vini bianchi: per i bianchi come il Lugana DOC, la pressatura avviene quasi subito dopo la raccolta e prima della fermentazione. Si schiaccia delicatamente l’uva per ottenere un mosto limpido e senza contatto prolungato con le bucce, che rilascerebbero colore e tannini (che danno sensazioni astringenti al palato). Questo processo preserva così la freschezza e l’acidità del frutto, rendendoli percepibili poi nel futuro vino.
Pressatura per i vini rossi: nel caso dei rossi, la pressatura avviene dopo una fase di macerazione in cui il succo d’uva resta a stretto contatto con le bucce per estrarne il colore, i tannini e gli aromi caratteristici. Solo al termine della macerazione (il periodo è variabile a seconda del vino rosso che si vuole ottenere), il mosto viene separato dalle bucce.
Pressatura per i vini rosati: per i rosati, la pressatura segue una macerazione breve, solitamente di poche ore. Questo permette di estrarre solo una leggera quantità di colore dalle bucce (motivo per cui il vino diventa rosa e non rosso), ottenendo il tipico colore rosato e un vino di corpo medio, fresco e delicato.
La vendemmia è un’arte che richiede attenzione e competenza in ogni fase, dalla scelta del momento giusto per la raccolta fino alla pressatura delle uve. Ogni dettaglio, dal metodo di raccolta alla tipologia di pressatura, contribuisce a definire il carattere e la qualità del vino finale. Che si tratti di un vino bianco fresco, un rosso strutturato o un rosato profumato, la cura in questi passaggi garantisce un prodotto di alta qualità, capace di esprimere al meglio il territorio e la passione di chi lo produce.
Se vuoi scoprire come è stata la vendemmia, consulta il nostro “Diario della vendemmia” con numerosi dettagli e curiosità giorno per giorno.
La vendemmia è un momento simbolico per il mondo del vino, segnando il passaggio dalla cura della vigna alla nascita di vini pregiati. È il periodo in cui si raccolgono le uve, solitamente da fine agosto a ottobre, a seconda della varietà di vite e delle condizioni pedoclimatiche. È una fase che richiede grande attenzione e anche precisione, poiché il grado di maturazione delle uve è cruciale per determinare la qualità finale del vino, il colore e gli aromi. La vendemmia può essere fatta manualmente o con l’ausilio di macchinari, ma l’obiettivo resta lo stesso: preservare l’integrità del frutto. In Ca’ dei Frati, per ottenere delle uve sane e rispettare il prodotto di Madre Natura, si preferisce una vendemmia totalmente manuale, non solo in Valpolicella, ma anche in terra di Lugana, anche laddove il disciplinare non obbliga alla manualità. La vendemmia di solito in terra di Turbiana inizia tra la fine di agosto e i primi giorni settembrini.
Le fasi della vendemmia comprendono innanzitutto la determinazione del momento ideale per raccogliere le uve. Questa decisione si basa sull’analisi della maturazione zuccherina, fenolica e acida degli acini, insieme a fattori come la varietà dell’uva e lo stile di vino che si vuole ottenere. La raccolta può essere effettuata all’alba o nelle ore serali per evitare il calore del giorno, preservando così la freschezza degli acini. Nella declinazione di Ca’ dei Frati la vendemmia è iniziata dal mattino presto fino al pomeriggio, sotto il costante controllo dell’agronomo, Gianfranco, e di Igino, enologo e produttore.
Dopo la raccolta, inizia la fase di pigiatura e diraspatura, che separa gli acini dai raspi. Questa fase in cantina viene svolta in totale assenza di ossigeno, infatti le uve appena arrivate in cantina vengono saturate di Co2 per evitare ossidazioni già a partire dal frutto e dal mosto che è in grado di donare. A seconda del tipo di vino (bianco, rosso o rosato), si potrà incontrare una fase chiamata macerazione, per il rilascio di colore rosso, se prolungato, o rosato, se il tempo di contatto è minore. Il processo prosegue con la fermentazione in vasche d’acciaio, dove avviene ufficialmente la trasformazione del mosto in vino grazie all’azione dei lieviti. Infine, i vini passano alla maturazione, che può avvenire in acciaio o legno di rovere francese in Ca’ dei Frati, e alcuni di essi possono essere affinati per alcuni anni prima di essere imbottigliati.
L’approccio di Ca’ dei Frati alla vendemmia è quello di coniugare tradizione e innovazione, ma per davvero. L’azienda si distingue infatti per l’attenzione alla viticoltura e alla vinificazione sostenibile, dove la raccolta manuale delle uve è preferita per garantire già in pianta una selezione rigorosa. Le vigne di Ca’ dei Frati godono di un microclima ideale, con il lago vicino che mitiga le temperature e il suolo calcareo-argilloso che conferisce mineralità e dona una freschezza tipica a tutti i vini qui prodotti. Questa combinazione di fattori naturali, unita alla cura della famiglia Dal Cero, si traduce in vini di grande eleganza e complessità, studiati e prodotti da ben quattro generazioni.
Il Lugana “I Frati” DOC, ad esempio, è uno dei prodotti più rappresentativi dell’azienda. Le uve sono vendemmiate con precisione, assicurando che ogni grappolo sia raccolto al giusto grado di maturazione: per questa ragione si fanno ben due vendemmie nello stesso vigneto, selezionando in una prima fase le uve da lasciare in pianta, vendemmiandole in un secondo passaggio circa 45 giorni dopo. Il risultato è un vino dalle note floreali e fruttate, equilibrato da una piacevole acidità e una struttura minerale. Ca’ dei Frati tuttavia non si limita al Lugana: la gamma comprende anche un unico vino rosso della zona, il Ronchedone, e spumanti Metodo Classico, come il Cuvée dei Frati Extra Brut, realizzati con la stessa attenzione alla qualità in tutte le fasi di produzione.
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La vendemmia rappresenta l’anima del processo vitivinicolo e aziende come Ca’ dei Frati ne sono custodi eccellenti. Grazie a una combinazione di esperienza, innovazione e rispetto per il territorio, Ca’ dei Frati continua a produrre vini che mirano a raccontare la storia e la tradizione della zona del Lugana, contribuendo a mantenere viva l’essenza della vendemmia italiana. Segui, se sei curioso, il nostro “Diario della Vendemmia” con i racconti trasparenti e direttamente dalla vigna di ogni annata.
Il territorio del Lugana DOC: un’eccellenza italiana
Il Lugana DOC è uno dei gioielli del panorama vitivinicolo italiano, situato in una zona particolarmente vocata alla produzione di vini di alta qualità. Il territorio del Lugana si estende tra la Lombardia e il Veneto, abbracciando le dolci colline che circondano il Lago di Garda: si tratta infatti di una denominazione interregionale, ovvero divisa appunto tra due regioni italiane. Sono in particolare cinque comuni nei quali si può produrre Lugana DOC: Lugana, Desenzano del Garda, Lonato, Pozzolengo (tutti nella sponda bresciana) e Peschiera (unico comune del Veneto). Questo territorio offre un terroir unico, caratterizzato da suoli argillosi e sabbiosi, ricchi di minerali, che conferiscono ai vini una spiccata freschezza e complessità, tipiche proprio del Lugana DOC, contribuendo così alla sua unicità e riconoscibilità. La parte meridionale del lago di Garda dove infatti si produce questo vino è caratterizzata da componenti moreniche che contribuiscono alla mineralità del vino. Inoltre si deve ricordare che il lago di Garda, nonostante la presenza di terme naturali con falde di acqua calda, ha origine glaciale, fatto che ha contribuito alla freschezza del suono. Nel caso di Ca’ dei Frati, i 300 ettari di proprietà aziendali si trovano sia verso le coste del lago sia in collina, sempre in un raggio di circa 20km attorno all’azienda: questo permette di ottenere una maggiore complessità nel prodotto finale, sfruttando le potenzialità di suoli diversi per la crescita dei grappoli.
La Superficie e la Produzione
Il territorio del Lugana DOC copre un’area di circa 2.500 ettari, suddivisi appunto tra le province di Brescia e Verona. La produzione annua si aggira intorno ai 18 milioni di bottiglie, rendendo il Lugana uno dei vini bianchi italiani più apprezzati sia a livello nazionale che internazionale, in particolare in Germania. Negli ultimi anni, la crescente domanda di Lugana ha portato a un incremento delle superfici vitate e a una maggiore attenzione alla qualità della produzione. Il disciplinare è nato nel 1967, come prima denominazione in Lombardia. Esso contiene tutte le regole per ottenere la fascetta della DOC. Solo due anni dopo, nel 1969 nasce in Ca’ dei Frati la prima bottiglia di Lugana DOC imbottigliato; infatti in origine questo vino era apprezzato dalle famiglie contadine locali che lo compravano sfuso in damigiane. La mentalità imprenditoriale di Pietro Dal Cero, fondatore di Ca’ dei Frati, insieme ad altri coltivatori della zona, ha fatto sì che il Lugana avesse una maggiore importanza dando così origine al disciplinare che conosciamo ancora oggi.
Le Uve del Lugana
Il vino Lugana è ottenuto principalmente dal vitigno “autoctono” a bacca bianca Turbiana, conosciuto anche come Trebbiano di Lugana. Questa varietà di uva, grazie alle particolari condizioni climatiche del lago, sviluppa caratteristiche uniche: aromi freschi e fruttati di spicco, acidità equilibrata, sapidità e un ottimo potenziale di invecchiamento. La Turbiana è l’anima del Lugana e viene coltivata in modo meticoloso per preservarne tutte le peculiarità. Si presenta con un grappolo grande e ricco di acini, piuttosto fitti tra loro. La naturale escursione termina tra il giorno e la notte dona umidità alle piante e la costante brezza del vento della baia di Lugana, il Luganott, asciuga gli acini, mantenendoli sani fino alla vendemmia.
Le Tipologie di Vino
Il disciplinare del Lugana DOC prevede diverse tipologie di vino, ciascuna con caratteristiche specifiche, e in Ca’ dei Frati puoi trovare:
Lugana DOC: Il vino che si distingue per la sua freschezza, note floreali e fruttate e una piacevole sapidità. È un vino versatile, ideale per accompagnare piatti di pesce e antipasti leggeri. Si sposa perfettamente con piatti della cucina locale o come aperitivo.
Lugana Privilegio di Famiglia: E’ un vino di grande eleganza, con aromi potenti, spesso arricchiti da sentori di frutta esotica, vaniglia e minerali. Si tratta di un Lugana affinato per almeno 5 anni in cantina prima della vendita.
Lugana Vendemmia Tardiva, il nostro Pratto: Ottenuto da uve raccolte tardivamente, questo vino presenta una dolcezza naturale bilanciata da una buona acidità, con note di frutta secca e miele. È perfetto come vino da meditazione o in abbinamento a piatti di pesce e crostacei. Nel caso del nostro Pratto, il blend oltre al Turbiana prevede Chardonnay e Sauvignon Blanc. Esiste anche la versione passito, il Tre Filer, con uve appassite naturalmente in pianta.
Lugana Spumante: Prodotto con metodo classico nel caso di Ca’ dei Frati, il Lugana Spumante è un vino fresco e vivace, con bollicine fini e persistenti e un bouquet aromatico che spazia dai fiori bianchi alla frutta a polpa gialla. In Ca’ dei Frati troverai la versione Extra Brut, con una piccolissima percentuale di zucchero, o anche la versione Dosaggio Zero, totalmente secca.
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Il Lugana DOC è un esempio brillante di come un territorio, quando valorizzato, possa dare vita a vini straordinari. La combinazione di un terroir unico, un vitigno autoctono come la Turbiana e la dedizione dei produttori locali, rende il Lugana un vino di grande personalità e riconoscibilità. È una denominazione che continua a crescere in prestigio e che merita di essere conosciuta e apprezzata per la sua capacità di esprimere al meglio la tradizione e l’innovazione del vino italiano. Ti aspettiamo quindi alle prossime visite enogastronomiche speciali che trovi qui!
In estate si sa, si ha voglia di piatti leggeri e freschi, genuini e colorati. Ma cosa c’è di meglio di unire anche un buon calice di vino alla giusta temperatura?
L’esperienza gastronomica può solo migliorare se oltre agli ingredienti freschi mettiamo in tavola anche una bottiglia alla giusta temperatura per goderci una pausa dal caldo estivo.
Ecco i nostri consigli per abbinare al meglio tutti i nostri vini d’estate (sì, anche i rossi e non solo!): lasciati ispirare e goditi il pairing consigliato dai nostri sommelier. Se hai bisogno di fare scorta di vini di Ca’ dei Frati, li trovi tutti qui al prezzo di cantina.
I Frati Lugana DOC
Piatto abbinato: Carpaccio di capesante con agrumi e olio extravergine d’oliva di Ca’ dei Frati.
Descrizione: La freschezza e le note agrumate tipiche del Lugana I Frati esaltano il sapore delicato delle capesante in crudité. L’acidità vivace del vino bilancia la dolcezza naturale delle pesce, mentre l’olio extravergine d’oliva aggiunge un tocco di eleganza, creando un abbinamento perfettamente bilanciato, fresco e genuino.
Brolettino
Piatto abbinato: Spiedini di pollo alla griglia con salsa di yogurt ed erbe.
Descrizione: Questi spiedini sono un piatto estivo che combina semplicità e raffinatezza. La grigliatura conferisce al pollo un sapore più forte e lievemente affumicato, mentre la salsa allo yogurt aggiunge freschezza e cremosità al piatto. Il Brolettino, barricato per circa 8 mesi in rovere francese nuovo, completa il piatto con la sua eleganza sapida e complessità, offrendo un’esperienza gastronomica equilibrata e sofisticata.
Pratto
Piatto abbinato: Tagliatelle con zucchine e ricotta.
Descrizione: Le tagliatelle con zucchine fresche e una crema di ricotta sono un primo piatto estivo leggero e aromatico. Il Pratto si abbina bene con la cremosità della ricotta e la freschezza delle zucchine grazie alla sua percezione dolce, dovuto al fatto che si tratta di una vendemmia tardiva; tuttavia il vino è totalmente secco e si sposa ottimamente con verdure e formaggi, anche freschi.
Rosa dei Frati
Piatto abbinato: Tartare di tonno con avocado e semi germogliati.
Descrizione: Questo rosato elegante, con Marzemino, Sangiovese, Groppello e Barbera, dagli aromi di frutti rossi e una leggera e delicata nota floreale di fiori di pesco, si abbina magnificamente alla tartare di tonno. La cremosità dell’avocado è inoltre bilanciata dalle note fruttate del vino, mentre i semi germogliati aggiungono una piacevole croccantezza, rendendo l’abbinamento fresco e sofisticato.
Ronchedone
Piatto abbinato: Tagliere di formaggi selezionati.
Descrizione: Il Ronchedone, con la sua intensità e struttura, è perfettocon una selezione di formaggi stagionati e selezionti, come il Pecorino o il Parmigiano Reggiano. Questi formaggi, con il loro sapore intenso, possono armonizzarsi perfettamente con le note strutturate e tanniche del vino rosso. I tannini infatti bilanciano la ricchezza della parte grassa del formaggio, creando un’esperienza gustativa lussuosa e ben equilibrata. Si consiglia di servire il Ronchedone lievemente fresco, attorno ai 16-18 gradi centigradi per una migliore beva estiva.
Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero DOCG
Piatto abbinato: Insalata di fichi e prosciutto crudo.
Descrizione: Fichi freschi abbinati a un buon prosciutto crudo di qualità, magari con un po’ di formaggio blu sbriciolato e una leggera vinaigrette. I fichi e il prosciutto crudo offrono una combinazione dolce e salata che può essere ben bilanciata dall’Amarone, magari servito leggermente più fresco per una migliore beva estiva.
Cuvée dei Frati Extra Brut
Piatto abbinato: Ostriche fresche con vinaigrette al melograno.
Descrizione: La Cuvée dei Frati, con la sua vivace effervescenza e note di frutta fresca e biscottate, esalta la salinità delle ostriche fresche, se ne sei amante. La vinaigrette al melograno aggiunge invece una dolcezza e un’acidità piacevoli e bilanciate, completando perfettamente il profilo aromatico del vino.
Cuvée dei Frati Rosé Extra Brut
Piatto abbinato: Bruschette con burrata e pomodorini.
Descrizione: Bruschette con burrata fresca e pomodorini ciliegia, semplici, ma perfetti con questo vino in estate! Magari con un filo d’olio d’oliva di Ca’ dei Frati e una spolverata di pepe nero. La cremosità della burrata e la dolcezza dei pomodorini si sposano perfettamente con lo spumante.
Cuvée dei Frati Dosaggio Zero
Piatto abbinato: Crudo di gamberi rossi con emulsione di lime e menta e Arlecchino di verdure crude.
Descrizione: La Cuvée dei Frati Dosaggio Zero, caratterizzata da una forte acidità e freschezza (e assenza totale di dolcezza), si abbina splendidamente al crudo di gamberi rossi e alle verdure dell’orto crude e croccanti. La dolcezza naturale dei gamberi viene bilanciata dalla vivace acidità del vino, tipica del Turbiana, mentre l’emulsione di lime e menta aggiunge un tocco di freschezza, rendendo l’abbinamento ancora più raffinato e piacevole. I colori delle verdure di stagione creano un Arlecchino nel piatto e donano una parte più croccante per bilanciare la morbidezza del gambero in crudité.
Tre Filer
Piatto abbinato: Crepes con ripieno di frutta e salsa al passito
Descrizione: Crepes leggere e ripiene con una combinazione di frutta fresca di stagione, come pesche, albicocche e fragole per un tocco di colore e freschezza a fine pasto. Ideale per completare il piatto è una salsa a base di passito Tre Filer ridotto e magari un pizzico di zenzero per un tocco speziato, ma rinfrescante.
Grappa di Lugana
Piatto abbinato: Semifreddo al limone con meringa croccante.
Descrizione: La Grappa di Lugana, con il suo carattere aromatico e la morbidezza al palato, si abbina meravigliosamente a un semifreddo al limone. Le note fresche e agrumate della grappa completano la dolcezza del dessert, mentre la meringa croccante aggiunge una piacevole consistenza al tutto.
Grappa di Amarone
Piatto abbinato: Cioccolato fondente in tavoletta e in gelato con lamponi freschi.
Descrizione: La Grappa di Amarone, invecchiata in barrique con note complesse e intense, si abbina perfettamente al cioccolato fondente. Ma come servirlo d’estate? Naturalmente come gelato e in tavoletta tenuta in un luogo fresco (evitare il frigorifero per il cioccolato di qualià)! Le note fruttate e leggermente speziate della grappa esaltano i sapori profondi del cioccolato, mentre i lamponi freschi aggiungono un contrasto acido e vivace.
Un raggio di luce filtra nel bicchiere, il centro dell’osservazione: occhi attenti scrutano l’unghia del vino, che ruota nel calice, fino alla sua parte più colorata al centro del vortice. Poi si osservano i riflessi e il suo grado di brillantezza, la capacità di riemergere dalla luce, di restituire emozioni in colori. Sono sfumature e sottigliezze colorate ottenute da molteplici fattori: l’età del vino, il suo affinamento, la sua maturazione, ma anche il tipo di uva e la composizione chimica degli acini. Sono quattro le parole che determinano le emozioni percepite dagli occhi in primis, nel vedere roteare il vino in un calice:
Gli antociani, responsabili del colore rosso;
I flavoni, responsabili del colore giallo e delle sue variazioni al bianco;
I leucoantociani
Le catechine, che insieme ai precedenti donano le sfumature al vino.
Il colore inoltre è un indice non solo emozionale ed emotivo, ma anche di certezza: osservandolo infatti ci racconta molto della storia di un vino. Esprime il suo percorso, la sua vita, il suo riposo e la sua vitalità. E’ una sorta di indice di benessere che percepiamo con uno dei nostri sensi, in seguito al quale andremo a verificare con gli altri – il naso principalmente, – ascoltando il vino attraverso le sue emanazioni odorose.
In particolare il giallo del vino bianco subisce variazioni nel corso della nascita del prodotto, ma banalmente possiamo affermare che deriva da uve a bacca bianca che hanno subito una semplice spremitura, senza contatto (o nel caso si tratta di un contatto molto veloce a bassa temperatura) con le bucce, diversamente dal vino rosso che richiede un contatto macerativo più prolungato proprio per l’estrazione delle particelle coloranti.
Tale veloce contatto con le bucce non permette quindi il rilascio di colore (e di tannini, che risulterebbero fastidiosi nel vino bianco); inoltre le basse temperature a cui si svolge questo passaggio permettono di ottenere nel mosto sentori primari fini e raffinati – principalmente di frutta e di fiori – che contraddistinguono generalmente i vini bianchi. In caso contrario, qualora si faccia macerazione anche con uve a bacca bianca, si può parlare di vini macerati, come gli “orange wine”, carichi di colore fino a tonalità aranciate, che possono anche contemplare durante la produzione il principio dell’ossidazione.
Esistono infatti numerosi colori che possiamo associare a un vino bianco: tante sfumature, da palette più tenui a tonalità più cariche. Ciascuna di esse ha qualcosa da raccontarci, ma ci serve qualche parametro per poter interpretare correttamente questo codice enologico.
La valutazione cromatica del sommelier, detta anche sensazione cromatica (perchè percepita con l’organo della vista che varia in ogni caso in base alla fisiologia dell’osservante), contempla tre elementi: il primo è il colore puro, ovvero la lunghezza d’onda di colore dominante, cioè lo spettro di colore. Nei vini bianchi esso si divide in: giallo verdolino, giallo paglierino, giallo dorato e giallo ambrato in ordine di intensità. Segue poi la saturazione cioè l’intensità cromatica, a seconda che il vino sia più o meno “scarico” di colore. Infine la luminosità che non è altro che la vivacità cromatica.
I vini di Ca’ dei Frati, nella loro freschezza e mineralità, osservano per lo più i primi stadi del colore giallo, ovvero verdolino e ancor più adatto il paglierino, se ci riferiamo in particolare al Lugana I Frati Doc e al Brolettino, che grazie al passaggio in barrique di rovere francese nuovo, acquista qualche nota più carica. Naturalmente se ci riferiamo alle stesse etichette, ma nella versione Privilegio di Famiglia, con cinque anni di affinamento in bottiglia, si noterà che il colore giallo paglierino negli anni raggiunge sempre più lucicanze dorate, che accompagnano una virata dei sentori verso il tema del balsamico. Il Pratto invece, trattandosi di una vendemmia tardiva, si situa tra il giallo paglierino e il giallo dorato, soprattutto se tenuto qualche mese in più in affinamento. Allo stesso modo il Tre Filer, il passito da uve Turbiana, Chardonnay e Sauvignon Blanc – blend uguale al Pratto – si propone già con una veste più luminosa e carica di un giallo dorato, riverberato dalla dolce viscosità propria di questo nettare.
Tanto si sente parlare oggi di solfiti e di solforosa spesso con un accenno negativo, demonizzando quelli che potremmo definire i “conservanti del vino”. Ma cosa sono davvero i solfiti? E perchè rappresentano un focus importante quando si parla di vino?
I solfiti sono conservanti e per questa ragione hanno spiccate proprietà antimicrobiche e antiossidanti, motivo per cui sono utilizzati nel vino: mantengono il prodotto nel tempo senza particolari alterazioni dovute a eventuali microbi o più comunemente dovute all’ossigeno (che innesca la classica polifenoliossidasi, ovvero l’ossidazione, proprio come accade alla nostra pelle durante l’invecchiamento, attribuendo al vino note non più fresche e vitali). I produttori quindi utilizzano i solfiti per stabilizzare il prodotto e la forma più comune è quella dell’anidride solforosa, ovvero SO2, che va dichiarata anche perchè rappresenta uno degli allergeni della tabella convenzionale.
Nel vino quindi di solito i solfiti vengono aggiunti come additivi per la miglior conservazione, ma bisogna anche ricordare che la normale fermentazione del mosto per produrre il vino genera di per sé anche una percentuale di solforosa.Quindi i solfiti sono presenti, anche se in misura irrisoria, in ogni
vino anche senza alcuna addizione. I livelli di solfiti possono variare anche molto a seconda del tipo di vino e del metodo di produzione: si passa infatti dai 150 mg/L per i vini rossi ai 200 mg/L per i bianchi e rosati. C’è anche una differenza che riguarda il colore del vino: i vini rossi infatti, grazie ai tannini, contengono generalmente quantità inferiori di solfiti perchè già più capaci nel mantenersi autonomamente nel tempo rispetto ai vini bianchi.
Nel caso di Ca’ dei Frati, la quantità di solfiti aggiunti è estremamente e volontariamente bassa, grazie alle tecnologie avanzate e ricercate messe all’opera in cantina durante la fase di produzione. Innanzitutto, subito dopo la raccolta, le uve vengono saturate di anidride carbonica, per allontanare l’ossigeno e mantenere quindi il frutto sano, non danneggiato da eventuali fermentazioni spontanee dovute al clima caldo di settembre. Ma questo è solo una prima accortezza: in tutto il processo di cantina infatti il mosto e poi il vino non andranno mai in contatto con l’ossigeno in Ca’ dei Frati, producendo quindi totalmente in ambiente privo di ossigeno. Ma come si mantiene quindi il vino in queste condizioni? Di fatto, quando viene imbottigliato, è trattato come sotto vuoto, ricevendo solo una piccola parte graduale e controllata di ossigeno – ai fini dell’affinamento in bottiglia – dal tappo tecnico Nomacord in polietilene di canna da zucchero (che allontana anche il problema del TCA, ovvero il cosiddetto sentore di tappo!). Ca’ dei Frati grazie a queste accortezze tecniche è in grado di produrre vini con una quantità di solfiti estremamente bassa, scelta che pone una particolare attenzione e riguardo agli amanti del vino che sono però intolleranti o persino allergici ai solfiti.
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La città degli innamorati ha la più grande estensione di vigne, tra tutti i comuni della Valpolicella
La produzione vitivinicola nel comune di Verona rappresenta il primo comune per produzione nella Valpolicella. Chi l’avrebbe mai detto? Eppure si tratta di una delle città che ha la maggior quantità di territorio collinare tra quelle che ci sono nel nostro nord Italia.
Verona, se la consideriamo per il su centro storico, è una città che i Romani hanno confinato all’interno dell’ansa del suo grande fiume. Pertanto la sua superficie iniziale e, il suo cuore, anche oggi rimane particolarmente ristretto e contenuto. L’estensione del comune però si allunga verso la collina e si estende oltre le prime colline murate che vengono chiamate Torricelle.
Verona nacque su un promontorio, dove oggi si trova l’arrivo della piccola funicolare e nel tempo si abbassò in pianura oltre il fiume a sud, soprattutto in epoca romana quando il Ponte, ancor oggi ben visibile nella sua parte originale, Ponte Pietra, collegava appunto i due insediamenti: quello primordiale celtico e quello romano appunto.
Il territorio di Verona
Il Comune di Verona conta un numero di abitanti pari a 255 121. La sua estensione va dai territori a sud, industriali e popolosi e, a nord, sulle colline, arrivando fino a circa 600 metri di altitudine. Un luogo ideale per l’allevamento della vite e la produzione dei vini caratteristici locali.
Oltre Borgo Trento e Valdonega, salendo sulle colline delle Torricelle si inizia a scorgere i primi timidi vigneti, mentre rimane molto estesa la coltivazione dell’olivo, forse la pianta più antica della storia di questi territori. I terreni delle prime colline a nord della città sono molto ricchi di calcare e hanno una bella friabilità dovuta alla presenza di scisti e di argille compatte. Sono terreni che un tempo erano dedicati alla produzione di ciliegie e i grandi castagnacci che ancora oggi ornano maestosi i piccoli boschi ancora rimasti.
Sempre più a nord il comunque di Verona si estende nelle frazioni di Avesa, Parona, Quinzano, Quinto, Marzana, Poiano, Santa Maria in Stelle, Mizzole, Montorio.
Tutte queste piccole frazioni, fino a una trentina di anni fa completamente sconosciute alla produzione di vino, si sono riscattate negli ultimi anni e hanno visto un continuo crescere degli impianti, anche se con una corretta inclusione nell’ambiente, senza particolari intensità. La biodiversità di questi luoghi e la presenza importante degli olivi, in modo particolare, ha reso più armonica la variabilità colturale delle coltivazioni.
La dimensione vitivinicola e le cantine
Sono tante le cantine che sono nate in questo ultimo decennio e tutte si sono distinte per la loro capacità di sapere governare il territorio e rispettarlo con impianti di vigneti di medio-piccole dimensioni perfettamente integrati nel territorio.
Le cantine stesse non hanno deturpato le colline ma, anzi, sono sempre state concepite per valorizzare l’ambiente circostante e la sua funzionalità agricola. In alcuni casi sono state riprese antiche cantine già facenti parte delle strutture di palazzi appartenuti ai nobili Scaligeri, come ad esempio Torre di Terzolan. In altri casi si sono studiate strutture architettoniche affascinanti che hanno cercato di usare gli stessi materiali della collina circostante per la loro impostazione. Una di queste è proprio la nostra nuova tenuta sulla collina di Montorio dove la struttura si eleva dolcemente tra le vigne compenetrandosi perfettamente sia da un punto di vista cromatico, sia da un punto di vista architettonico con l’intero ambiente circostante.
La superficie coltivata e i suoli
La superficie coltivata in queste frazioni e nel comune di Verona è pari a 1292 ettari ed è il primo comune della provincia, per quel che riguarda la produzione di vino Valpolicella. Dopo di lei viene Negrar con 1154 ettari vitati. Quindi dobbiamo considerare la città degli Scala come la regina del Valpolicella, non quindi solamente un’entità scoordinata dalla zona classica. Questa forte integrazione e il salto produttivo è stato fatto perchè le colline dietro la città sono un ambiente ancora sano, con una ottima biodiversità, con un sottosuolo calcareo ideale per la produzione dei grandi vini rossi della denominazione.
I vini di Verona
Lo stile dei vini che emerge in quasi tutte le produzione di questo territorio è di quelli un pò più moderni e contemporanei. Innanzitutto si tratta di vini con un buon tasso alcolico e una importante struttura. Sono vini che vanno domati un pò ma che regalano forti emozioni. Abbastanza estrattivi si avvicinano di più alle produzioni delle colline orientali veronesi che alla zona classica occidentale.
Hanno profili sensoriali ben marcati con una complessità olfattiva sempre particolarmente evidente e un palato ampio con un tannino morbido e una acidità sostanziale che permette di ottenere dalle bottiglie buona longevità e propensione ai lunghi affinamenti in bottiglia.
Ciliegia, pout pourri di fiori rossi passiti e spezie sono il profilo aromatico più comune. La tendenza, soprattutto per quanto riguarda Ca’ dei Frati presente in Valpolicella orientale nella zona di Marcellise per la produzione dell’Amarone della Valpolicella DOCG con circa 20 ettari di proprietà, è quella di mantenere potenza e sostenere sempre l’eleganza di cui questi vini sono dotati, trovando l’equilibrio tra le componenti offrendo possibilità di ottenere armonie gustative negli anni.
Non ti resta che provare l’Amarone della Valpolicella DOCG Pietro Dal Cero (lo trovi qui anche online) per assaporare il territorio veronese in tutte le sue sfaccettature.
Bernardo Pasquali
Wine & Food Journalist & Specialist
Premio Brand Ambassador Agroalimentare Italia 2019
Maestro Assaggiatore di Formaggi ONAF Delegazione di Bergamo
I Classificato, Premio Internazionale Poggi Venezia 2009, Giornalismo e Letteratura Enogastronomica
Il vino, antica elisir dell’umanità, ha da sempre celebrato la convivialità, intessendo una trama di tradizioni che si snodano nel corso dei secoli, attraverso l’arte del brindisi. Questa pratica, radicata fin dall’antichità, trova ancor oggi una piacevole pratica in alcuni momenti dell’anno, come a Capodanno, condividendo con amici e parenti le eccellenze vinicole come quelle proposte dalla nostra cantina Ca’ dei Frati, custode della tradizione del Lugana DOC.
Il nome “brindisi” pare derivi dal tedesco “bring dir’s”, ovvero “porto a te” (probabilmente si intende “il saluto”). C’è poi la consuetudine di unire al gesto anche alcune parole come “salute”/“viva” nel caso di una celebrazione. Per i più curiosi inoltre indichiamo anche la tradizione di versare un po’ di vino del proprio bicchiere in quello del commensale accanto e via di seguito, poiché si voleva accertarsi che non vi fosse del veleno.
Curioso è anche il riferimento al “Cin Cin” che si pronuncia proprio mentre si fanno tintinnare i calici: deriva dal cinese “ch’ing ch’ing” che significa “prego, prego”, modo usato dai marinai inglesi insidiatisi a Canton per sostenere scambi commerciali con la Cina. Dal latino invece deriva “Prosit”, forse meno conosciuto. E’ la terza persona singolare del congiuntivo presente del verbo “prosum” cioè “io sono favorevole, giovo”. Il Galateo in questo gesto ci indica di brindare sollevando poco il bicchiere e non bisognerebbe in questo momento far toccare i bicchieri tra loro, guardando soltanto i commensali, senza pronunciare parola alcuna. In Corea invece il bicchiere più alto deve essere del membro più anziano del gruppo radunato attorno al tavolo: paese che vai, usanza che trovi!
Nel corso dei secoli, il brindisi ha assunto molteplici forme e significati diversi per geografia e temporalità, intrecciandosi inevitabilmente con le vicende storiche e culturali – ne sono un esempio gli utilizzi che vedevano il vino come protagonista durante la guerra in trincea, o nella storia dei vini fortificati come il Porto o il Marsala, capace anche di unire luoghi lontani, o ancora nei vini apprezzati nelle corti di tutta Europa. Esplorando questo rito millenario, si scoprono storie, rituali e peculiarità particolarmente curiosi, incastonati nel tessuto stesso della nostra umanità.
Il Seicento fu testimone dell’irradiazione del brindisi connesso con la celebrazione poetica, un’arte divenuta manifestazione di bellezza e sentimento espressa tramite il mezzo della poesia. Autori come poeti e scrittori contribuirono a nobilitare questo rituale millenario, come già seppero fare dagli albori della civiltà gli antichi greci per celebrare i loro famosi simposi. Ricordiamo che è proprio tra Seicento e Settecento che abbiamo anche le prime citazioni ufficiali del Lugana come Trebbiano delle nostre zone.
Nell’antica Grecia infatti, mentre la vita si svolgeva tra momenti di cibo e momenti di libagioni, il brindisi dettava il ritmo dei convivi. Un “simposiarca”, figura di grande rilievo nella comunità degli invitati alla cerimonia e alla festa, non solo curava le bevande, ma declamava eloquenti discorsi durante il brindisi, onorando sia gli ospiti sia dichiarando poesie di tipo amoroso.
La storia romana invece celebrava prodezze amorose e anche militari nei brindisi, un’usanza consolidata che trovava spesso la sua occasione di esaltazione nella produzione di vini pregiati, come riportato in diversi testi latini che indicano talora anche i nomi dei vini preferiti dalle persone di alto lignaggio.
E mentre ogni cultura cela la sua specifica ritualità, la cantina Ca’ dei Frati continua a preservare e celebrare la tradizione del brindisi, offrendo vini spumanti e fermi – esaltando nella linea vinicola il Lugana DOC – che portano con sé la nobiltà di un’antica pratica, incastonata nella modernità delle tavole contemporanee.
Il brindisi, antica usanza, continua a fluire tra le generazioni, intessendo legami tra il passato e il presente. In questo rituale intramontabile, si riconosce la perseveranza e l’eleganza delle tradizioni enologiche, come quelle che cerchiamo di custodire con passione attraverso le generazioni della famiglia Dal Cero. Un sorso di vino Lugana DOC, frutto di secolari sapienze, è un omaggio all’umanità e al suo inestimabile patrimonio conviviale e non ce lo faremo mancare neanche per questo Capodanno imminente!
Il colore brillante, il gusto fragrante e le bollicine sottili che accarezzano delicatamente il palato: tutto nello spumante metodo Classico evoca la gioia dei sensi in un contesto di eleganza e di festa.
Ma come è nato questo meraviglioso vino? Le sue origini sono legate alla Francia e più nello specifico alla regione della Champagne, sita circa 150 chilometri a nord di Parigi, nella valle della Marna. In questa regione la vite e il vino furono portati dai Romani e per molti secoli il vino prodotto qui era fermo. Pare che la nascita delle prime bollicine sia correlata ad un forte abbassamento delle temperature che il continente europeo ha subito nel XV° secolo e che ha investito con forza la Champagne proprio a ridosso della vendemmia. Accadde così che i lieviti responsabili della fermentazione del vino inibiti dal freddo interruppero la loro attività, lasciando all’interno del vino degli zuccheri non fermentati. Ma con l’arrivo delle miti temperature primaverili i lieviti, risvegliatisi, ripresero la loro attività innescando una seconda fermentazione e producendo, oltre all’alcol, dell’anidride carbonica che non trovando via d’uscita, si sciolse all’interno del vino stesso rendendo il vino frizzante.
Questa caratteristica, che ora noi amiamo e ricerchiamo, non era apprezzata nella Francia di allora ed era anzi ritenuta la conseguenza di una cattiva fermentazione. Come spesso è accaduto nella lunga storia del vino, furono i monaci, che al tempo avevano grandi possedimenti terrieri, ad adoperarsi per tentare di risolvere la situazione. A questo scopo fu chiamato all’appello Pierre Pérignon, un giovane monaco che si era avvicinato alla viticoltura con piglio curioso e sperimentatore. Dom Pérignon, come era chiamato il giovane religioso, condusse molti esperimenti nell’abbazia di Hautvillers nel tentativo di gestire le seconde fermentazioni in bottiglia senza tuttavia riuscire ad eliminarle. Nel mentre, però, lo strano fenomeno dell’effervescenza iniziò a risultare gradito agli aristocratici inglesi e presto l’Inghilterra divenne un importante mercato di sbocco per i vini spumeggianti, inducendo i produttori francesi a focalizzare la loro attenzione sulla gestione delle cuvée, cioè sull’assemblaggio dei vini base che venivano imbottigliati e fatti rifermentare, e sui sistemi di tappatura più efficaci, capaci di trattenere la frizzantezza all’interno della bottiglia per tantissimo tempo.
Quando Dom Pérignon morì, nel 1715, era ormai riconosciuto come il padre dello Champagne, a tal punto che pochi anni dopo il sovrano Luigi XV assegnò alla città di Reims, capoluogo della regione, il permesso esclusivo di produrre e commercializzare le bottiglie di spumante Champagne. Da quel momento in avanti la tecnica della rifermentazione in bottiglia è stata sperimentata in moltissime regioni vitivinicole del mondo.
Il metodo Classico ha bisogno di alcuni ingredienti fondamentali per essere prodotto. Partiamo dalla base: l’uva. La varietà di uva dedicata allo spumante deve essere dotata di una naturale acidità capace di dare il giusto nerbo e sostegno al sorso e di assicurare al vino una lunga vita. La vendemmia deve essere fatta a mano, per selezionare i grappoli perfettamente sani e non correre il rischio di rompere le bucce. La vinificazione avviene “in bianco” cioè riducendo al minimo il contatto delle bucce con il mosto e utilizzando una pressatura soffice e rapida. Da qui si ottiene un mosto che fermenterà in modo tradizionale producendo un vino base. A questo punto lo “Chef de Cave”, ovvero il cantiniere, procederà all’assemblaggio di vini ottenuti dai diversi appezzamenti e talvolta da varietà diverse di uva, ricercando un equilibrio gustativo secondo lo stile della cantina.
È qui che avviene un passaggio fondamentale perché il nuovo vino ottenuto viene imbottigliato in primavera con l’aggiunta di uno sciroppo, chiamato “liqueur de tirage”, composto da zuccheri e lieviti. Sarà proprio la liqueur ad innescare nel vino una seconda fermentazione che trasformerà il vino, arricchendolo di nuovi composti aromatici, di alcol e di anidride carbonica in un processo che può durare anche molti anni. Alla fine del periodo di maturazione la feccia che si crea nella bottiglia, formata dai lieviti esausti e da altre sostanze di scarto, viene radunata nel collo della bottiglia attraverso un processo di movimentazione detto “remuage” e successivamente viene congelata ed espulsa durante il processo di sboccatura, o dégorgement, nel corso del quale anche una piccola quantità di liquido, per effetto della forte pressione accumulata all’interno della bottiglia, viene espulso. A questo punto il cantiniere può decidere se ricolmare le bottiglie con lo stesso vino, ottenendo quindi un liquido totalmente privo di zuccheri (pas dosé, ovvero non dosato), oppure aggiungere insieme al vino una “liqueur d’expédition” cioè una miscela di zucchero e vino che determinerà il livello di dolcezza dello spumante. Le bottiglie a questo punto vengono chiuse con con il tappo a fungo e con una gabbia metallica di sicurezza.
Nel caso di Ca’ dei Frati, il metodo Classico del Brut Cuvée dei Frati è ottenuto con uva Turbiana, la varietà autoctona della zona di Lugana, unita ad un piccolo saldo di uva Chardonnay. La Turbiana è caratterizzata da una vibrate acidità naturale rinforzata dalla sapidità indotta dal terreno argilloso della Lugana, due caratteristiche che donano a questo spumante carattere e longevità. L’affinamento di almeno 36 mesi sui lieviti rendono il sorso gustoso e le bollicine setose. Il piccolo tocco di dolcezza aggiunto in fase d’expédition rende le sensazioni fruttate e agrumate vivide e succose, e fa di questo spumante un ottimo compagno per un aperitivo raffinato, ma anche per un primo piatto dal sapore dolce, come uno spaghetto allo scoglio o un risotto con le verdure.
Nel mondo del vino, l’estetica delle bottiglie gioca un ruolo fondamentale nell’impressionare e affascinare non solo gli intenditori di vino, ma anche tutti i wine lover. Funziona un po’ come per le copertine dei libri: l’esterno attira l’occhio, le forme sinuose del vetro invitano ad accogliere tra le mani la bottiglia e l’etichetta non è che il tocco finale di un progetto davvero artistico. Tra le varie opzioni disponibili, le bottiglie di grande formato, come quelle da 1.5, da 3 o da 6 litri, rispettivamente in gergo tecnico chiamati Magnum, Jeroboam e Mathusalem, si distinguono per la loro imponenza e il loro aspetto elegante. Queste bottiglie non solo rappresentano una sfida tecnica nella loro realizzazione e confezionamento, ma richiedono anche una lavorazione completamente artigianale.
Una delle ragioni principali per cui le bottiglie di vino di grande formato sono considerate più eleganti è infatti proprio la loro dimensione imponente. Rispetto alle bottiglie standard da 750 ml infatti queste bottiglie sono significativamente più grandi e spesso presentano forme uniche e slanciate. La loro presenza distintiva sul tavolo o in una cantina attira l’attenzione e trasmette un senso di grandeur. Le bottiglie di grande formato sono spesso associate infatti a occasioni speciali e a celebrazioni, rendendo l’esperienza di degustazione del vino ancora più memorabile. Immagina una festa di laurea dove il brindisi viene fatto versando il vino da una bottiglia che incentiva l’aiuto di almeno due persone: si evoca immediatamente la festa e la condivisione del momento, l’essere insieme nel festeggiare e nel condividere un istante indimenticabile.
Le bottiglie di vino di grande formato sono il risultato di un processo di produzione che richiede alcune competenze artigianali. A differenza delle bottiglie standard, che vengono realizzate in serie con l’ausilio di macchine, come nel nostro caso nella sala dedicata all’imbottigliamento e al confezionamento delle bottiglie e del cartone, le bottiglie di grande formato sono prodotte interamente a mano. Questo processo richiede una maestria artigianale e un’attenzione ai dettagli che conferiscono un valore aggiunto alle bottiglie stesse. Nel caso di Ca’ dei Frati, le bottiglie di grande formato prodotte sono il Magnum per la maggioranza delle referenze e Jeroboam e Mathusalem solo per il vino iconico dell’azienda, il Lugana I Frati.
Dopo la realizzazione in vetro con lo stampo personalizzato con il marchio in rilievo dei frati Carmelitani Scalzi che contraddistingue l’azienda, le bottiglie di grande formato vengono confezionate manualmente in una linea di produzione che viene avviata occasionalmente appositamente per questi formati e occupa circa una quindicina di persone al lavoro. Ogni persona ha una mansione ben precisa: chi imbottiglia il vino, chi lo tappa, fino ai lavori di maggiore precisione come il posizionamento dell’etichetta fronte e retro, la pulizia finale della bottiglia e il controllo dei dettagli prima di riporre il prodotto nelle rispettive scatole dedicate.
Per questa ragione, nel caso di Ca’ dei Frati, i grandi formati vanno prenotati in anticipo e si trovano soltanto su richiesta perchè occorre tempo per la produzione e il loro confezionamento. Occorre inoltre proteggere queste bottiglie durante il trasporto e conservarle al meglio per un eventuale affinamento nella cantina dell’acquirente.
Spesso infatti vengono collocate in speciali custodie o imballaggi progettati per sostenerne il peso e preservarne totalmente l’integrità. L’attenzione e la cura dedicate al confezionamento delle bottiglie riflettono l’impegno a offrire un prodotto di qualità superiore, emblematico e iconico per l’azienda.
Quando si alza un bicchiere di vino versato da una bottiglia di grande formato, si celebra non solo il gusto eccezionale, ma anche l’arte e la maestria che si nascondono dietro ogni singola bottiglia.
Per i più appassionati, è possibile quindi trovare per il solo Lugana I Frati tutta la linea completa a partire dalla bottiglia da 375 ml, passando per la bottiglia da 750 ml, il magnum da 1.5 litri, il Jeroboam da 3 litri e infine il Mathusalem da ben 6 litri.
Alcuni fortunati potrebbero trovare i grandi formati periodicamente in vendita qui:
Nel regno inebriante del vino, dove la qualità è sovrana e la conservazione è maestra, si affaccia una rivoluzione avvolta in un nome: Nomacorc. Come un’eco di innovazione, il tappo Nomacorc si è insinuato tra gli studi sulle chiusure delle bottiglie, portando con sé l’arte di preservare la freschezza e le sfumature del nettare divino, in un abbraccio che supera ogni confine, mantenendo il profilo aromatico di ogni vitigno intatto.
Ca’ dei Frati utilizza questo tappo a partire dal 2017, dopo numerose prove a partire dal 2015 e frequenti viaggi in Belgio, dove si trova la sede principale di Vinventions, la casa tecnologica produttrice dei tappi tecnici, vicino a Liegi.
Siamo stati anche di recente per una visita di aggiornamento sui nuovi prodotti: al momento l’azienda, sempre attiva con una fucina di idee, sta lavorando intensamente per realizzare tappi tecnici anche per gli spumanti, con una tenuta della pressione idonea e una migliore permanenza del vino in bottiglia.
L’essenza mistica del tappo Nomacorc
Si tratta di un polimero espanso (polietilene) di canna da zucchero, una sostanza naturale e totalmente riciclabile, che dà vita oggi al tappo Nomacorc. Curato come un segreto custodito gelosamente, questo materiale pionieristico si erge a difensore dell’integrità vinicola, chiudendo le porte all’ossigeno evitando la polifenoliossidasi, ovvero la classica ossidazione che fornisce al vino sentori più stanchi ed evoluti, perdendone la freschezza. Nelle sue celle serrate, il tappo accoglie il vino, proteggendolo con gelosia, consentendogli un invecchiamento delicato, mentre la sua freschezza incanta i sensi non appena si stappa la bottiglia.
Le danze degli enigmi: i vantaggi nascosti del tappo Nomacorc
1. Armonia eterna: come un maestro inarrivabile, il tappo Nomacorc assicura una chiusura avvolgente, custode della qualità inalterata. L’affidabilità, nel tempo, si traduce in una sinfonia costante che conquista gli animi dei degustatori, donando loro certezza e fedeltà: un vino costante e soprattutto sorprendente anche se aperto dopo anni (anche per i vini bianchi).
2. Cancella l’oblio: le tenebre del TCA, il nemico insidioso che infetta i tappi tradizionali, si dileguano di fronte all’utilizzo del tappo Nomacorc. Senza il rischio di contaminazione o di muffe furtive, l’enologo può danzare con la purezza dei sapori, rivelando l’anima autentica del vino, mantenendo perfetta nel tempo.
3. Versi d’arte: il tappo Nomacorc, poeta di per sé, offre un’armonia di opzioni, ciascuna con la sua danza unica di permeabilità all’ossigeno. Questa flessibilità affida all’enologo il compito sublime di selezionare il tappo che si armonizza perfettamente con il vino, permettendo così un invecchiamento sublime e il raggiungimento di un bouquet aromatico desiderato. Nel nostro caso la scelta è caduta sul Select Green 100% per tutte le nostre referenze, come ad esempio il Lugana I Frati, tra i più noti, e il tappo Riserva per l’Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero. Quale differenza tra questi due tappi selezionati? La porosità: a seconda della tipologia di vino imbottigliato si può scegliere il tappo che regola così una maggiore o una minore quantità di ossigeno che passa all’interno della bottiglia.
4. Un canto alla terra: Nomacorc, custode delle tradizioni, si erge come un campione di sostenibilità. I tappi si donano al riciclo, riducendo l’impronta ecologica e abbracciando l’impegno per un mondo migliore. L’eco dell’azienda risuona in armonia con l’ambiente, riducendo l’emissione di CO2 e aprendo le porte a un futuro più attento all’ambiente.
Nomacorc, con la sua magia celata nei tappi tecnici, ha cambiato le regole del vino, offrendoci un’alternativa affascinante ai tappi tradizionali di sughero: basti pensare che oggi in Italia 7 aziende su 10 utilizzano questa chiusura, che permette di aprire la bottiglia ancora in modo tradizionale come con un classico tappo di sughero, ma senza gli svantaggi ad esso connessi. Il sughero infatti, oltre ad essere diventato molto caro e impattante sul prezzo finale del prodotto perchè ormai quasi introvabile (ci si rivolge per lo più al Portogallo per questo materiale), non offre garanzie sulla tenuta nel tempo e rilascia dosi di suberina che hanno la capacità di modificare il profilo aromatico del vino, che quindi perde le proprie caratteristiche provenienti dal territorio. Invece nell’abbraccio eterno del Nomacorc, la fragranza e l’anima del vino si preservano, offrendo al palato un’esperienza indimenticabile. È un capolavoro d’amore tra innovazione e tradizione, che rende omaggio alla bellezza che scorre nei calici e all’essenza stessa dei vini che affascinano il mondo.
Spesso ci si chiede quanto possa durare nel tempo un vino bianco. Allora si passa a valutare il modo in cui viene conservato e naturalmente il tappo. Di seguito si considera la tipologia di vino magari raffrontandola ad altre della stessa categoria alla ricerca – spesso vana – di risposte adatte. Ci siamo chiesti quindi anche noi quanto possa durare il Lugana DOC, o forse diremmo meglio quanto possa regalarci emozioni, perchè, se conservato bene e se non ci sono intoppi negli anni, il prodotto consumato dopo qualche tempo non potrà che essere buono. Cambiato, modificato, ovviamente. E’ quindi per lo più una questione di gusto personale.
Igino Dal Cero, produttore di Ca’ dei Frati, crede molto nelle potenzialità strutturali e gustative del Lugana DOC che si ottengono con l’affinamento regalato dal tempo. Il vino non invecchia né migliora, ma muta in modo proteiforme, si adatta agli influssi del tempo, rimanendo nel profondo tuttavia sempre uguale a se stesso. Per questo sono davvero molto importanti le lavorazioni in cantina e ancora prima in vigna, per essere certi di ottenere un grande prodotto proiettato nel futuro.
Il tempo influisce largamente sul vino, è una variabile importante da considerare in fase di produzione, ma anche nei termini di una prossima stappatura. Il colore vira in toni dorati – il tesoro che riemerge dopo anni dalle profondità di una bottiglia dal vetro scuro -, la glicerina lo rende più viscoso – una vera elisir di lunga vita -, infine smussa il suo carattere duro diventando più morbido e riflessivo, nelle rughe del tempo. Ma l’esperienza che ha trascorso nella sua vita come grappolo e poi trasformato in cantina lo segnerà per sempre. Di fatto rimane uguale a se stesso nella sua semplice vocazione virginale. Mantenutosi intaccato e puro nella sua campana di vetro.
Armando Castagno ha definito il Lugana DOC degno di un importante segnalibro nel volume dei grandi vini bianchi italiani da lungo invecchiamento. E a tal proposito Igino Dal Cero è assolutamente d’accordo, basta esserne capaci di prevederne le potenzialità, attività non sempre facile per un viticoltore. Tuttavia ricorda, andando indietro nelle sue quarantatré vendemmie, che questa attitudine all’ascolto dell’uva, della natura e del vino stesso gli è stata insegnata dal padre Pietro Dal Cero, fondatore dell’azienda:
“[…] mio padre veniva in cantina al mattino e poi tornava alla sera a controllare. Mi ha dato le chiavi della cantina che non ero ancora maggiorenne, mi ha lasciato sbagliare, per farmi imparare, dandomi molta responsabilità”.
Di cosa parliamo quando parliamo di Lugana DOC
Il Lugana DOC ha una zona di produzione molto limitata: si tratta di circa 15km tra Brescia e Verona, estendendosi su cinque comuni poiché si tratta di una denominazione interregionale. Il luogo definisce meglio la struttura del vino perché il territorio gioca un ruolo di primaria importanza per la creazione del suo profilo unico e invidiabile. Il lago con la sua massa d’acqua e le correnti ventose che scendono dal Trentino creano uno sbalzo termico notevole tra giorno e notte, ma non solo: creano anche il clima ideale per il vigneto durante tutto l’anno. Ben quattro glaciazioni si possono contare in questa zona; queste hanno fatto sì che la temperatura sia cambiata costantemente e che il ghiaccio si sia sublimato, passando dallo stato solido allo stato gassoso, lasciando sul posto un materiale idrogeologico composto da pietre incongrue tra loro, provenienti dai versanti alpini e che hanno trovato dimora proprio tra Lombardia e Veneto.
La nostra macchina del tempo vinicola: dal 2022 al 2004.
Ecco cosa ci ha regalato il tempo.
Annata 2022
Un giovane Lugana ricco. Profumatissimo, pieno ed estremamente verticale e verde. L’imbottigliamento è avvenuto nella prima settimana di marzo 2023 dopo un affinamento piuttosto lungo sulle fecce fini. Questa tecnica è applicabile se si ha una persistente acidità; in tal modo si esalta la parte aromatica e resta una percezione acida che stupisce alla beva. La 2022 è stata un’annata molto calda, con anche acidità molto spiccata. Irrigazione a goccia in questo contesto ha aiutato molto (siamo stati i primi in Lugana ad apportarla in vigneto): si parla infatti di irrigazione di soccorso. Come nel caso del 2022 con un’annata molto calda, per un vino di grande acidità, dare qualche volta in più l’acqua con un gocciolante preciso che misura i litri per pianta permette di ottenere un importante bouquet di aromi e una poderosa struttura nel vino.
All’assaggio la vegetalità dei sentori non risulta cruda, ma si abbina ad un’ampia florealità che ricorda a tratti il sambuco, vira al succo di pompelmo con una verve perspicace e un ingresso sapido all’assaggio. Senza nessuna frizione.
Si sta valutando una vinificazione che parte da una vendemmia di quasi 40 giorni: anticipata all’inizio dove la nota vegetale è più spiccata, fino alla rotondità data dalla vendemmia tardiva. Ogni mese ha le proprie caratteristiche che vengono donate alle uve raccolte in differenti periodicità.
Annata 2021
Questa ha il doppio delle risorse in questa fase, due anni sulle spalle fanno sì che sia la carta immancabile per i vini di lungo invecchiamento. La nota più incredibile è la sua refrattarietà all’ossidazione che riporta questo Lugana ad un confronto pertinente con i vini più longevi tedeschi e francesi, rispettivamente come i Riesling e alcuni Champagne. Sono quelli che Armando Castagno definisce “vini combattivi nel tempo”.
Tutto questo è aiutato da un tappo tecnico, scelto dopo svariate prove avvenute prima con microgranine, poi con il polietilene di canna da zucchero su cui si ha puntato: il tappo Nomacorc che garantisce una protezione del vino molto alta, l’utilizzo di una minore quantità di solfiti e una lunghissima (e piacevolissima) persistenza.
Annata 2017 – Privilegio di Famiglia
Al palato questo vino è fallace, non sembra essere un 2017: riporta una freschezza aromatica molto importante, che vira – a causa dei suoi anni – su una percezione maggiormente fruttata.
Si tratta della linea Privilegio di Famiglia: un vino che ha trascorso i suoi ultimi cinque anni in affinamento in bottiglia. La sensazione è meno agrumata rispetto alle annate più fresche, ma virante più verso la pesca “spaccarella”, con piacevoli note di talco mentolato, una ventata balsamica e fresca; a questo punto le note verdi sono quasi sparite, nulla di crudo persiste: anice e finocchio sono i sentori maggiormente percepibili. Si tratta di un vino molto completo, in cui note di fiori d’arancio sono un nostalgico e autoctono ricordo della sua vita iniziale. Chiude con un finale tipico del Lugana: l’olio essenziale di mandorla bianca pelata.
Annata 2011
Qui si entra in una pasticceria in piena produzione: note di frutta secca, note resinose e anche amidacee. Al naso sentori dolci, che invogliano la beva. Alla vista colpisce la sua palette dorata. In bocca l’anacardo, l’olio essenziale di noce, con note anche amaricanti si susseguono mantenendo una potente mineralità che rende questa esperienza solenne e monumentale.
Un vino ricco di ghirigori aromatici e affreschi, come ci racconta Armando Castagno, nonostante sia stata un’annata piuttosto fresca e anche sofferta dal momento che la vendemmia venne allungata di più del previsto, ragion per cui ha anche un’acidità più alta della media generale. Tuttavia questa caratteristica – meravigliosamente nel Lugana – ne esalta incredibilmente il carattere agrumato anche a distanza di anni.
Annata 2007
Cumino, maraschino, cereale tostato, frutto esotico, spezie pestate, canditi bolliti nello zucchero. È stata l’azione dei quindici anni trascorsi a riposo in bottiglia a colorarlo in modo così dolce. Porta con sé una complessità disarmante dovuta anche ad un’annata molto proficua e piuttosto calda. Qui vale ogni considerazione: ogni assaggio muta, si irrobustisce, si palesa diversamente, si mostra sotto punti di vista diversi. Una poesia liquida, tutta da interpretare.
Annata 2004
Ci piace ricordare il tocco di mimosa, percepito dal colto naso di Armando Castagno, insieme a note complesse di evoluzione ed eleganti sentori terziari dovuti al tempo di permanenza in bottiglia. Non mancano all’appello sentori pluviali e di acqua salmastra, il lago grazie alla sua vicinanza dialoga da millenni con le terre del Lugana. In generale porta ancora una dimensione enoica e un carisma davvero incredibili con sicure grandi potenzialità espressive.
L’approccio interessante di questo vino è che permette alla comunità umana del luogo e a quella aziendale di poter ragionare, studiare e sperimentare continuamente nel corso del tempo i suoi incredibili risultati. E tutto questo lavoro serve per dare una logica a questo vino nel tempo.
Trovare una scintilla che lo faccia riconoscere al naso e al palato, che faccia tornare l’assaggiatore al luogo della sua nascita e vinificazione, che permetta di filtrare attraverso il vino il luogo e che lo renda non confondibile con nessun altro: questi sono gli obiettivi che la Storia deve porsi quando prende la forma di una bottiglia.
In occasione della Verticale Storica di Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero DOCG avvenuta presso la nostra sede il 25 marzo 2023, abbiamo confrontato tutte le annate di questa prestigiosa referenza e ne abbiamo tratto alcune conclusioni in questa sede, riportando le considerazioni principali emerse per ogni annata dalla 2016 alla 2008 grazie alla discussione avvenuta tra quattro prestigiosi relatori di fronte ad un pubblico numeroso presente in sala: Igino Dal Cero, enologo e produttore di Ca’ dei Frati, Carlo Callari, enologo presso la nostra sede con un’esperienza quindicinale di produzione nella Valpolicella, Bernardo Pasquali, gastronomo e Gianpaolo Giacobbo, giornalista ed esperto di vino. Una bella squadra di veneti per analizzare una referenza così legata al territorio e che parla attraverso la struttura e i sapori della tua terra.
Luxinum: il nostro vigneto a Marcellise
Il vigneto con cui produciamo il nostro Amarone della Valpolicella Pietro Dal Cero ha una caratteristica molto importante per la produzione dell’uva: si trova a 350 m sul livello del mare ed è rivolto verso sud, con un clima ed un orientamento pregevole. L’investimento fu fatto nel 2002 in onore del papà dei tre attuali proprietari, Pietro Dal Cero, a cui poi è stata dedicata questa referenza. Pietro infatti, figlio di Felice Dal Cero, fondatore dell’azienda, è stato l’unico dei figli a continuare l’attività agricola dando una svolta decisiva con la specializzazione nell’ambito enologico. La produzione di Amarone sembrava un sogno dietro l’angolo, un tributo fortemente voluto dalla famiglia per celebrare l’origine veneta dei Dal Cero, provenienti da Montecchia di Crosara, spostatisi sul lago nel 1939, dopo la prima guerra mondiale. Da momento dell’acquisto di alcuni ettari in Valpolicella ad oggi sono ormai passati più di 20 anni e il sogno è diventato realtà, reso ancora più reale oggi dall’ascolto di questo vino potente e narrativo nella sua evoluzione di annata in annata.
Il territorio è quindi molto importante: essendo un appezzamento unico in collina a 350 metri sul mare, è stato realizzato con dei terrazzamenti che vengono raggiunti da un sole mai caldissimo – il nome Luxinum deriva proprio dal latino lux, luce, raccolta dodici ore al giorno – donando un forte sbalzo termico tra il giorno e la notte, ideale per le uve. Nella parte più alta del suolo affiora la roccia, la calce. Per realizzare l’impianto c’è stato uno spostamento di circa 60.000 metri cubi di terra per creare il vigneto senza recidere alberi già presenti in loco e il bosco che circonda tutt’ora il vigneto. L’altro elemento importante è l’acqua: infatti se la vigna non ha il giusto equilibrio e la perfetta idratazione essa fornisce un frutto squilibrato e ciò ripercuote nel vino. In questo luogo graziato da madre natura l’uva matura molto bene, mantenendo un’acidità molto alta che ci garantisce una certa longevità in bottiglia.
La nostra Corvina, il nostro Amarone
Per l’Amarone di Ca’ dei Frati si utilizzano uve tutte provenienti da un solo ed unico vigneto. Le uniche differenze presenti quindi sono piccole variazioni del periodo di raccolta di anno in anno, mantenendo però lo stesso stile di vinificazione, in annate diverse. Con la verticale, si ha la possibilità di assaggiare quindi un unico cru, lo stesso frutto dato dalle stesse piante anno per anno, valutando così cosa la natura ci ha regalato nel corso dei suoi cicli stagionali nel corso degli anni. Un assaggio svolto in questo modo serve per capire l’evoluzione della vigna, ma anche la maturazione delle vinificazioni svolte in cantina, nonché l’evoluzione del frutto ovvero la giovinezza del vino. E’ un vero e proprio archivio per la memoria gustativa nostra, di oggi, ma anche per i degustatori del futuro che si troveranno a mettere il naso (si spera deliziati) su questo nettare potente e sanguigno.
Marcellise: un salto all’indietro nel tempo
Si tratta di un luogo davvero particolare dove dimora il nostro vigneto: solo circa 500 abitanti ancora oggi ci vivono, di cui 274 donne, più della metà, a testimoniare come la campagna parli ancora al femminile.
Si trova nel Comune di San Martino Buonalbergo – per intendersi, l’uscita autostradale di Verona est – da lì si incontra questo luogo guardando in alto: le colline che compaiono sono quelle di Marcellise. È una delle vallate più piccole della Valpolicella orientale che si estende da Verona verso est, a Vicenza.
La sua caratteristica principale è quella di essere un vero e proprio biotopo: si tratta di una localizzazione geografica molto circoscritta dove c’è vigna, olivo, ciliegi e una grande biodiversità. Si possono ancora vedere piccoli casali, spesso antichi anche valorizzati e ben ristrutturati, e tanta crescita dei vigneti in lungo e in largo. Macellise infatti è molto vocata alla produzione di vino rosso. Trova i natali su due placche di marna profondissime, dette dorsali, nate da fusioni calcaree. Queste presenze fanno sì che si tratti della situazione migliore per un’uva rossa come la Corvina per poter crescere, tra marne profonde e poi affioranti. La valle infatti sarebbe alla vista completamente bianca, se non fosse ricoperta dalle vigne perchè la roccia emerge dalle profondità spesso e in vari punti del suolo. È impegnativo inoltre impiantare qui un vigneto perchè le vigne poggiano direttamente sulla roccia, ma tutto questo dona complessità, finezza ed eleganza ai vini.
Vino di territorio e vino di stile
La tradizione dei veronesi è nel fare vino è quella dell’appassimento. Inoltre nel Veneto non ci sono vini realizzati con un’uva sola: tante uve rosse e bianche sono chiamate alla realizzazione delle referenze di questa regione e per questo motivo i veronesi in particolare sono grandi esperti di blend, veri esperti di mixology nel vino. Questa è la vera storia del Veneto e non cambia per la Valpolicella. Qui infatti si trovano – permesse da disciplinare – la Corvina, il Corvinone, la Rondinella che concorrono alla realizzazione dello stesso vino. Per questa ragione quindi l’Amarone è un grande vino di territorio, dove esso è in grado di emergere fortemente; ma è un vino anche di stile, poiché l’idea del vino finale sta tutta nelle mani di chi lo produce. Da questo punto di vista infatti il pregio della denominazione è di non avere Amaroni tutti uguali, la tradizione enologica veronese valorizza la diversità come virtù. Il vino di ogni cantina viene segnato in modo definitivo dalla storia di chi lo ha fatto nascere e questa è la sola chiave per entrare nel mondo di quella specifica famiglia.
“Dal 2008 in Ca’ dei Frati è partita una storia bellissima di interpretazione del territorio rigorosa e svolta con grande umiltà e rispetto del territorio stesso, tirando fuori qualcosa di molto interpretativo ed eccezionale” afferma Bernardo Pasquali.
Un vino di necessità
In passato bisognava concentrare il vino realizzato con la Corvina e con altre uve tipiche della zona. Queste infatti davano un prodotto di circa 11 gradi alcool, così a partire dagli anni Trenta si è voluto concentrare il prodotto, renderlo più strutturato; al tempo l’unica possibilità di fare questo era di prendere l’uva, tagliarla con diverse tipologie e metterla sui graticci per appassimento. Significava in sostanza disidratare l’uva per aumentare la concentrazione zuccherina e ottenere infine un vino dall’alto grado alcolico.
Prima è nato il Recioto (la versione dolce dell’Amarone) e poi l’Amarone, si dice come errore, essendo diventato amaro durante il processo di produzione del classico Recioto. Oggi però predomina la versione secca.
Carlo Callari sostiene che l’Amarone sia “un vino giovane rispetto per esempio al Barolo che ha una storia alle spalle di più di 200 anni. Le prime bottiglie di Amarone sono degli anni Trenta o Quaranta. Solo dalla metà degli anni Novanta la produzione diventa importante e il successo è stato rapido. Difficoltà è portare nel bicchiere il territorio perchè il processo di appassimento tende a uniformare la tipologia. La disidratazione è infatti un fenomeno molto invasivo e la perdita di peso delle uve è notevole e con questa si perdono anche i caratteri specifici dell’uva. Diventa più un vino di processo così. La difficoltà principale quindi è valorizzare il territorio, facendo parlare il prodotto mantenendo un processo produttivo del tutto tradizionale”.
Per il nostro Amarone si utilizzano botti di rovere francese nuove che cedono tannino, ma è pulito, ovvero non cede i caratteri del vino che c’è stato a contatto precedentemente: è importante questo dettaglio se si vuole evidenziare l’annata e soprattutto se si vuole far parlare il territorio. Le barrique nuove infatti vengono scelte proprio per non incidere sul vitigno con il vino dell’anno precedente: ogni annata parla per sé, il territorio cambia e con esso il clima. L’uva è la stessa ma cambia nelle sue vibrazioni naturali profonde di anno in anno. Inoltre un legno riutilizzato molte volte può avere delle problematiche e durante l’utilizzo potrebbero danneggiare il vino contenuto. Soprattutto se l’annata nuova è migliore della precedente preferiamo come scelta filosofica aziendale utilizzare solo legni nuovi per la permanenza dell’Amarone.
Inoltre su tutto questo processo intervengono anche le tecniche d’avanguardia relative alla cantina come l’ossidazione evitata in fase di pigiatura e di vinificazione già nel suo momento iniziale, la saturazione delle vasche con l’anidride carbonica e il controllo costante della temperatura. La pigiatura delle uve per l’Amarone inoltre è generalmente svolta tra dicembre e febbraio in periodo generalmente sempre freddo e per tradizione vengono fatte macerazioni lunghe a freddo. In Ca’ dei Frati la macerazione viene invece svolta a caldo per estrarre più colore e più tannino dalle uve: questo passaggio però si rende necessario perchè si tratta di un vigneto con un’alta acidità naturale. Per la stessa ragione cerchiamo di prolungare la maturazione in pianta e poi lasciamo maturare il vino a lungo con 2 anni di barrique, 1 anno di acciaio e poi ancora altri anni di affinamento in bottiglia.
Macchina del tempo dal 2016 al 2008: torniamo alle origini con il nostro naso
Annata 2016
Si presenta croccante, fine e di grande eleganza. Ha una grande tensione olfattiva e gustativa che mostra tutto il suo potenziale di affinamento ancora per lungo tempo. Non mancano infatti freschezza e una leggera sapidità caratteristica della marna su cui nascono i vigneti. Il 2016 fu un’annata particolarmente fresca per cui la grande sfida fu quella di preservare questa freschezza donataci dalla natura. In queste situazioni infatti il vino tende ad ossidare facilmente. La sfida è stata felicemente vinta e oggi si presenta come un vino dal grande potenziale, forse una delle annate migliori di sempre.
Annata 2015
Valutata molto bene in generale dai produttori della Valpolicella, ma solo il tempo definisce il valore del vino e delle sue annate. La vigna qui ha più anni e non è poco nel risultato finale, infatti acquisisce nel tempo un materiale linfatico di maggiore pregio. Cosa aspettarsi nel 2015 da Marcellise? Abbiamo già detto che l’appassimento tende a uniformare i vini, ma il territorio ha una sua piacevolezza intrinseca: L’Amarone di Marcellise è diverso da quello di Negrar o Fumane, ad esempio. Il clima e i caratteri sono molto diversi tra loro. Marcellise ha di intrigante sempre la sua acidità strutturale, che aumenta e migliora in termini di equilibrio negli anni. Si avvicina sempre di più ad un equilibrio tra parti forti e molli che è fondamentale nel vino: le parti dure del vino si avvicinano in modo virtuoso alle parti morbide. Questo è il potenziale di Marcellise e di questa annata in particolare.
Vale la pena soffermarsi sul frutto in questa annata, perchè esso è tipico della Valpolicella: la ciliegia in varie sfumature, in varie tipologie ed è curioso percepire da diverse vallate di produzione il cambiamento delle ciliegie nell’Amarone. È la marasca o l’amarena tipica delle vallate: richiama la confettura, quasi dolce, nelle vallate che si trovano più in basso; sulle parti dorsali invece diventa marasca, con un finale quasi amandorlato, quasi acerbo. Nel nostro caso la ciliegia è più dolce, ma il carattere di fondo resta rivolto alla freschezza e all’acidità. Inoltre anche la sapidità salina è molto forte e davvero tipica di Marcellise: i cristalli di sale percepiti nella cavità orale emergono spesso, soprattutto in annate come la 2008.
Si traduce quindi in un’annata che ha grande profondità, con la capacità di un percorso davanti ancora molto importante.
Annata 2014 (non prodotto)
Fu un’annata molto piovosa e fredda, scura, con tante nuvole e la luce è un elemento fondamentale per la crescita della Corvina; quindi l’azienda ha rinunciato all’annata. È unica annata finora non prodotta.
Annata 2013
Annata buona ed equilibrata. Succulenta, piena e gustosa. I tannini sono allineati e dolciastri. Siamo già a qualche anno di distanza dalla vendemmia e per questa ragione emerge di più una nota evolutiva. Il colore tende verso un’evoluzioni positiva, mai tendente al color mattone perchè l’estrazione viene svolta ad alta temperatura invece che a bassa temperatura: questo dettaglio fa sì che i tannini non tendano mai al giallo aranciato, ma alla componente più rivolta al rosso e al viola, anche con un affinamento in bottiglia di più anni.
Annata 2012
Il clima ha alternato momenti siccitosi a momenti più piovosi. E’ stata quindi un’annata piuttosto difficile.
Fu complesso trovare l’equilibrio per la sua acidità naturale sempre molto spiccata: per questo motivo serve conoscere e prevedere il periodo giusto di raccolta per non degradare troppo l’uva matura in previsione dell’appassimento successivo. Al contempo il punto fondamentale però è di lasciare in pianta a maturare il frutto il più possibile per limitare la sua naturale acidità. Infatti se il vitigno ha un’acidità molto alta bisogna cercare di riequilibrarlo con la sua struttura. L’annata 2012 ha donato così longevità al vino, grazie al contrasto tra acidità alta con la sua maturazione più possibile prolungata in vigna.
Stiamo parlando ormai di un’annata che fa parte dei vini da decennio. Come si traduce quindi dal punto di vista organolettico? Si inizia a percepire la ciliegia mora, succosa e nera, la prugna, il rabarbaro che peraltro si trova nella valle di Marcellise in modo particolare, spezie dolci, anche un po’ orientaleggianti. È la bellezza dell’evoluzione che fa emergere tutti questi sentori, spontanei e riconoscibili. Il tannino dell’uva perde qui forza rispetto al tannino donato dal legno che diventa nel tempo più significativo, tanto che si arrivano a percepire diverse nuance anche viranti al cioccolato. Si sente molto infine la bacca di ginepro, intrigante nel vino e anch’essa tipica della valle di Marcellise.
Una nota importante: si tratta dell’ultimo imbottigliamento con il tappo di sughero (da qui in poi si utilizza il tappo Nomacorc in polietilene di canna da zucchero, 100% green). La ricaduta di questo è diretta su una maturazione diversa, per un passaggio di ossigeno regolamentato diversamente all’interno della bottiglia.
Annata 2011
Si tratta di un Amarone vecchio stile, si sente tutta la sua finezza. Anche questa fu un’annata piovosa e più fresca delle precedenti che ha espresso nel vino tutto il suo andamento climatico. Qui quindi torna una buona freschezza, nonostante l’annata sia più vecchia delle precedenti assaggiate finora. Si sente più freschezza e mineralità nonostante il frutto sia più maturo. Sembra una situazione un po’ strana, ma si trova lo stesso riscontro anche dal punto di vista del colore: è più fresco, più chiaro rispetto al 2012, ad esempio. Per fare questi confronti è fondamentale considerare che si tratti di uva che proviene dallo stesso vigneto. Infine da non dimenticare un accenno di balsamicità dovuta alla maturazione dei sentori terziari negli anni e da questo punto di vista il vitigno Corvinone conta molto nello sviluppo di queste note.
Annata 2010
Si colloca tra gli Amaroni di Ca’ dei Frati più evoluti: si percepisce una ciliegia appassita sotto spirito, ricoperta da un velo di cioccolato, la spezia si mostra di più, in particolare il pepe nero tipico della Valpolicella. Si avverte una presenza elegante del legno; i tannini sono più terziari rispetto a tannini evidenti della pianta che è abbastanza giovane nel momento della raccolta nel 2010. In generale però riemergono equilibrio e freschezza: Marcellise fornisce l’impalcatura naturale per aggrappare le caratteristiche del vino – ph, sapidità e freschezza – e lascia al produttore la possibilità di gestire in parte la sua maturazione. A Marcellise in passato si pascolavano gli animali, era la Lessinia destinata a pecore e a vacche, oggi è diventato tutto vigneto su una terra vergine, una terra non consumata, rocciosa e affiorante. L’unica cosa che si faceva era il pascolo con conseguente naturale concimazione. L’eleganza qui diventa suadenza con un tannino sinuoso e vellutato. Perde totalmente la sua parte più rude.
Annata 2009
Paragonato al 2003 e al 2022 per le temperature medie, con picchi importanti di quasi 40 gradi Centigradi.
Il vigneto essendo in altitudine non soffre grandi problematiche relative al caldo. C’è sempre un’aria fresca che scorre tra le foglie delle viti. Questa tuttavia è stata un’annata molto calda e corrisponde esattamente a quel calore: ne emerge un frutto molto maturo con un effetto cioccolato, suadente e un po’ goloso. È il momento di coglierlo.
Ha forse una vita più corta rispetto agli altri Amaroni di Ca’ dei Frati. Ha tuttavia note ancora un po’ verdi nonostante tutti questi anni in bottiglia: è proprio così, un’annata fresca che porta tannini non molto maturi, lascia che restino crudi anche dopo tanti anni trascorsi in bottiglia. Alla fine del sorso però diventa quasi una marmellata, una crema, risultando un vino molto concentrato.
Igino Dal Cero dice: “È stata un’annata molto particolare. È stata la seconda annata che verificavo, con delle analisi totalmente opposte rispetto al 2008 che era la prima annata da noi prodotta, molto acida, la 2009 invece era molto morbida. Il produttore di fatto può cercare di correggere, ma l’annata e la sua portata climatica emerge sempre. Io sono innamorato del 2008 che è stata la prima annata, il 2009 mi sembrava meno longevo; ora invece la 2008 ha una morbidezza quasi da cioccolato fuso. Il 2009 sembrava più molle con un’acidità più bassa. Invece è ancora qui che vive e lo fa bene: ha una sua sensazione più tipica forse come Amarone, più simile alla media degli Amaroni delle parti più basse della Valpolicella in termini di acidità”.
Il territorio forse qui – inteso come microarea – potrebbe un po’ sentirsi lontano: l’acidità e l’impalcatura che sostiene le morbidezze risultano un po’ molli e meno caratteriali, ma dal punto di vista strutturale queste sensazioni sono mitigate, da una bellissima acidità tipica.
Annata 2008
Tanta esuberanza, è stata la nostra prima indimenticabile esperienza. E’ stata segnata molto dal territorio di Marcellise, cosa a cui abbiamo da sempre teso l’occhio e la nostra attenzione per far emergere lo stesso nelle annate successive.
L’annata 2008 oggi ha ovviamente perso l’esuberanza giovanile tipica della Corvina, ma ha ancora scosse e vibrazioni da ascoltare, quasi in meditazione, che scorrono tra le morbidezze del vino. Sono passati ormai parecchi anni dalla sua vendemmia, ma nonostante ciò, sembra avere una prospettiva di vita ancora lunga.
Siamo nel 1967 a Lugana, una zona di campagna contadina, con molte meno case di quelle che si possono vedere oggi. Pochissime automobili, piuttosto carriole per trasportare alimenti, viveri, acqua e qualche damigiana di vino.
Ad un chilometro in linea d’aria dalle coste del lago di Garda si trova una piccola azienda con non più di 5 ettari di campagna attorno, animali da cortile e un grande fienile accanto ad una vecchia casa colonica. Si produce anche vino, un vino bianco contadino, agreste e forse poco raffinato, ma già allora aveva del potenziale.
Era la colazione, l’aperitivo, il pranzo e la cena delle famiglie del luogo che abitavano in Lugana.
Una lunga strada sterrata connetteva la famiglia Dal Cero che qui abitava, lavorava e viveva, con il centro del paese. Un via vai di amici, conoscenti e parenti solcava a piedi quella stradina chiedendo vino sfuso in damigiana per rispettare la tradizione del luogo. Dal lunedì al sabato. Gli orari di apertura erano solo un modo di dire. Rosa e Pietro accoglievano con ancor più gioia i passanti della domenica, quando, lontani dal lavoro in vigna solo per qualche ora, mostravano con voglia di condivisione e qualche bicchiere di vino la loro tenuta.
Qualcosa cambia
È forse proprio da questo interesse verso il vino sempre più profondo da parte della gente a far emergere in Pietro la volontà di dare un riconoscimento a quel prodotto, cercare di raffinarlo, migliorarlo, rendendolo più appetibile con i piatti locali contadini.
Vedeva che il territorio del Lugana poteva avere del potenziale se ci si metteva in ascolto della Natura del luogo.
Una zona paludosa (anticamente silva lucana) e ricca di acquitrini fino al medioevo, bonificata dai frati, resa coltivabile e da allora sempre sfruttata. Il lago non poteva che essere d’aiuto: la sua origine glaciale ha da sempre fornito ricchi minerali e grande freschezza. Il clima del Lugana è un altro punto a suo favore: una baia a cavallo tra due regioni sempre riparata e ventilata al punto giusto.
La vite non poteva che risorgere qui dopo gli attacchi di peronospora e oidio. La composizione del suolo sabbiosa in collina e argillosa verso il lago ha giocato un ruolo notevole.
Il disciplinare: un documento nato dal niente
Pietro Dal Cero, insieme ad altri contadini lungimiranti della Lugana, è stato tra i firmatari del primo disciplinare per la DOC del Lugana nel 1967. Nasce così la prima Denominazione di Origine Controllata della Lombardia.
Solo due anni dopo Ca’ dei Frati rivoluziona il suo mercato vinicolo trasformando la produzione: da vino sfuso si passa alla bottiglia di Lugana I Frati. Una bottiglia renana verde scura, allungata, come era in uso all’epoca. L’etichetta rappresentava il marchio lasciato dai Frati Carmelitani che abitavano la tenuta nella metà del XV secolo. Già si notava la volontà di riconnettersi con le antiche radici del territorio e con la sua storia strettamente locale e artigianale.
La DOC oggi
Nella DOC oggi rientrano cinque comuni del lago e dell’entroterra: Sirmione (sotto cui rientra la frazione di Lugana), Peschiera del Garda, Pozzolengo, Lonato e Desenzano del Garda. Si tratta di un areale di 2500 ettari vitati con una produzione di circa 25 milioni di bottiglie all’anno in totale. Sono otto le cantine che si impegnano nella produzione di questa DOC nel comune di Sirmione: la posizione strategica vicina al lago, pur restando in campagna, attira turisti e curiosi, soprattutto in anni più recenti.
Il vitigno principe per questa produzione è la Turbiana, facente parte della grande famiglia dei Trebbiani italiani, con un DNA studiato a lungo dal professor Attilio Scienza e dall’Università di Milano. Ne è emersa una vicinanza a vitigni bianchi tipici di zone poco distanti come il trebbiano di Soave e il Verdicchio, suoi fratelli.
La sua freschezza e tipicità nel bicchiere al naso e al palato sono state esaltate da scrittori e poeti non solo in anni recenti, come nella celebre poesia di Luigi Veronelli, che elogiava il Lugana con qualche anno sulle spalle, ma anche in passato. Tra le più antiche citazioni, insieme a quella di Agostino Gallo del XVI secolo nelle “Venti giornate dell’agricoltura”, ricordiamo quella della fine del Cinquecento di Andrea Bacci che esaltava proprio “i trebulani” prodotti nelle nostre zone, dove “trebula” indicherebbe anticamente un vino casereccio e di paese.
Per scoprire ulteriori curiosità sulla storia della famiglia Dal Cero, presente in Lugana dal 1939, e sulla produzione di questa DOC così speciale e delimitata territorialmente ti invitiamo a partecipare a uno dei tour gratuiti della tenuta prenotabile online da qui.
Il successo del mondo della spumantistica è sotto gli occhi di tutti. Se è vero, com’è vero, che vent’anni fa un bicchiere di spumante veniva riservato solo alle grandi occasioni o al periodo natalizio, oggi si è completamente sdoganato scandendo i vari momenti della giornata e dell’anno. Si bevono bollicine all’aperitivo, si bevono per festeggiare o per consolarsi, e soprattutto si bevono a tutto pasto. Lo spumante infatti è il vino più versatile che ci sia in tema di abbinamento con il cibo.
In questo territorio di grande diffusione però regna sovrana la confusione per cui in queste poche righe cercheremo di dare alcune informazioni che possano essere utili. Ovviamente saranno solo piccole indicazioni che poi possono essere approfondite nei vari testi didattici.
Definizione:
Si definisce vinospumante un vino rifermentato in un ambiente chiuso, che svolga una sovrapressione superiore ai 3,5 atmosfere.
Al di sotto di tale pressione parleremo di vino frizzante.
Se l’ambiente chiuso è:
La bottiglia parleremo di Metodo Classico, o Metodo Champenoise
Autoclave parleremo di Metodo Martinotti o Charmat
Come nasce la bollicina?
Prima di parlare di ri-fermentazione forse è il caso di ricordare cosa sia la fermentazione anche se in modo più semplice e lontano da tecnicismi.
La fermentazione è quel processo che trasforma il mosto in vino attraverso l’azione dei lieviti. Lo zucchero contenuto nell’uva, e quindi nel mosto, viene trasformato in alcol e anidride carbonica. Quindi un tino in fermentazione mostrerà un movimento di bolle che salgono verso la superfice disperdendosi nell’aria. Bisogna infatti fare molta attenzione a rimanere a lungo su un tino che sta svolgendo tale processo.
Se lo stesso processo di fermentazione avviene in un ambiente chiuso (bottiglia o autoclave), l’anidride carbonica non riesce ad uscire dalla massa e rimane disciolta nel vino diventando una bollicina.
Metodo Classico o Champenoise
E’ un metodo di rifermentazione utilizzato soprattutto con vini ottenuti da vitigni neutri come Pinot Nero, Pinot Bianco e Chardonnay. Salvo alcune eccezioni.
In Ca’ dei Frati, per esempio, le tre tipologie di metodo classico sono ottenute da turbiana di Lugana e Chardonnay laCuvèe dei Frati Brut, la Cuvée dei Frati Dosaggio Zero e da marzemino, groppello, barbera e sangiovese il Rosè Cuvée dei Frati Brut.
Se la base spumante si ottiene da una vinificazione in bianco (senza contatto con le bucce) di un’uva a bacca rossa parleremo di blanc de noir, se invece la base verrà ottenuta da un vinificazione in bianco di uva bianca parleremo blanc de blancs.
Processo di spumantizzazione con Metodo Classico o Champenoise
Vinificazione del vino di base
Tirage, aggiunta di vino + liqueur de tirage (zuccheri e lieviti)
La bottiglia viene chiusa inserendo un tappino di plastica detto bidoule e chiudendo con il tappo a corona che garantisce una chiusura ermetica.
Le bottiglie vengono distese in casse di acciaio (sur lattes) dove inizia la rifermentazione, i lieviti si nutrono degli zuccheri e generano alcol e anidride carbonica, la bolla . I lieviti una volta esaurito il loro compito si adagiano sulla parete della bottiglia e inizia un processo di lisi che contribuisce a dare maggiore complessità allo spumante.
Passati almeno 18 mesi le bottiglie vengono separate dai lieviti attraverso un procedimento detto remuage in cui le bottiglie vengono portate in punta ossia messe a testa in giu in modo che i lieviti vadano a depositarsi nella bidoule. A questo punto il collo della bottiglia viene immersa in un liquido a – 25° C dove ghiaccia con i lieviti. Si stappa il tappo a corona ed esce il proiettile di ghiaccio e lieviti lasciando lo spumante pulito.
A questo punto la bottiglia viene rabboccatacon il liqueur d’expedition, una ricetta con vecchie annate di vino, cognac, e zuccheri che ne determinano la tipologia (brut, Demi Sec, ecc) oppure rabboccato con lo stesso vino senza aggiunta di zuccheri e quindi avremo un Dosaggio Zero o Pas Dosè.
Tappatura con tappo a fungo e gabbietta
Copricapsula ed etichette
Metodo Martinotti o Charmat
Viene utilizzato soprattutto per i vini aromatici o semi aromatici. Lo spumante più famoso prodotto in autoclave è senza dubbio il prosecco ma lo stesso metodo è usato anche per moscato, muller thurgau, riesling e altri ancora.
Cos’è un’autoclave?
Si tratta di una vasca in acciaio a temperatura controllata e a chiusura ermetica con valvole di sicurezza, che possano permettere la rifermentazione e intrappolare l’anidride carbonica.
A secondo del periodo di permanenza del vino sui lieviti parleremo di charmat corto dai 30 ai 90 giorni e di charmat lungo oltre i 90 giorni.
Processo di spumantizzazione in autoclave:
Cuvée di base con il vino fermo con acidità alta e tenore alcolico più basso. La rifermentazione, infatti, fa aumentare di almeno un grado alcolico la base spumante
Aggiunta di zuccheri, lieviti e nutrienti per i lieviti per permettere la rifermentazione
Presa di spuma
Refrigerazione per la stabilizzazione
Filtrazione
Imbottigliamento in condizioni isobariche. Si tratta di un’imbottigliatrice che riesce a trasferire lo spumante dall’autoclave alla bottiglia senza perdere la pressione
Tappatura con tappo a fungo e gabbietta
Abbigliamento, copri capsula ed etichette
Classificazione degli spumanti in relazione al residuo di zucchero
– Pas dosé o dosaggio zero o nature: contenuto di zuccheri inferiore a 1 grammo/litro. Si tratta di vini ai quali non vengono aggiunti zuccheri in fase di dosaggio. In questa categoria Ca’ dei Frati produce lo Spumante Metodo Classico Cuvèe dei Frati Dosaggio Zero.
– Brut nature: contenuto di zuccheri inferiore a 3 gr/l
– Extra brut: contenuto di zuccheri inferiore a 6 gr/l
– Brut: contenuto di zuccheri inferiore a 15 gr/l. In questa categoria Ca’ dei Frati produce lo Spumante Metodo Classico Cuvèe dei Frati e Rosè Cuvèe dei Frati.
– Extra dry: contenuto di zuccheri compreso tra 12 e 20 gr/l
– Dry o Secco: contenuto di zuccheri compreso tra 18 e 35 gr/l
– Demi sec o Abboccato: contenuto di zuccheri compreso tra 33 e 50 gr/l
– Dolce o Doux: contenuto di zuccheri superiore a 50 gr/l
Gianpaolo Giacobbo
Nasce a Bassano nel 1967 si occupa di vino dalla metà degli anni novanta, prima come appassionato e dal 2006 come professionista. Si forma con la rivista Porthos diretta da Sandro Sangiorgi a Roma nel primo decennio degli anni 2000. Ha dato il proprio contributo alle principali testate giornalistiche nel settore del vino in Italia. Dal 2000 svolge attività di docenza per corsi di degustazione per appassionati e professionisti. Divulgatore in Italia e nel mondo, della cultura del vino italiano. Ha svolto attività di docenza presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo dal 2016 al 2022. Dal 2015 al 2022 è stato tra i principali collaboratori della Guida Slow Wine. Collabora con Ca’ dei Frati dal 1994.